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Da "Umanità Nova" n. 10 del 17 marzo 2002

Petrolchimico di Gela
La rabbia operaia, i ricatti dei padroni inquinatori

Ancora una grande manifestazione a Gela nell'arco di poche settimane, ancora una massa di oltre 15.000 persone tra operai, familiari, cittadini, studenti mobilitatisi attorno alla prospettiva che il mostro-Petrolchimico dell'Agip potesse chiudere.

Attorno alle parole d'ordine di "occupazione-sviluppo-legalità" si sono coalizzati gli interessi di svariate categorie, dai disoccupati ai commercianti, dai padroncini autotrasportatori a tutti coloro che sanno che Gela senza il petrolchimico tornerebbe alla sua antica vocazione agro-pastorale, senza neanche più i pascoli di un tempo, l'aria e l'acqua di una volta.

Eppure il petrolchimico ha cessato da tempo di essere La Fabbrica per eccellenza, e sottoposto ad una lenta agonia, ha finito per occupare poco più di tremila persone. Industriali e appaltatori, assieme ai manager, seduti nei loro salotti, si sono limitati a guardar sfilare la gente sempre più imbestialita, reduce da settimane di lotta, con blocchi stradali, occupazione di impianti, cortei, assemblee infinite; tutti hanno saputo sin dall'inizio che alla rabbia e alle rimostranze di tanta umanità nessun governo e nessuna magistratura sarebbe potuta rimanere indifferente. Gli stessi sindacalisti alla guida delle proteste hanno sottolineato come il petrolchimico deve rimettersi in funzione, soprattutto dopo il sequestro operato dalla magistratura, e come i problemi di ordine pubblico fossero tutt'altro che limitati.

Non credo ci sia molto da dire sul degrado ambientale di Gela; ognuno di noi che vive a pochi chilometri dalla zona ha visto, respirato, toccato per mano gli effetti dell'industrializzazione perversa imposta alla Sicilia. E dietro quell'aria malsana, quei fumi, quegli odori, non poteva che esserci l'effetto lento e inesorabile dei veleni che hanno contaminato ogni cosa. Piccole dosi quotidiane che alla fine finiscono per compromettere la salute di un'intera popolazione. Questa è Gela, ma questa è anche l'area industriale di Augusta-Priolo-Melilli dove sussistono le altre tre raffinerie siciliane (la quinta è a Milazzo) gestite da Erg, Agip ed Esso.

È stata l'Organizzazione Mondiale della Sanità a lanciare l'ennesimo allarme (ma c'era bisogno?) qualche mese fa e a rilevare come la soglia di mortalità per tumori provocati dall'inquinamento ambientale, in queste aree industriali siciliane, è stata abbondantemente superata. Di nascite di bambini con gravi malformazioni si è anche parlato, soprattutto per quanto riguarda i siti siracusani, ma qualche anno fa qualcosa trapelò anche su Gela, ma dovemmo riscontrare l'efficienza del muro di gomma eretto negli ospedali e presso tutti gli organi istituzionali.

La magistratura, con questo provvedimento ha fatto quello che la classe politica avrebbe dovuto fare da un pezzo: ha chiuso il Petrolchimico, accusato di "raccogliere, recuperare e smaltire illegalmente" il pet coke, un rifiuto speciale della lavorazione industriale, utilizzato come combustibile negli impianti gelesi, progettati proprio per questo tipo di utilizzo, e rimasti gli unici in Italia a fare uso del coke.

La Procura della Repubblica di Gela nella sua ordinanza di sequestro della raffineria, è stata di una chiarezza allarmante: gli impianti sono stati chiusi allo scopo di "prevenire l'aggravamento degli effetti negativi sull'ambiente, derivanti dalla violazione delle norme sulle emissioni atmosferiche e per impedire l'esposizione del bene ambiente e del bene salute a più gravi rischi. Le indagini hanno ampiamente dimostrato che le violazioni riscontrate non costituiscono singoli e contingenti episodi, ma sono la conseguenza di una condotta ripetuta che manifesta una vera e propria filosofia gestionale contraria alle norme sullo smaltimento dei rifiuti e maggiormente dedita al profitto a discapito della salubrità ambientale".

L'Agip, che insiste nel poter essere messa in condizione di continuare ad impiegare il coke, ha, come al solito, molti alleati diretti ed indiretti. Degli indiretti abbiamo parlato: le migliaia di lavoratori e cittadini che campano con il lavoro nel petrolchimico o con attività legate alla sua presenza, o che comunque vivono in una città la cui identità è tutta legata alla raffineria; rivendicano la continuità del lavoro e sanno di essere obbligati a mettere in secondo piano la salute.

I diretti, sono quella classe politica che ha sempre fatto gli interessi del padronato e che anche in questa occasione non alza un dito contro l'atteggiamento irresponsabile dell'Agip, ma sfrutta la pressione popolare per far proseguire l'Agip impunemente nella propria opera di distruzione dell'ambiente e di avvelenamento delle esistenze nell'area, mantenendo altresì una classe operaia sotto l'eterno ricatto della dismissione, che impreziosisce il lavoro e lo depura da velleità rivendicazioniste. Totò Cuffaro, presidente della Regione Siciliana, ha annunciato sin dall'inizio della vertenza un provvedimento legislativo che renda legale l'uso del coke come combustibile, e il Ministero dell'Ambiente il 7 marzo ha compiuto il miracolo con un decreto che muta la definizione del coke appunto da quella di rifiuto speciale a quella di combustibile, rimettendo l'intera questione nei binari della legalità. Spariscono i tumori, i veleni, le contaminazioni... ci avrebbero potuto pensare prima!

La realtà è che l'Agip continua ad usare il nostro territorio come terra di rapina, e i profitti che ricava, ben 350 miliardi l'anno, dall'attività del Petrolchimico gelese, non ha nessuna intenzione di utilizzarli per la riconversione degli impianti, cosa che tra l'altro ha già fatto in tutte le sue raffinerie del continente, né tantomeno per la bonifica del territorio. Piuttosto chiuderebbe lo stabilimento, aggiungendo, così, minaccia su minaccia, per poter tranquillamente continuare ad inquinare e far profitti.

Un dato è certo: non si può proseguire ulteriormente difendendo posti di lavoro soggetti a così forti ipoteche. Se il lavoro va difeso, questo obiettivo non può essere scisso dalla qualità dello stesso e dall'impatto con l'ambiente: prima o poi ci troveremmo senza lavoro egualmente e con aria, terra e acqua completamente contaminate, come la storia di questi giorni e di questi anni insegna.

La riconversione del petrolchimico con il metano come combustibile è una necessità se si vuole ancora continuare a difendere un posto di lavoro. Nello stesso tempo va iniziata una capillare e radicale opera di bonifica di tutto il territorio alla quale devono contribuire in primo luogo gli inquinatori con i profitti che hanno largamente ricavato. Questo darebbe nuove prospettive occupazionali e imporrebbe a tutti una nuova coscienza di essere lavoratori e cittadini, persone, libere da ricatti e da bisogni. Il grande potenziale di lotta emerso in questo mese, la rabbia accumulata, sono un patrimonio che dimostrano quanto sia forte la voglia di protagonismo dei lavoratori e dei cittadini; ma questa forza non può continuare ad essere funzionale agli interessi degli inquinatori e dei profittatori.

Pippo Gurrieri



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