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Da "Umanità Nova" n. 11 del 24 marzo 2002
Sciopero generale
Scontro sociale e giochi politici tra DS e PRC
Lo sciopero generale ha, e questo è bene non
dimenticarlo, una dimensione simbolica che trascende, per molti versi, il suo
stesso impatto reale dal punto di vista del rapporto di forza fra le classi.
Credo, d'altro canto, che decenni di egemonia riformista non siano passati
invano e che questa stessa dimensione simbolica vada colta, almeno, su due
livelli in particolare per quel che riguarda la situazione italiana.
Nella sua dimensione radicale, lo sciopero generale è lo schierarsi
delle classi su posizioni nette: il lavoro salariato contro il capitale e,
considerando le sue implicazioni dal punto di vista della disciplina sociale,
la working class contro il governo. Non mi pare, in questa prospettiva,
eccessivo affermare che lo sciopero generale ha un effetto, come dire, di
igiene sociale, le beghe di partito, i giochi di cordata, le miserie della
politica vengono, magari provvisoriamente, spinte sullo sfondo. Il rancore di
Clemente Mastella contro Francesco Rutelli per la transumanza di parte del suo
partito alla Margherita, per fare un esempio adeguato, appare per quello che
effettivamente è: avanspettacolo come avanspettacolo è, di norma,
la politica parlamentare.
D'altro canto, la classe politica e il padronato hanno, da decenni, appreso a
convivere con lo sciopero generale e sarebbe singolare pretendere che esso
abbia, oggi, la dimensione di espressione di una crisi sociale radicale che
aveva un secolo addietro. Manca, infatti, alla mobilitazione, al di là
della sua vivacità, un riferimento forte all'autonomia politica della
classe lavoratrice e la prospettiva, magari mitica ma suggestiva,
dell'espropriazione degli espropriatori.
La sinistra statalista ha, insomma, appreso che si può "usare" lo
sciopero generale per intimidire il governo ed il padronato e per indurli ad
accettare un compromesso sociale che costoro cercano, quando se ne presta
l'occasione, di eliminare o, di regola, di ridefinire a proprio vantaggio.
Decenni addietro, un compagno più anziano di me mi faceva rilevare che
l'ideale della burocrazia del movimento operaio non è un proletariato
passivo ad atomizzato ma un proletariato ovviamente atomizzato ma mobilitabile
all'occasione come un esercito disciplinato e come tale smobilitabile dopo che
ha compiuto il compito per il quale è stato chiamato a schierarsi.
Paradossalmente, la nomenclatura politica e sindacale rischia sempre di essere
battuta per aver svolto troppo bene il proprio compito e per l'eccesso di
esplicita integrazione nel modello produttivo e sociale dominante.
Se ripercorriamo le vicende delle ultime settimane, cogliamo quanto queste
leggi generali del conflitto di classe siano pienamente operanti. Può,
d'altro canto, valere la pena di ricostruire il quadro particolare nel quale ci
troviamo ad operare:
l'obiettivo sul quale si è concentrata l'attenzione, l'articolo 18 dello
statuto dei lavoratori, è ovviamente, importante ma è solo una
delle questioni sulle quali lo scontro reale è aperto. Basta pensare
alla questione delle pensioni, ai contratti, al mercato del lavoro per rendersi
conto della vera posta in gioco;
l'alzarsi dei toni sull'articolo 18 ha, d'altro canto, determinato una
situazione, apparentemente senza via di uscita: o vince il governo o vince la
CGIL,
la strategia iniziale del governo sembra, sottolineo sembra, abbandonata. Non
si punta più a separare la CGIL da CISL e UIL e si da per scontato che
lo sciopero generale, poco conta se il 12 o il 19 aprile o in altra data, ci
sarà,
paradossalmente ma non troppo, il fatto che CISL e UIL siano della partita
riapre uno spazio di negoziazione fra governo e sindacati, dopo lo sciopero
oramai messo nel novero degli eventi inevitabili. La CGIL ha, indubitabilmente,
vinto un round uscendo dall'isolamento ma la partita è decisamente
più complessa di quanto pensino gli entusiasti dello sciopero generale,
di qualunque sciopero generale,
CISL e UIL, infatti, rinverginati dallo sciopero stesso, potranno sedersi di
nuovo al tavolo della negoziazione e, a questo punto, la CGIL dovrà
mantenere la pratica unitaria a meno di non voler passare per un soggetto
partitico e non sindacale.
D'altro canto, la partita sindacale non è comprensibile se si prescinde
dal quadro politico e, in particolare, dal quadro politico della sinistra
statalista.
Abbiamo visto come il centro sinistra e, soprattutto, i DS siano usciti dalle
elezioni come pugili suonati. Le stesse difficoltà del governo dopo i
fatti di Genova non hanno fornito loro troppe occasioni di rilancio a fronte
del timore di passare per supporter dei black bloc. La ripresa delle
mobilitazioni sindacali ha dimostrato a costoro che vi è nella
società un'esigenza di mobilitazione e che il "popolo di sinistra" gode
dell'attributo dell'esistenza. Si trattava, di conseguenza, di fornire
"rappresentanza politica" a quest'area sociale in movimento.
È mio convincimento che il ceto politico professionale sia costituito,
per la gran parte, da individui mediocri e che il processo di chiusura in una
logica autoreferenziale dei quadri dei DS sia andato molto avanti ma anche i
mediocri e gli autoreferenziali, di fronte al rischio dell'estinzione, possono
trovare energie insospettabili ed avere uno scatto di reni.
La partecipazione agli scioperi degli scorsi mesi e la loro vivacità, la
tenuta del movimento contro la guerra e le altre più scandalose scelte
del governo, hanno dato forza e credibilità alla sinistra DS e,
soprattutto, alla CGIL che si è rivelata la struttura portante della
sinistra statalista. Persino lo sciopero del sindacalismo di base del 15
febbraio, è bene tenerlo presente, ha concorso ad una modificazione
dell'orientamento della nomenclatura della sinistra. La mobilitazione della
classe media colta e semicolta contro la cleptocrazia berlusconiana ha dato un
contributo ulteriore nella direzione della rinascita della sinistra moderata.
In questa situazione, il PRC, che era stato il principale beneficiario
istituzionale della ripresa di movimento, ha visto altri soggetti contendergli,
e con ben maggior peso e risorse, lo spazio. Il capo della sinistra non era
più Bertinotti ma Cofferati ed era il PRC ad andare a rimorchio della
CGIL e non il contrario.
In questa situazione, il gruppo dirigente del PRC ha deciso di riprendere
l'iniziativa rivolgendosi al centro sinistra. In un'intervista del 16 marzo a
"L'Unità" suggestivamente intitolata "Bertinotti all'Ulivo: insieme per
un'opposizione più forte" si afferma nella presentazione
"A una settimana dalla manifestazione unitaria del 23 marzo, che sarà la
conclusione di un mese e mezzo di mobilitazioni in tutt'Italia, e che
preparerà lo sciopero generale, Fausto Bertinotti rompe un po' gli
schemi e si fa avanti con una proposta unitaria. Rivolta all'Ulivo. Cosa che
non aveva mai fatto negli ultimi quattro anni. Propone una convergenza tra
quelle che lui chiama, al plurale, <<le opposizioni>>. Per dare
sponda politica e parlamentare al movimento di lotta e alle battaglie
sindacali."
In quest'intervista, Bertinotti afferma, fra l'altro:
"Io credo che le sinistre debbano dare sponda al movimento sindacale. Senza
strumentalizzarlo, senza forzarlo. Per carità, quello sarebbe un errore
gravissimo. Per esempio se noi cercassimo di presentare lo sciopero generale
come uno sciopero politico, uno sciopero per mandare via Berlusconi, faremmo
una sciocchezza.. Però si devono trovare delle sinergie tra lotta
sindacale e lotta di opposizione in Parlamento. L'ostruzionismo penso che sia
l'idea giusta."
È impressionante la ragionevolezza di Fausto Bertinotti che arriva a
farsi carico dei mal di pancia dei leader della CISL e della UIL, d'altro
canto, su "Liberazione" del 17 marzo c'è un'intervista singolarmente
amichevole a Luigi Angeletti, segretario della UIL.
Per la verità, Fausto Bertinotti ci tiene a ribadire che le sinistra
sono due e che vi sono differenze importanti ma alla domanda "Da qualche mese
però mi pare che su tutti questi temi la discussione si sia riaperta a
360 gradi. Non è così?" Risponde <<Ci sono delle notevoli
novità per via dell'affermarsi del movimento no-global. Questo movimento
ha fatto saltare tutti gli schemi. Ha messo in circolazione un'enorme
quantità di politica. Ha rotto i confini, le linee di contrasto tra le
due sinistre. O almeno le ha molto fluidificate. Anche perché è
un movimento che raccoglie culture politiche lontane tra loro, e certamente non
tutte interne allo schema della sinistra radicale. Il movimento ha fatto
irruzione anche dentro quella che io chiamo "sinistra liberale", ha riaperto la
discussione, il dialogo. Diciamo che le sinistre restano due, ma che sono molto
aumentate le possibilità di dialogo. Il movimento no-global ha posto due
discriminanti. Il no alla guerra e il no al neoliberismo. Sono la coordinata e
l'ascissa: dentro c'è una gigantesca tavola cartesiana dentro la quale
la sinistra può ricostruirsi>>.
Insomma, la sinistra liberale, per usare il lessico bertinottiano, non è
più così brutta. Sarà interessante, a questo proposito,
verificare cosa avverrà dentro il PRC fra i molti militanti che, avendo
un'idea decisamente poco chiara della natura dei partiti parlamentari e delle
logiche che presiedono al loro agire, denunceranno l'ennesimo "tradimento" e
aggiungeranno un altro caso scandaloso alla storia della dialettica fra fottuti
e fottenti che anima la vita delle sinistre dei partiti parlamentari.
Per, provvisoriamente, concludere, la battaglia politica sui contenuti della
mobilitazione in corso, quella battaglia che si gioca sul fatto se si lotta per
la concertazione o per rompere la concertazione nella direzione dello sviluppo
di un autonomo movimento dei lavoratori è oggi a un passaggio delicato.
Per essere chiari, non è scandaloso che le varie anime della sinistra
politica e sindacale statalista trovino un, provvisorio, accordo ma è
necessario che le componenti radicali del movimento di classe sappiano
accettare la sfida posta dalla situazione e sviluppare proposte ed iniziative
adeguate.
Cosimo Scarinzi
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