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Da "Umanità Nova" n. 12 del 7 aprile 2002

Verso lo sciopero generale!

Lo scontro sindacale che si va sviluppando si sta caricando di implicazioni politiche derivanti, in parte, da forzature di carattere strumentale di un governo che sembra incapace di uscire dal vicolo cieco nel quale si è ficcato, in parte, dall'emergere degli animals spirits di una destra politica e sociale profonda che trova, a partire dall'uccisione di Marco Biagi, l'occasione di lanciare un attacco al movimento sindacale, ivi comprese le componenti più moderate e concertative, che non si verificava da decenni.

È, comuinque, bene ricostruire il quadro ripercorrendo gli ultimi eventi. Ritengo che la manifestazione del 23 marzo organizzata dalla CGIL vada valutata con grande attenzione ed equilibrio.

Al di là delle, prevedibili e stucchevoli, discussioni sul numero esatto di partecipanti alla manifestazione, è un fatto che la CGIL ha portato in piazza la stragrande maggioranza del "popolo della sinistra", dal Ppi ai Social Forum, passando per il PRC e settori non irrilevanti del sindacalismo alternativo e, soprattutto, un numero straordinario di uomini e donne in carne ed ossa.
In altri termini, la CGIL segna una vittoria politica interna alla sinistra politica e sindacale e si pone come controparte autorevole del governo.
Il tentativo patetico, al congresso della Margherita, del buon Sabino Pezzotta di liquidare la manifestazione come "di parte" gli ha provocato contestazioni ad opera di una platea certo non sospetta di estremismo di sinistra. Oggi, nel campo del sindacalismo istituzionale, la CGIL conduce le danze e la CISL e la UIL sono in angolo anche perché il governo sia con le rigidità degli scorsi mesi che con le ultime demenziali esternazioni non permette loro, almeno a breve, alcuna mediazione decente.

È, per certi versi, interessante rilevare come un leader "freddo" e moderato come Sergio Cofferati susciti oggi entusiasmi che non si rilevavano da anni a sinistra. Il contrattualista Cofferati appare come il salvatore della sinistra a fronte di un gruppo dirigente dei DS depresso e depressivo e di un PRC messo in angolo dalla ripresa di iniziativa del centro sinistra. Se, come reputo sia opportuno, lasciamo da parte la politica spettacolo e cerchiamo di ragionare sui soggetti sociali in movimento, parrebbe che, a breve e non necessariamente a breve, la sinistra abbia preso atto che l'unica possibilità di salvezza che le è concessa consista nel ricostruire quel radicamento sociale che negli ultimi dieci anni ha lavorato, con straordinario zelo, a recidere. Indubbiamente è stata aiutata in questa presa d'atto dall'aggressività del governo ma le mobilitazioni dal basso di questi ultimi mesi non vanno sottovalutate. È decisamente interessante rilevare, a questo proposito, che un giornale come "La Repubblica" che, per vari decenni, ha stimolato e secondato la deriva liberale della sinistra, ha cantato la modernità e la flessibilità, ha denunciato come "corporativa" ogni resistenza dei lavoratori all'innovazione tecnologica e alla piena sottomissione alle ragioni dell'impresa, scopra toni "laburisti" e affidi al conflitto sociale un ruolo centrale nella ricostruzione dell'opposizione.

Questa singolare relazione è incarnata, sul piano spettacolare, dalla presenza alla manifestazione dei girotondisti il cui leader maximo, il buon Moretti, ha pubblicamente dichiarato che obbedisce volentieri a Sergio Cofferati dando vita ad una riedizione decisamente suggestiva del ruolo dell'intellettuale organico alla classe operaia. Dopo una raffica di film che hanno cantato ogni nevrosi della sinistra delle terrazze romane essolui riscopre il fascino della rude razza pagana.

Un'ulteriore vittoria della CGIL, e per la verità non solo della CGIL, sul governo è stato il sostanziale fallimento del tentativo governativo e confindustriale di utilizzare l'omicidio di Biagi contro la mobilitazione. Si tratta, certamente, di un tentativo rozzo, l'operazione mediatica con la quale si cerca di accreditare una continuità "oggettiva" fra mobilitazione sull'articolo 18 e attentato delle BR PCC funziona male sia perché, a livello popolare, e con qualche ragione, è forte il sospetto che l'attentato sia opera dei servizi che per l'oggettiva inesistenza, oggi, di un'area di supporter del terrorismo comparabile a quella che si era sviluppata negli anni '70.

Per ragioni assolutamente diverse, le BR oggi sono sideralmente lontane dalla sinistra statalista e da quella radicale.
Se la sinistra istituzionale può vantare i suoi morti ad opera delle BR e la sua scelta di schierarsi da decenni a difesa delle istituzioni repubblicane, la sinistra radicale ha maturato un critica forte di ogni pretesa da parte di gruppi "di avanguardia" di sostituirsi alla mobilitazione diretta dei lavoratori. Soprattutto la generazione dei militanti che ha vissuto gli anni '70 ha sin troppo chiaro quali disastri per il movimento di classe siano determinati da atti come quello al quale abbiamo assistito a Bologna. Per parte mia, non ho né le competenze né l'interesse a ragionamenti dietrologici sulla natura di organizzazioni come le attuali BR e sull'eventuale utilizzo da parte dei servizi. Se, come è possibile, hanno agito in proprio, si tratta di una sorta di navicella spaziale abitata da individui che nulla hanno dimenticato e nulla hanno imparato da sconfitte tragiche, da tradimenti, da pentimenti, da disastri politici ed umani che pure sono sotto gli occhi di qualsiasi militante del movimento dei lavoratori qualunque sia la sua appartenenza. Se sono lo strumento di altri, si tratta della solita vecchia merda. È, invece, importante cogliere i tentativi di criminalizzare l'opposizione sociale che hanno preso il via dopo l'attentato.

Come hanno rilevato diversi compagni, lo stato utilizza spregiudicatamente il ricatto morale. Lo stesso stato che non ha alcuna ripugnanza nel partecipare ad una guerra dopo l'altra e ad assolvere i proprietari di aziende che hanno determinato la morte di centinaia di lavoratori non trova affatto contraddittorio con la sua natura reale il chiedere ai suoi sudditi una dichiarazione di fedeltà alle istituzioni ogni volta che qualche "avanguardia rivoluzionaria", reale o presunta, ritiene di onorarci delle sue decisioni.

Tornando all'essenziale, sembra, dunque, che i giochi siano fatti: il governo arroccato sulla linea della "riforma del diritto del lavoro" e la CGIL come centro dello schieramento sindacale ricollocato in una pratica offensiva. Va detto, a questo proposito, che la situazione per la CGIL non è affatto così rosea come potrebbe far sembrare la manifestazione del 23 marzo. Se lo sciopero non piegherà il governo, infatti, il clima non potrà che arroventarsi e non è da escludersi, per il sindacato di stato, una sconfitta sulle questioni merito che non sarebbe compensata adeguatamente dalla vittoria di piazza.
La situazione, infatti, è decisamente meno lineare di quanto potrebbe sembrare oggi, se si guarda al medio periodo.

Il governo si è, come abbiamo detto, posto in una situazione difficile: non può cedere pena il riconoscersi sconfitto sul campo e vede crescere lo scontento anche in aree sociali ed elettorali che gli hanno dato fiducia. Le stesse bestialità non solo del guitto disgustoso Bossi e dell'ex burocrate della CGIL Sacconi ma di un "liberale" come il buon Martino sembrano volte a blindare la maggioranza su di una posizione "dura". Il meccanismo del ricatto funziona all'interno del ceto politico oltre che nei confronti della società. In realtà, l'unica via d'uscita ipotizzabile oggi, e senza escludere italici miracoli di altro genere, è una crisi interna alla Confindustria, la giubilazione dell'orrido D'Amato ed una soluzione "ragionevole" fra le "parti sociali" che sdoganerebbe un governo che, a questo punto, sarebbe legittimato nel cedere visto che non subirebbe più la pressione dei settori hard del padronato. La giubilazione di D'Amato, d'altro canto, non pare facile, almeno a breve, non foss'altro che perché, realizzandola, la Confindustria, riconoscerebbe quella sconfitta alla quale sottrarrebbe il governo. Ritengo probabile che i conti nel maggior sindacato padronale verranno regolati dopo la chiusura della vicenda dell'articolo 18 e, come dire?, a babbo morto.
Una svolta "mirata" della Confindustria potrebbe porre le condizioni per chiudere la partita con una riedizione della concertazione, una tenuta dell'attuale gruppo dirigente ed il rafforzarsi dell'asse con il governo aprirebbe prospettive di conflitto sociale al quale non siamo abituati da decenni.

Oggi, comunque andiamo verso lo sciopero generale di CGIL-CISL-UIL e, in problematica dialettica, verso quello del sindacalismo di base.
Come è noto, il cartello del sindacalismo di base che ha gestito lo sciopero del 15 febbraio aveva, nei giorni scorsi, deciso uno sciopero per il 19 aprile con manifestazioni a Milano, Roma e Palermo. Si tratta di una decisione positiva. Sarebbe stato, infatti, un errore politico sindacale notevole l'abbandonare l'iniziativa.
Oggi, 26 marzo, veniamo a sapere che CGIL-CISL-UIL hanno deciso lo sciopero generale per il 16 aprile.

È vero che la legislazione antisciopero, con ogni probabilità, porterà ad uno sciopero nella stessa data ma, anche in questo caso, un'indizione comune del sindacalismo di base sulla stessa piattaforma del 15 febbraio sarebbe un elemento di chiarezza da non sottovalutare.

Si tratta, quindi, di lavorare su questa ipotesi tenendo ferma sia la chiarezza delle rivendicazioni che il rifiuto dell'esito concertativo verso il quale la concertazione conflittuale della CGIL e la concertazione senza conflitto della CISL, in concorrenza ma anche in collaborazione, rischiano di portare il movimento.

Cosimo Scarinzi



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