Da "Umanità Nova" n. 15 del 28 aprile 2002
Italia: il governo rilancia l'atomo
Il ritorno del nucleare
Negli ultimi giorni si è riaperto in Italia il dibattito sul nucleare. Senza
che ve ne fosse una ragione precisa e sull'onda delle prese di posizione di
Bush e del Commissario all'Ambiente della UE Layolo de Palacio, vari esponenti
politici hanno rilanciato l'ipotesi nucleare. Le esagerazioni sul rischio black
out che hanno accompagnato sui media l'iter parlamentare del decreto detto
sblocca centrali e i riferimenti strumentali al rispetto dell'accordo di Kyoto
sulla riduzione delle emissioni inquinanti provocate dai combustibili fossili
sono servite da scusa per riaprire un dibattito chiuso in Italia dal referendum
del 1987 e dalle grandi battaglie dei movimenti antinucleari degli anni '70 e
'80. In questo quadro per molti versi paradossale, grande risalto è
stato dato al documento sulle questioni energetiche approvato il 18 aprile
dalla commissione attività produttive della Camera, che autorizza le
industrie italiane a partecipare all'attività di ricerca e di produzione
nucleare all'estero. In concreto il governo Berlusconi ha dato mano libera sul
nucleare fuori dai confini nazionali all'ENEL di Chicco Testa (DS), presidente,
e Tatò, amministratore delegato, entrambi nominati dal centro sinistra.
Si capisce quindi il sostegno dei Ds al documento approvato il 18 aprile.
Lasciando perdere le squallide vicende degli accordi sottobanco fra maggioranza
e opposizione c'è da domandarsi se la situazione del nucleare nel mondo
giustifichi, anche solo dal punto di vista biecamente padronale, questo
tentativo di svolta. Ecco una breve rassegna tratta da documenti di Greenpeace
e del Worlwatch Institute e integrata da notizie di fonte giornalistica.
Il programma di sviluppo dell'energia nucleare "Atom for peace" lanciato dal
presidente americano Truman nel 1953 prometteva una fonte energetica sicura e a
basso costo. L'espansione di questa industria, in realtà, è
servita per lo più a coprire una parte dei costi della produzione
industriale di bombe atomiche. Dopo il boom degli anni '70 e '80 che
portò la capacità nucleare mondiale dai 16 GW (Gigawatt) del 1970
ai 328 GW del 1990, le preoccupazioni ambientali e i costi hanno però
minato l'avanzata di questa energia tanto che nel 1999 la capacità
mondiale del nucleare era di 345 GW, appena un modesto + 5%.rispetto al 1990.
Così alla fine del 1999 nel mondo erano operativi 431 reattori, solo uno
di più che nel 1995. Negli Stati Uniti funzionano 104 reattori
che producono il 19,80% dell'energia, ma l'ultimo ordinativo di nuova centrale
atomica risale addirittura al 1978! Sempre negli Stati Uniti negli ultimi 30
sono stati cancellati ordinativi per la costruzione di 123 impianti nucleari
mentre si calcola che il 40% dei reattori in funzione rischia la chiusura per
gli alti costi: il Dipartimento per l'energia USA prevede che il 31% della
capacità nucleare del paese sarà smantellata entro il 2015. In
Gran Bretagna ci sono 35 reattori, ma anche qui nessun nuovo reattore
è in costruzione dopo il fallimento della privatizzazione del nucleare:
gli investitori privati hanno considerato il nucleare troppo rischioso e
costoso. Il governo Blair prevede di chiudere entro quest'anno due centrali.
Nel 1990 in Canada è stato cancellato il piano che prevedeva la
costruzione di 10 reattori entro il 2024. In Francia (59 reattori) il
governo ha accettato una moratoria fino alle elezioni presidenziali di questi
giorni. La Svezia (11 reattori) e la Germania (19 reattori) hanno
votato una graduale uscita dal nucleare: la Svezia ha definitivamente chiuso il
primo reattore nel 1999 mentre la prima centrale tedesca verrà chiusa
nel 2003, l'ultima nel 2021. Dal canto suo l'Olanda ha annunciato la
chiusura entro il 2003 del suo unico impianto. Anche il Belgio ha
recentemente deciso di chiudere fra il 2014 e il 2025 i suoi sette reattori.
È bene ricordare che nel 1984 in Spagna (oggi 9 reattori) fu
decisa la moratoria su nuovi impianti. In definitiva nell'area più
sviluppata del mondo (Europa occidentale e Nord America) non si prevede la
costruzione di nessun nuovo reattore mentre molti dei reattori funzionanti
stanno per chiudere.
È nota la disastrosa situazione del nucleare nei paesi dell'ex blocco
comunista. In Russia, dove sopravvivono 29 reattori, dei dieci nuovi
reattori previsti nel 1995 solo 3 hanno ricevuto i finanziamenti necessari,
mentre gli altri sono stati definitivamente cancellati. Nuovi reattori sono
previsti in Ucraina (4), Repubblica Ceca (2 reattori della
famigerata centrale di Tamelin), Slovacchia (2) e Romania (1) ma
nessun nuovo reattore e previsto nei paesi della ex-Jugoslavia, in
Ungheria e in Bulgaria che invece ha annunciato che
chiuderà due reattori entro la fine del 2002 e altri due entro il 2006.
C'è però da segnalare che in Slovacchia i due nuovi reattori
sostituiranno vecchi impianti obsoleti che verranno chiusi entro il 2008.
Complessivamente, dunque, il nucleare è in crisi anche nell'Europa
dell'Est.
L'Asia è l'unico continente in cui il nucleare sembra ancora in grado di
progredire: quattro nuovi impianti sono previsti in Giappone che oggi ne
ha 53; quattro impianti sono progettati anche in Corea del sud che ne ha
14 funzionanti; tre nuovi impianti sono previsti in India dove ne
funzionano attualmente 11. Sette nuovi impianti sono previsti in Cina ma
il piano subisce continui ritardi e le centrali funzionanti rimangono da anni
solo tre. Taiwan ha invece definitivamente annullato i due reattori che
aveva progettato.
I politici che blaterano di rilancio del nucleare farebbero meglio a
documentarsi: l'enorme sviluppo del nucleare degli anni '70 e '80 fu sostenuto
dalle finanze statali che scaricarono sui contribuenti gli enormi costi di
sviluppo e produzione. In una situazione di grave crisi economica sembra
difficile ipotizzare che gli Stati possano di nuovo sobbarcarsi gli oneri di
una energia fuori mercato e quindi le imprese private si guarderanno bene
dall'imbarcarsi in investimenti di enormi entità con difficili
possibilità di finanziamento, lunghissimi tempi di ritorno,
redditività incerta. Sono proprio le ragioni dell'economia liberale che
cooperano con le lotte ecologiste a bloccare ormai da 15 anni questa energia.
Una volta tanto non saremo certamente noi a dolercene.
Indagator
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