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Da "Umanità Nova" n. 15 del 28 aprile 2002

Il ritorno del caporalato
Licenziato il collocamento

"Aziende come la Manpower hanno avuto una crescita del 240 per cento tra il 1985 ed il 1995. Al momento in cui scrivo (1998 n.d.r.), la Manpower, che ha 600.000 persone sul libro paga, di fronte alle 400.000 della General Motors e alle 350.000 della IBM, è il più grande datore di lavoro degli Stati Uniti" (Richard Sennett, "L'uomo flessibile").

Con lo stile da colpo di mano che lo contraddistingue, il governo Berlusconi ha inferto un altro attacco allo Statuto dei Lavoratori, facendo passare un decreto legge che "riforma" il collocamento obbligatorio pubblico, decreto che verrà convertito definitivamente in legge nei prossimi 60 giorni.

La disciplina del collocamento era sottoposta da vari anni ad una progressiva erosione legislativa, partita nei primi anni `80 e proseguita nel tempo fino ai più recenti e definiti esiti. Furono i governi Craxi della metà degli anni '80 che cominciarono (ministro del Lavoro Gianni De Michelis) a lavorare sul collocamento e sulle norme dello Statuto dei Lavoratori che lo inquadravano come servizio pubblico, trasparente e gratuito, destinato a garantire i lavoratori rispetto alle discriminazioni politiche e sindacali che da sempre avevano funzionato nel "mercato delle braccia" degli anni '50 e '60.

Nello Statuto, nelle sue "norme sul collocamento" del Titolo V, agli articoli 33 e 34, erano condensati i frutti delle lotte bracciantili ed operaie del ventennio precedente. Lotte contadine, che avevano attaccato il caporalato nelle regioni agrarie del sud, contro una borghesia arretrata che non esitava a richiedere alla mafia la repressione delle lotte bracciantili e demandava ai capibastone l'arruolamento a giornata della forza lavoro nelle leve affamate del proletariato senza qualifica e senza terra; lotte operaie, che avevano cercato di colpire l'istituto della "benedizione" del prete o la "raccomandazione" del parente o il "nulla osta" del maresciallo dei carabinieri nel sistema di assunzioni di fabbrica.

Norme che erano ben riassunte nell'articolo 33 dello Statuto dei Lavoratori: "La Commissione per il collocamento ...è costituita obbligatoriamente... quando ne facciano richiesta le organizzazioni sindacali dei lavoratori più rappresentative ...La Commissione ha il compito di stabilire e di aggiornare periodicamente la graduatoria delle precedenze per l'avviamento al lavoro... Salvo il caso nel quale sia ammessa la richiesta nominativa, la sezione di collocamento, nella scelta del lavoratore da avviare al lavoro, deve uniformarsi alla graduatoria di cui al comma precedente, che deve essere esposta al pubblico presso la sezione medesima e deve essere aggiornata ad ogni chiusura dell'ufficio con la indicazione degli avviati. Devono altresì essere esposte al pubblico le richieste numeriche che pervengono dalle ditte".

Tutto questo ha cominciato ad andare in crisi quando è cominciata la ristrutturazione, cioè quello che Sennet chiamerebbe il "reengineering" della produzione sociale. Gli assi portanti su cui reggeva il sistema di collocamento pubblico sono crollati: l'omogeneità professionale dei lavoratori, la richiesta indistinta di forza lavoro da parte delle aziende, la forza e la volontà delle organizzazioni sindacali nel difendere un insieme di norme, la stabilità della produzione e del mercato.

Il decollo dei contratti di lavoro atipici, partiti con gradualità con De Michelis (i primi contratti di formazione lavoro) alla metà degli anni '80, la riforma della Cassa Integrazione Guadagni nel 1991 con l'introduzione della legge sulla mobilità, l'esplosione del lavoro coordinato e continuativo e poi il pacchetto Treu nel 1998, che introduceva il lavoro interinale e l'intermediazione privata di manodopera hanno distrutto tutto il sistema di garanzie degli anni settanta. Non stupisce che nell'ultimo anno il collocamento sia arrivato a svolgere un ruolo così marginale nel fare incontrare domanda e offerta di lavoro: solo il 2,5% della forza lavoro è stata assunta con il collocamento.

In questo contesto lo smantellamento delle liste e l'eliminazione del libretto di lavoro non fanno quasi notizia: molti dirigenti degli Uffici Provinciali del Lavoro si sono stupiti del clamore suscitato dal decreto del governo, dato che è il naturale completamento dell'opera intrapresa dal centro-sinistra e dal suo ultimo Ministro del Lavoro Cesare Salvi.

Con la nuova normativa verrà considerata disoccupata una persona priva di lavoro ma "immediatamente disponibile allo svolgimento o alla ricerca di lavoro" Chi rifiuta le iniziative formative o una congrua offerta di lavoro a tempo indeterminato o a termine per la durata di 8 mesi (4 per i giovani) perde lo status di disoccupato. Si conserva lo status di disoccupato solo nel caso in cui lo svolgimento dell'attività lavorativa assicura un reddito inferiore ai 6.145 euro l'anno. Le liste di collocamento scompaiono (escluse quelle relative ai disabili, al personale dello spettacolo, alla gente di mare e alle liste di mobilità), sostituite da un elenco anagrafico. Il libretto di lavoro viene sostituito da una scheda professionale. Si estende a tutti il principio della chiamata diretta e nominativa, l'unico obbligo per i datore di lavoro è comunicare agli uffici del collocamento l'avvenuta assunzione. Il vecchio collocamento si trasforma in una agenzia per i servizi all'impiego, in totale concorrenza con le società di lavoro interinale per formazione, data base e avviamento al lavoro. Entro 90 giorni i disoccupati devono essere convocati per un colloquio d'orientamento, entro 180 giorni deve cominciare per loro un'attività formativa, cui non possono sottrarsi pena la decadenza di qualunque appoggio assistenziale, formativo e informativo.

Decolla alla grande, anche in Italia, il workfare, cioè quel sistema per cui la disoccupazione di lungo periodo non va tollerata, né assistita: si tratta di operare una discriminazione tra disoccupati "veri", quelli che effettivamente non trovano lavoro per incomunicabilità tra domanda e offerta, e i disoccupati "finti", quelli che non fanno niente per lavorare, o perché non ne hanno voglia, o perché non ne hanno bisogno. Questa è anche una ghiotta occasione per "aprire" alle società di lavoro interinale e temporaneo, un settore guidato dalle grandi multinazionali Manpower, Adecco, ecc., che saranno ben presto messe in condizione di colonizzare il mercato (la stessa Fiat punta al terzo posto in Italia, con un grosso lavoro di acquisizione e fusione di piccole realtà già esistenti).

Insomma, le statistiche sulla disoccupazione ci diranno forse qualcosa di più affidabile, i sussidi statali dovranno essere ben meritati, le agenzie private avranno un ricchissimo terreno di business. E i disoccupati potranno diventare dei lavoratori precari per brevi periodi, facendo impennare le statistiche ufficiali sui "nuovi posti di lavoro" creati dal governo dei miracoli. Un bel risultato davvero.

Renato Strumia



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