unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 12 del 7 aprile 2002

Sommerso e salvato
Parla Ishmael, scampato al naufragio di Lampedusa

Ishmael è uno dei sopravvissuti al naufragio dell'imbarcazione che il 7 marzo scorso si è inabissata trascinando con se circa sessanta persone nei pressi dell'isola di Lampedusa. Non conosceremo mai le storie di chi adesso non c'è più, ma siamo consapevoli che il dolore e la sofferenza sono uguali per tutti.

Ishmael viene dal Sudan. Lo incontriamo a Palermo, nel giardino di un ricovero per indigenti. (...)

Ci accoglie con grande cordialità e sembra in forma, nonostante i postumi della bronchite e di altri malanni derivanti dalla sua allucinante esperienza.

Ecco quello che ci ha raccontato.

D: "Perché a un certo punto hai deciso di venire in Italia?"

R: "Decisi di venire qui perché sapevo che avrei trovato migliori condizioni di vita in Italia. Nel mio paese, in Sudan, c'è la guerra civile. Sono vent'anni che va avanti ormai, è un conflitto religioso. Il nord del paese è controllato dalla maggioranza mussulmana, il sud invece è cristiano. Io vengo dal sud e so bene che nella mia regione c'è il petrolio, ed è quello che interessa ai mussulmani.

Due anni e mezzo fa quelli del SPLA (Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan) cercarono di arruolarmi per fare la guerra. I leader di questo esercito sono John Garan e Rick Marshall. Io mi rifiutai di andare a combattere per loro perché non trovo che sia giusto uccidere, tanto meno per religione.

Decisi di andare in Egitto. Lì mi sono arrangiato lavorando in un lavaggio macchine mettendo da parte un po' di soldi nella speranza di trovare un'occasione per andarmene in Europa.

Qualche tempo fa seppi di una nave che dalla Turchia sarebbe andata in Italia. Presi contatto con un africano che mi fece da intermediario con un turco.

D: "Il prezzo per il viaggio?"

R: " Tremila dollari. Mi recai in Turchia a spese mie, poi arrivò il giorno della partenza. Mi trovavo con una ventina di persone su una spiaggia, e delle barchette ci trasportarono sulla nave che ci aspettava al largo già piena di passeggeri. Non so dire in quanti eravamo. Forse settanta, la nave era a due piani, io stavo in quello superiore, e per tutto il viaggio mi fu impossibile muovermi liberamente perché eravamo in tanti e le condizioni del viaggio pessime.

D: "Si è parlato della presenza di donne e bambini sulla nave..."

R: " Io posso dirti di aver visto otto donne circa, ma non bambini... ma davvero, può anche darsi che ce ne fossero. Dopo due giorni di navigazione abbiamo cominciato ad avere dei problemi ai motori.

Sapendo di non essere troppo lontani dalle coste italiane l'equipaggio decise di proseguire sfruttando il vento. Abbiamo continuato a viaggiare per sette, otto giorni. Le cose si complicavano sempre di più perché cominciava a scarseggiare il cibo finché non ci fu più nulla da mangiare o bere. Iniziammo a bere l'acqua di mare per tirare avanti. Non si poteva dormire perché il mare era agitatissimo per buona parte del tragitto. Uno di noi cominciò a dare segni di cedimento: in uno scatto si gettò in mare, e nel tentativo di salvarlo suo fratello si è buttato anche lui... ma sono morti entrambi.

Alle cinque di sera del 7 marzo abbiamo avvistato il peschereccio (il motopeschereccio "Elide" di Mazara del Vallo, NdR). Era molto lontano, e in un primo momento questo nemmeno si avvicinò a noi.

Poco dopo fece la sua comparsa un elicottero militare che cominciò a volare in tondo sopra di noi, e subito il peschereccio virò nella nostra direzione.

I pescatori ci lanciarono del pane e dell'acqua da bere. Con noi erano gentili, ma non ci fecero salire a bordo. Poi legarono la nostra imbarcazione alla loro e cominciarono a trainarci. Nel frattempo l'elicottero andava via. Fummo trainati per due ore e mezza circa. Dopodiché vedemmo delle luci in lontananza e a poco a poco capimmo che era una grossa nave militare (la "Cassiopea" NdR) Sembrava una nave americana... e c'erano molte persone dell'equipaggio a bordo che camminavano avanti e indietro lungo il ponte. Pensavo che ormai era fatta. "Adesso ci caricano a bordo e siamo salvi" pensavo tra me e me. Si misero dietro di noi a breve distanza per scortarci e illuminarci la rotta con delle potenti luci.

D: "Poi che è accaduto?"

R: "A un certo punto ci siamo fermati. La nostra nave ha cominciato a cedere. Il mare era molto mosso. È come se si fosse... spezzata. Non lo so, è scoppiato davvero il panico a bordo. Moltissimi non ce l'hanno fatta perché eravamo tutti stremati, non mangiavamo da giorni. I militari non hanno fatto assolutamente nulla. Alcuni di noi gridavano aiuto, pensavano di potercela fare dato che c'erano i militari. E invece niente. I pescatori lanciavano corde a noi che buttandoci a mare eravamo riusciti a raggiungere a nuoto il peschereccio. Ancora adesso non saprei dirvi quanti di noi si sono salvati. Faceva freddo, maledettamente freddo. Fui issato a bordo. I pescatori mi diedero qualcosa d'asciutto, una coperta, dei vestiti e mi misero in una cabina dove mi addormentai, sfinito.

Poi sono stato ricoverato a Lampedusa, ma poiché la febbre non accennava a diminuire e mi è venuta la bronchite, sono stato trasferito all'ospedale di Trapani con un elicottero. Adesso, grazie all'intervento di alcune persone (i compagni del Coordinamento delle Associazioni trapanesi per la Pace, NdR) mi trovo qui. E va decisamente meglio."

D: "Cosa conti di fare adesso?"

R: "Non lo so. Quando sarò completamente rimesso, cercherò un lavoro. A me piacerebbe continuare i miei studi, in verità. Facevo Economia in Sudan. Non escluderei di spostarmi e andare da qualche altra parte in Europa. Oppure in America, sarebbe bello".

D: "Posso farti una domanda stupida?"

R: "Spara! (ride...)"

D: "Perché si sta così male lì da voi?"

R: "Non è una domanda stupida...È giusto che ognuno se lo chieda. In Africa, praticamente in tutti i paesi il grande problema è la mancanza di democrazia. Ti faccio degli esempi: in Togo c'è un regime che va avanti da 36 anni, in Egitto sono 20 anni, Gheddafi in Libia? Neanche a parlarne... In Kenya un regime ventennale, e così via. Metti che oltre a un deficit di democrazia si aggiunge il problema dei conflitti interni mascherati da ragioni etniche o religiose ma fondati sostanzialmente su interessi economici. Le classi dirigenti sono tutte paurosamente corrotte. Nessuno vuole investire in infrastrutture o in cose utili alla popolazione. Preferiscono intascare i soldi del traffico d'armi e mettere la gente l'una contro l'altra. La gente si ammazza e loro si arricchiscono. Vedi, in democrazia se uno che governa non va bene puoi anche decidere di mandarlo a casa. Ma quando c'è un regime, o un presidente che sta lì da decenni, come fai? Quando non c'è democrazia per così tanto tempo, la gente non è nemmeno predisposta a uscirne fuori. C'è una grave carenza di istruzione, di educazione alla libertà. Le risorse ci sarebbero. Il problema è che vanno a finire da tutt'altra parte. Così, quando devi scappare oltre che dalla miseria anche da una guerra, non ci pensi due volte ad andar via. È capitato così anche a me. Volevano mandarmi a morire. (...)."

Continuiamo a parlare con Ishmael ancora per un bel po'. Parliamo di tutto, della situazione internazionale, della guerra in Afganistan e del Medioriente. È una persona con idee molto precise, non sempre condivisibili almeno da parte nostra, ma comunque sostenute da ragionamenti ed esperienze dirette. Prima di congedarci, aggiunge una cosa:

"Io tornerò in Sudan prima o poi. Voglio tornare nel mio paese per migliorare le cose lì".

Noi non possiamo fare altro che augurargli tutto il bene possibile. Ci basta sapere che adesso lui è qui, vivo e vegeto, e speriamo davvero che lui possa fare tutto quello che vuole.

Molti hanno pagato con la vita il sogno di un'esistenza migliore.

Lui che quell'inferno del mare lo ha vissuto sulla propria pelle, di certo, non lo dimenticherà.

T.A.Z. laboratorio di comunicazione libertaria



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org