Da "Umanità Nova" n. 12 del 7 aprile 2002
Una "piccola" Bomba
Gli Stati Uniti preparano il conflitto nucleare
Il 10
marzo alcuni grandi quotidiani americani hanno pubblicato una notizia
clamorosa: l'amministrazione Bush ha profondamente mutato la strategia
nucleare. La nuova strategia è contenuta in un documento che doveva
rimanere segreto denominato "Nuclear Posture Rewiew" (NPR) consegnato al
Congresso l'8 gennaio. Secondo quanto riferisce William Arkin la Casa Bianca ha
"ordinato al Pentagono di mettere a punto piani per l'uso di armi nucleari
contro almeno sette nazioni nominando specificamente non solo la Russia e
l'asse del male - Iran, Iraq e Corea del Sud - ma anche Cina, Libia e Siria.
Inoltre - prosegue Arkin - il dipartimento della difesa USA è stato
incaricato di prepararsi alla possibilità che l'impiego di armi nucleari
possa rendersi necessario in una futura crisi arabo-israeliana. Dovrà
inoltre sviluppare piani per l'impiego di armi nucleari come rappresaglia
contro attacchi biologici o chimici, nonché in caso di sviluppi militari
inattesi di natura non specificata." [1]. Quando
possono essere impiegate le armi nucleari? Il NPR lo dice chiaramente: esse
"possono essere impiegate contro obiettivi in grado di resistere ad attacchi
non nucleari o come rappresaglia per l'uso di armi chimiche, biologiche o
nucleari oppure nel caso di sviluppi militari inattesi" [2]. Finora il documento
era rimasto segreto e i funzionari dell'amministrazione Bush avevano risposto
evasivamente alle domande sul suo contenuto.
La sconvolgente novità è che mentre in precedenza gli strateghi
americani prevedevano di usare le armi nucleari come un'ultima risorsa in casi
del tutto eccezionali - come ad esempio un conflitto con l'Unione Sovietica -
oggi si prevede di usare la "bomba" senza bisogno di una minaccia di pari
portata alla sicurezza nazionale. Si prevede cioè di usare ordigni
nucleari anche nei conflitti convenzionali. Gli attacchi dell'11 settembre
servono benissimo a giustificare la sterzata: "È evidente che i
terroristi che ci hanno colpito l'11 settembre non sono stati intimoriti nel
farlo dal potente arsenale degli USA" ha dichiarato il 31 gennaio il segretario
del Dipartimento della difesa Rumsfeld agli ufficiali dell'Università
delle difesa di Washington, parlando di una revisione profonda di tutta la
strategia militare americana. "Adesso dobbiamo agire per avere una
capacità di dissuasione su quattro grandi teatri di operazioni...
ormai dobbiamo essere in grado di sconfiggere due aggressori contemporaneamente
avendo al tempo stesso la possibilità di condurre una grande
controffensiva e di occupare la capitale di un nemico instaurandovi un nuovo
regime"[3]. Anche qui si tratta di una accelerazione notevole poiché la precedente dottrina, elaborata nel 1991, prevedeva la capacità di condurre due grandi conflitti regionali contemporaneamente.
Nel quadro di questa nuova dottrina - che potremmo definire "post-afgana" - il
Pentagono è stato chiamato a elaborare piani che prevedono un uso
combinato di armi ad altissima precisione e ad altissima capacità
distruttiva, attacchi a lunga gittata con unità fortemente flessibili,
operazioni speciali di copertura. Gli specialisti americani sono quindi alla
ricerca di armi nucleari che possano essere utilizzate in conflitti come quello
contro i militanti di Al Qaeda o, più in generale, in conflitti
convenzionali contro i cosiddetti "Stati canaglia". Come sostiene il "NPR" si
tratta quindi di studiare "possibili modifiche delle armi esistenti al fine di
ottenere una flessibilità a rendimento aggiuntivo" che poi è una
maniera astrusa per dire che occorre rivedere il tabù sull'uso delle
armi nucleari per poterle finalmente usare nei conflitti convenzionali anche
perché come il Pentagono ha più volte sostenuto dopo l'11
settembre il nuovo nemico non combatte con metodi leali! Il Pentagono ha anche
teorizzato l'uso di metodi "non ortodossi" per la prevenzione e la dissuasione
dei conflitti come l'assassinio mirato dei dirigenti stranieri [4].
Sarebbe però sbagliato dire che tutto nasce con l'11 settembre: fin
dagli ultimi anni dell'amministrazione Clinton si è assistito al tacito
aumento della produzione di componenti necessarie alla costruzione di bombe
atomiche mentre da anni vanno avanti gli studi per realizzare il
"mininucleare", cioè testate atomiche estremamente precise con una
potenza non superiore ai 5 chiloton che secondo gli esperti provocherebbero
esplosioni meno forti di quelle provocate dalle superbombe sganciate nel
conflitto afgano [5]. "Un vantaggio delle armi a potenziale più basso è che i danni collaterali nella zona intorno al bersaglio possono essere
ridotti, fattore importante negli attacchi vicino alle arre urbane" si legge in
uno studio del Pentagono, pubblicato nel giugno 2000, che è servito da
traccia per la revisione strategica sfociata nel "NPR" [6]. Il bilancio del
Dipartimento dell'Energia prevede uno stanziamento per ulteriori studi su
"un'efficace arma nucleare in grado di penetrare nel terreno".
Dopo la fine dell'Unione Sovietica, nel 1991, gli Stati Uniti si sono trovati
nella singolare posizione di essere l'unica grande potenza globale e da quel
momento la loro sola preoccupazione è quella di mantenere questa
posizione predominante. Se l'amministrazione Clinton ha perseguito questo
obiettivo usando le istituzione sovranazionali - comunque sempre controllate
dagli Stati Uniti - l'avvento di Bush e della banda di guerrafondai che lo
affianca ha segnato una accelerazione della politica imperiale americana. Nella
convinzione che con l'uso della forza è possibile allontanare nel tempo
il momento della fine dell'egemonia americana, la nuova amministrazione ha
preso tutta una serie di decisioni unilaterali: realizzare lo "scudo spaziale"
e violare il trattato ABM, rifiutare il protocollo di Kyoto, sabotare almeno
fino all'11 settembre il lavoro dell'OCSE sui paradisi fiscali, sabotare la
Costituzione del Tribunale penale internazionale, accrescere lo scontro
commerciale con l'Europa, ecc. Privilegiando le azioni unilaterali e
rinunciando anche solo alla parvenza di un accordo con gli alleati, gli Stati
Uniti si pongono di fatto nella posizione di "padroni del mondo" il cui
obiettivo è "impedire ad ogni potenza ostile di dominare regioni le cui
risorse gli permetterebbero di accedere allo status di grande potenza...
scoraggiare i paesi industrializzati avanzati ad intraprendere ogni iniziativa
tesa a sfidare la nostra leadership o a rovesciare l'ordine politico ed
economico stabilito... prevenire il futuro emergere di qualsiasi concorrente
globale". [7] In breve: nessuno deve essere in grado di mettere in discussione
gli "interessi americani" per difendere i quali ogni mezzo è
giustificato compreso l'uso di armi nucleari, di "piccole dimensioni" e dagli
"effetti collaterali" limitati. Naturalmente.
Antonio Ruberti
Note
[1] Il piano segreto delinea l'impensabile", Los Angeles Times, traduzione apparsa su "Notizie Est Eurasia", n. 7 del 10 marzo (www.ecn.org/est/balkan)
[2] Ibidem. Alcuni estratti del "NPR" si trovano in
http://www.globalsecurity.org/wmd/library/policy/dod/npr.htm
[3] Citato da P.M. de la Gorce, "Bombarder pour controler", Le
monde diplomatique, marzo 2002.
[4] Notizia riportata da "Le Monde", 28 settembre 2001. A
proposito di "guerra sporca" c'è da segnalare l'interesse con cui gli
americani seguono le operazioni israeliane contro i palestinesi. Secondo il
generale Clark, ex comandante delle forze NATO nella guerra del Kosovo, quella
condotta nei territori palestinesi occupati è un'ammirevole esempio di
come sia possibile venire a capo di quelle che gli strateghi del Pentagono
definiscono "guerre asimmetriche" ("Times", 23 ottobre 2000).
[5] Le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki avevano una potenza
di 15 chiloton.
[6] Citato da Raffi Katchadourian, "Bomba su bomba", The Nation,
(traduzione pubblicata su "Internazionale" del 22-28 marzo).
[7] "Defense Policy Guidance 1992-1994", rapporto confidenziale
redatto in seno al Pentagono da Paul Wolfowitz, oggi segretario aggiunto alla
difesa, e J. Lewis Libby, oggi consigliere alla sicurezza del vicepresidente
Cheney. Citato da P.S. Golub, "Reves d'Empire de l'administration americaine",
Le monde diplomatique, luglio 2001.
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