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Da "Umanità Nova" n. 14 del 21 aprile 2002

Approvato lo sblocca-centrali
Liberi di inquinare

"Al fine di evitare l'imminente pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale e di garantire la necessaria copertura del fabbisogno nazionale, la costruzione e l'esercizio degli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, gli interventi di modifica e ripotenziamento, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all'esercizio degli stessi, sono dichiarati opere di pubblica utilità e soggetti ad una autorizzazione unica rilasciata dal Ministero delle attività produttive, la quale sostituisce le autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati, previste dalle norme vigenti...".

Queste poche righe, secche e dal tono inequivocabilmente autoritario, costituiscono il primo comma dell'articolo 1 del decreto legislativo detto "sblocca-centrali" approvato dal parlamento il 3 aprile. Nel secondo comma si stabilisce che l'iter autorizzativo deve concludersi entro 180 giorni mentre nel secondo, e ultimo, articolo si mantiene l'obbligatorietà del parere di Regioni e Comuni che però saranno costretti a darlo entro i tempi stabiliti anche a costo di mutare i piani urbanistici ("Il Sole-24 Ore", 4/4/2002). Insomma nella pratica la decisione che conta sarà quella del Ministero delle attività produttive (ex Ministero dell'industria).

L'approvazione del decreto costituisce un avvenimento estremamente grave poiché esso instaura una procedura super semplificata che rischia di aver l'effetto di infestare il territorio con una moltitudine di nuovi impianti (si parla di almeno un centinaio di centrali nuove o ripotenziate, si veda "UN" del 24/3/2002), giustificata con una emergenza per lo meno amplificata. Stando alle cifre fornite dal gestore di rete, oggi gestito dal Ministero dell'economia, la produzione nazionale è di circa 49mila MW termici mentre il picco della richiesta raggiunto l'11 dicembre 2001 è stato di poco inferiore ai 52mila MW, ma le importazioni (nel 2001 circa 6mila MW) garantiscono una quota di sicurezza sufficiente ad evitare black-out nei prossimi anni ("Repubblica", 11/3/2002). Quindi il pericolo di interruzione non è "imminente". In realtà dietro lo "sblocca-centrali" ci sono gli interessi dei grandi gruppi industriali entrati nel settore energetico dopo la liberalizzazione che lascerà all'ENEL una quota minoritaria della produzione di energia. Si tratta di un mercato, circa 25 miliardi di euro l'anno ("Milano Finanza", 3/7/2001) che ha scatenato gli appetiti di molti: la FIAT, che l'anno scorso entrò in conflitto con Mediobanca anche per arrivare al controllo di Montedison e quindi di Edison, uno dei colossi italiani in campo energetico capofila del consorzio che recentemente ha acquistato Eurogen, la seconda genco ceduta dall'ENEL, la Lucchini, che si è gettata nel business dell'energia dal quale aveva già ricavato un bel po' di soldi grazie alle sovvenzioni statali ("Espresso", 23/11/2000), la Merloni-Foster Wheeler (Usa), l'Enipower, branca per la produzione di energia elettrica del colosso petrolifero recentemente privatizzato, la CIR di Carlo De Benedetti, la spagnola Endesa, capofila del consorzio acquirente di Elettrogen, la prima genco ceduta da ENEL, che ha proposto di rilanciare le centrali a carbone, ecc. Si tratta di poteri forti che vedono come fumo negli occhi le resistenze delle popolazioni, motivate dai disastri ambientali provocati dai nuovi impianti e che spesso costringono gli enti locali a non dare quei pareri favorevoli che lo "sblocca-centrali" vorrebbe rendere ora praticamente inutili.

Insomma l'unico vero obiettivo di governo e industriali è quello di smorzare le mobilitazioni ecologiste. Il nostro impegno è quello di far fallire questa manovra Il governo così preoccupato di compiacere i suoi grandi elettori ha invece lasciato cadere una parte importante del decreto, quella relativa al rimborso degli "stranded-costs", cioè le quote versate dallo Stato all'ENEL per "compensarlo" degli investimenti effettuati in passato per aumentare la sicurezza, per diminuire l'impatto ambientale degli impianti, per acquistare a prezzo politico l'energia dagli autoproduttori, ecc. e che oggi non sono più recuperabili a causa della liberalizzazione.

Tanto per rendersi conto di cosa siano gli "standed-costs" è bene sapere che solo nel 1999 l'acquisto di energia dagli autoproduttori, il famoso CIP 6, costò allo Stato 20580 miliardi di lire (pari a 10,6 miliardi di euro) che li finanziò con una soprattassa agli utenti pari a 11 lire ogni Kw consumato. Se il governo non provvederà a "tappare il buco", le bollette potrebbero aumentare di circa il 4% nei prossimi sei anni ("Repubblica", 26/3/2002). Questo mentre già oggi in Italia il costo dell'elettricità per le utenze domestiche è il più caro d'Europa (+ 23,5% della media UE, "Il sole-24 ore" del 24/3/2002).

M.Z.

Un'alternativa di transizione verso le fonti rinnovabili: l'utilizzo più efficiente del gas naturale nelle centrali già in funzione

Per chi scrive esiste la possibilità di un utilizzo del gas metano per produrre energia elettrica con un minore impatto ambientale ed in una fase di transizione rispetto all’utilizzo estensivo di fonti di energie rinnovabili che deve essere un obiettivo non certamente affidabile al "libero mercato".
Studi effettuati per un utilizzo più efficiente del gas naturale nell’industria italiana introducendo tecnologie avanzate di cogenerazione hanno individuato i seguenti "scenari" volti anche a ridurre l’impatto ambientale della produzione energetica:

  1. ripotenziamento con turbine a gas avanzate delle centrali a vapore cogenerative già operanti a gas naturale;
  2. ripotenziamento con turbine a gas avanzate anche delle centrali cogenerative alimentate a olio combustibile;
  3. sostituzione e applicazione degli utilizzi elettrici a metano nelle centrali termoelettriche esistenti, a basso rendimento.

La stima degli effetti di questi scenari ipotizzati sono i seguenti, sia in termini di maggiore produzione di energia elettrica, di riduzione di consumo di combustibili tradizionali, di effetto sulle emissioni di gas serra e di altri inquinanti.

Effetti Scenario A Scenario B Scenario C
Maggior consumo di gas, GWh 45.100 154.200 0
Minor consumo di olio combustibile, GWh 0 54.300 12.200
Maggior produzione elettrica, GWh 28.300 64.800 11.300
Minor consumo di olio combustibile per evitata produzione elettrica, GWh 74.500 170.600 29.700
Minor fabbisogno energetico, Mtep 2,53 6,06 3,60
Minori emissioni di anidride carbonica, Mton 11,5 31,6 11,60
Minori emissioni di ossidi di zolfo, Mton 0,128 0,387 0,072
Minori emissioni di ossidi di azoto, Mton 0,041 0,118 0,048

Nota: Per la stima delle emissioni si sono adottate le seguenti ipotesi :per l'anidride carbonica, da composizioni medie di gas naturale e olio combustibile;per gli ossidi di zolfo, olio BTZ con 1 % di zolfo, zolfo assente nel gas;per gli ossidi di azoto, turbine a gas 25 ppm vd 15 % di ossigeno, caldaie a gas 3 % di ossigeno, caldaie a olio 300 ppmvd al 3 % di ossigeno.
Fonte: G. Lozza, Politecnico di Milano, "Scenari tecnologicamente avanzati per un utilizzo più efficiente del gas naturale nell'industria italiana".

In sintesi :
in relazione allo scenario a) si otterrebbe l'obiettivo di "svincolarci da gran parte delle importazioni di elettricità o di rinunciare alla costruzione di nuove centrali termoelettriche per un ammontare indicativo di oltre 6.000 MW"; in relazione allo scenario b) si avrebbe un raddoppio della energia elettrica generata dagli impianti cogenerativi potenziati, "gli impianti di cogenerazione industriale produrrebbero circa 8.000 GWh, quasi la metà dell'energia globalmente generata oggi per via termoelettrica in Italia, ENEL compresa";in relazione allo scenario c) i rendimenti aggiuntivi "libererebbero circa 7.874 Mmc/a" di gas metano "oltre all'intero consumo ipotizzato nello scenario a) (5.864 Mmc/a)" si avrebbe "una generazione elettrica aggiuntiva di circa 11.290 GWh/a ottenuta a parità di consumo globale di gas naturale e con una riduzione significativa dei consumi di olio". In altri termini la via della riduzione del deficit produttivo (al 1998 pari a 40.732 GWh) non è esclusivamente basata sulla realizzazione di nuove centrali termoelettriche ancorché basate su cicli cogenerativi a metano a minore impatto ambientale ma ha nella riconversione, ripotenziamento e miglioramento dell'efficienza delle centrali esistenti una strada concreta rispettosa degli obiettivi di riduzione dell'emissione di gas serra e nel contempo in grado di coprire in buona parte o del tutto l'attuale deficit di produzione di energia elettrica (ma su questo occorrerebbe anche parlare degli usi attuali dell'energia e degli elevati risparmi ottenibili con l'applicazione di tecnologie conosciute).

Scheda curata da Marco Caldiroli, Medicina democratica, che ringraziamo per avercela fornita.



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