Da "Umanità Nova" n. 14 del 21 aprile 2002 Dibattito: l'autobus no-globalÈ ormai abbastanza evidente come il "movimento dei movimenti" - simbolicamente nato nel Chiapas il 1 gennaio 1994, ma sviluppatosi da Seattle 1999 sino a Genova 2001 e Porto Alegre 2002 - contenga al proprio interno una ampia articolazione di posizioni politiche e di contenuto analitico e critico, ossia di prospettiva di lettura del presente e di prospettiva di percorso verso un orizzonte più o meno vicino. Anche dal punto di vista organizzativo, la prevalenza di preferenze verso i Social forum (chissà perché in inglese...) non preclude altre reti di darsi strutturazioni meno omogenee, e comunque anche al loro interno le varianti caso per caso, località per località prevalgono ancora oggi sul tentativo palese di un segmento di ceto politico di trasformare i social forum in... political forum, ossia in intergruppi di organizzazioni i cui leader si autodelegano a concordare scadenze, selezionare eventi, fare calendario, muoversi dentro e fuori le istituzioni centrali e locali, eredi di una tradizione comunista oggi assunta da Rifondazione, partito di lotta e di governo insieme.
Per chi programmaticamente elude la "politicità" (in senso deteriore) dell'impegno sociale, quindi sceglie consapevolmente la strada come spazio di azione e l'orizzontalità come metodo che forma l'aggregazione sociale, il fare società minore entro la società cosiddetta civile, è comprensibile che avere a che fare con militanti vecchia maniera (a prescindere dall'età anagrafica), con i tipici tatticismi, sotterfugi, sgambetti e frazionismi dà sicuramente voltastomaco, e la tentazione di mandarli a quel paese è forte anche perché la storia ripetuta due volte, non essendo possibile, spesso somiglia a una farsa da cui è meglio tenersi alla larga.
Ecco allora avanzare l'ipotesi, in buona parte dei movimenti anarchici in giro per il mondo, di contrapporsi dall'esterno a questo "movimento dei movimenti", a disertare i luoghi di espressione simbolica e di visibilità mediatica, ad attaccare le posizioni moderate e socialdemocratiche senza mezzi termini in quanto non all'altezza dei gravi problemi che affronta la terra e l'umanità in essa.
Tutti ci poniamo il dilemma: dobbiamo o no avere relazioni con questo tipo di movimento, con i social forum locali, con le scadenze tipiche dei no-global (brutta e fuorviante espressione)? E cosa fare in alternativa? Io credo che gli interrogativi siano mal posti. Per spiegarmi con una immagine a tutti comprensibile, io credo che molti compagni ragionino avendo in mente uno schema del tipo: devo o meno salire su un autobus? E se scelgo di salire, ho le forze per farlo andare verso la destinazione a me più congeniale? E con chi "allearmi" in tal senso? E se la direzione fosse immodificabile? Allora sicuramente sarebbe preferibile addirittura rifiutarsi di salire!
Questo schema mi sembra erroneo per una premessa ed una considerazione relativa all'epoca storica in cui viviamo. La premessa errata è, a mio avviso, che indipendentemente dalla nostra percezione, non si pone il dilemma se salire o meno perché noi siamo già nell'autobus, a meno di non "tradire" la tensione di un anarchismo organizzato che è tale perché sceglie sempre la conflittualità sociale come spazio di espressione e di azione (diretta). La considerazione, d'altronde, attiene al panorama storico, che vede stati e capitali coalizzati, talvolta sfasati dal punto di vista temporale o spaziale, talaltra in modo contraddittorio o confliggente, al fine di dominare il pianeta a costo di insanguinarlo violentemente, di depredarlo totalmente, di rovinarlo per le prossime generazioni.
In altri termini, data la realtà, non c'è altro autobus immaginabile se non uno che si oppone in maniera di volta in volta insufficiente in quanto mediatica o politicista o moderata, ma ancora sufficientemente plurale per poter far emergere altre strategie, altre ipotesi organizzative, altri contenuti, altre modalità di fare società e costruire reti realmente orizzontali. Questa epoca offre come vettore di trasformazione qualitativa dell'esistente "l'autobus cd. no-global", dentro il quale guai a pensare o a far credere che gli anarchici siano assenti, perché marginali, emarginati o addirittura autoesclusisi. Ovviamente, starci dentro con le nostre peculiarità, le nostre pratiche, i nostri contenuti, salvaguardando gli spazi di agibilità con le necessarie convergenze di chi sceglie il tessere relazioni sociali con chi è diverso e non può essere costretto ad adottare stile di vita e di pensiero tout court anarchico o libertario, quando per esempio non ne conosce le caratteristiche. Il che si traduce in azione politica coesa tra di noi, a livello locale, e coordinata su scala nazionale (passatemi il termine) affinché l'anarchismo organizzato si stagli come articolazione coerente del "movimento dei movimenti", avendo cose da dire e da fare insieme agli altri, prospettando nelle dovute gradualità articolazioni di analisi e di critica "eccentriche", spiazzanti, radicali insomma rispetto alle strategie di coesistenza e di governo con e della globalizzazione, magari assumendone il volto umano depurato dalle truci imprese transnazionali ma rinvigorendo élite politiche statuali altrettanto responsabili dei disastri del mondo. Ma tale argomentazione va articolata appunto non in sede e con modalità ideologiche (che escludono dalla comprensione altrui perché immerso in altra costellazione concettuale), bensì sostanziandola politicamente con tesi e esempi inoppugnabili. Non cambieremmo idea ai sostenitori di "Le monde diplomatique", ma comunque impianteremmo un altro modo di considerare il rapporto stato/capitale più congeniale alla nostra critica del potere e del dominio. Questo tanto per fare un esempio di metodo.
Credo infine che il fare politica per noi significhi proprio tenere bene in mente l'obiettivo dell'estensione delle relazioni sociali con segmenti sempre più vasti della società, entro cui provare a tessere sperimentazioni di autogoverno parallele ai tentativi in corso di allargare la partecipazione ai minimi aspetti di governo degli enti locali attraverso i bilanci partecipativi. Anche qui, senza rifiutare a priori la tensione che muove dietro a tale proposta, bensì sforzandoci di prospettare limiti e superarli con ipotesi altrettanto partecipative, dalla valenza superiore in fatto di allargamento di spazi di espressione e di libertà autorganizzata, nonché di incidenza sugli equilibri di potere istituzionali riportando lo scettro della sovranità ai cittadini senza tessera e non ai professionisti della politica. Ma su questo piano, l'anarchismo organizzato dovrà lavorare sulla propria storia con i necessari aggiornamenti e le doverose integrazioni e correzioni (per non indulgere in deleterie riproposizioni nostalgiche e ideologiche) al fine di avanzare una ipotesi sperimentale che possa coniugare e declinare insieme individui diversi, obiettivi differenziati, stati d'animo plurali, tensioni sociali collettive, opportunità del momento. Mantenere congiuntamente l'insieme di questi elementi sarà la sfida che avremo a medio e lungo termine nel tessere sin da ora la fibra di una società libertaria a venire, al di fuori di ogni suggestione immediatistica di certo agonismo giovanilista e nichilista che non si pone affatto problemi di tale natura perché soddisfatto della gratificazione autoreferenziale guadagnata sul campo di lotta. Salvo Vaccaro
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