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Da "Umanità Nova" n. 13 del 14 aprile 2002

Tobin Tax. Chi Attac chi?

L'etica è un campanello di bicicletta in un aereoporto internazionale.
(Ulrich Beck, da "Libertà o Capitalismo?")

L'apertura della campagna per la Tobin tax, lanciata da Attac Italia, con l'appoggio di Rifondazione Comunista, Verdi, sinistra DS, Arci e, si spera, dei Social Forum merita alcune considerazioni sia attorno alla legge proposta che, più in generale, sugli obiettivi perseguiti da Attac.

La campagna s'incentra su una raccolta di firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare e dovrebbe concludersi con un manifestazione nazionale il prossimo 19 luglio, anniversario delle giornate genovesi.

Proprio alla vigilia del vertice del G-8, vale la pena ricordarlo, per volere dell'ex-ministro Ruggiero (già direttore generale del WTO) il centro-sinistra accettò di cancellare la Tobin tax dal documento presentato alla Camera dei deputati con logica bipartisan da governo e centro.-sinistra; ma vediamo di cosa si tratta.

Attac (Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie per l'Aiuto ai Cittadini) viene fondata nel '98 su iniziativa del noto mensile "Le Monde Diplomatique", allo scopo di sviluppare "un movimento internazionale per il controllo democratico dei mercati finanziari e delle loro istituzioni" che cominciasse ad attaccare, appunto, "la completa libertà della circolazione dei capitali, i paradisi fiscali e il dilagare delle transazioni speculative"; gli scopi di Attac infatti sono: ostacolare la speculazione internazionale, tassare le rendite da capitale; sanzionare i paradisi fiscali; impedire la generalizzazione dei fondi pensione; incoraggiare la trasparenza degli investimenti dei paesi dipendenti; stabilire un quadro legale per le operazioni finanziarie e bancarie; l'annullamento del debito pubblico dei paesi dipendenti.

Forte di questa originale impostazione, definibile come riformista ma decisamente antiliberista, Attac ha raccolto in pochi anni considerevoli adesioni internazionali sia individuali che collettive, svolgendo un importante ruolo di analisi e controinformazione sulle dinamiche globali dei mercati e le nefandezze antisociali del neoliberismo.

In tale strategia di denuncia e lotta, s'inserisce l'obiettivo di una legge che, ricalcando la Tobin tax, imponga una tassazione, oscillante tra lo 0,1 e lo 0,2%, da applicare sui movimenti di capitali nel tentativo di sottrarre qualcosa ai gruppi economici dominanti per destinarli ad uso sociale; ma tale obiettivo, seppur minimale, oltre ad incontrare la scontata contrarietà del potere economico è stato avversato pure dai governi socialdemocratici francese e tedesco, mostrando tutta la sua debolezza teorica e pratica.

I problemi che infatti la rivendicazione della Tobin tax, quale primo passo verso un'improbabile democratizzazione dell'economia capitalista, sono evidenti, a meno che s'intenda fare soltanto della propaganda.

Sperare di imporre "sanzioni" sociali al potere economico, in una fase storica in cui si smantella senza pietà il welfare state, può apparire anche un obiettivo giusto e ragionevole - seppur parziale - ma non è praticabile nel momento in cui il dominio è tutt'altro che favorevole ad accogliere anche le più moderate proposte riformiste, e questo non perché abbiamo di fronte un Impero, vorace e cattivo, ma perché è la stessa legge del profitto a determinare le politiche dei governi e delle multinazionali, guerre imperialiste comprese.

In secondo luogo, tale obiettivo, nella sua realizzazione ipotetica, subirebbe la stessa sorte che hanno gli aiuti umanitari o i vari fondi di sostegno ai paesi poveri dell'Africa: nella migliore delle ipotesi una goccia nel mare della disperazione sociale oppure un'ulteriore forma di finanziamento truccato alle classi e ai ceti possidenti di quei paesi o, peggio ancora, coperture finanziarie ed istituzionali per operazioni e traffici illeciti come nel caso della Somalia e dell'Albania.

Già ora gli accordi cartacei internazionali prevedono vanamente che il 7,5 per mille del PIL di ogni paese sviluppato sia destinato alla cooperazione internazionale. La realtà è che l'Italia, per esempio, ne destina solo il 2 per mille.

Inoltre si porrebbe ancora il problema - non marginale - del chi controlla chi e come? Chi sarebbe il garante delle tassazioni sui flussi finanziari e della loro destinazione? I governi nazionali oppure la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale o l'Onu?

In ogni caso, sarebbe come il gioco delle tre carte.

Purtroppo - è nostra convinzione - non esistono spazi per politiche di riforma all'interno del sistema capitalistico ed il loro carattere illusorio non è dettato dal nostro "estremismo" ma determinato dalla dittatura economica che le impedisce o, tutt'al più, le utilizza per rafforzarsi.

Peraltro come l'Argentina dimostra, le contraddizioni e i conflitti sociali stanno esplodendo in un'altra maniera e con ben altra radicalità.

Forse però le banche devastate e i centri commerciali saccheggiati di Buenos Aires non rientrano nella "resistenza al neoliberismo" auspicata da Attac; basti ricordare la dichiarazione assai snob di Susan George, vicepresidente dell'associazione, dopo Goteborg e prima del G-8 di Genova: "A causa di qualche cretino ingestibile, ci prendono per anticapitalisti primari e antieuropeisti violenti. Queste violenze anarchiche sono più antidemocratiche delle istituzioni che pretendono combattere".

Sandra K.

Testi utilizzati: "Un mondo diverso è possibile" pubblicazione di Attac; Comunismo Libertario n. 52 - dicembre 2001; "Tobin tax, tutti insieme è possibile", intervento di Attac-Italia su Liberazione del 18.01.02; "Tobin tax, idee in movimento", articolo su Liberazione del 24.01.02; "Il fronte francese guidato dai militanti di Attac", articolo su Il Messaggero, 30 giugno 2001.



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