![]() Da "Umanità Nova" n. 16 del 5 maggio 2002 No Pasaran!A Ragusa il sindaco di AN vuole innalzare un gigantesco monumento al sanguinario squadrista fascista che nel ventennio imperversò nel ragusano; a Tremestieri Etneo si intitolano le strade a Benito Mussolini; in Abruzzo giunte postfasciste propongono nuove, nostalgiche, toponomastiche; a Benevento la locale piazza Matteotti è diventata piazza santa Sofia; a Bondeno il gerarca di turno intende celebrare la Liberazione inneggiando alla repubblica di Salò, a Trieste i fascisti scendono in piazza per impedire il ricordo dei morti nei campi di sterminio; a Predappio migliaia di energumeni in camicia nera, ululando i loro eja eja alalà, depongono fiori sulla tomba del "più grande statista europeo"; in tante altre città fascisti, ex fascisti, neofascisti e postfascisti si adunano graniticamente, per cercare di rimuovere, dalla memoria popolare, l'indelebile senso di infamia che accompagna la parola "fascismo". Al tempo stesso, però, le piazze del paese, quest'anno, sono tornate a riempirsi di gente, come non accadeva da anni. E durante il 25 aprile le celebrazioni della lotta partigiana non hanno trasmesso le sensazioni di doverosa retorica, sulla concordia e sull'orgoglio resistenziale, a cui ormai eravamo abituati. Anche se il presidente di tutti noi italiani non ha trovato di meglio che riproporre l'inno di Mameli come momento unificante della collettività, anche se il premier, dalla sua villa di Arcore, ha riproposto, con stupida provocazione, la figura del golpista Edgardo Sogno come "italianissmo" interprete della lotta antifascista, l'aria che si respirava nelle piazze e nei cortei di tutta Italia era ben diversa da quel melenso volemose bene che si vorrebbe far diventare definitivo epitaffio della resistenza. È da tempo, ormai, dalle sciagurate parole di Violante sui "ragazzi di Salò", che si cerca di imporre una lettura revisionista della storia, con lo scopo di ridefinire i giudizi pesantemente negativi sul periodo più triste vissuto dal nostro paese in epoca moderna. Nello squallido intento di annullare, senza risolverle, le drammatiche contrapposizioni esistenti fra chi si sacrificava per creare una nuova libertà e chi, al contrario, questa libertà voleva soffocarle sotto le insegne della croce nazista, una parte consistente di storici e di politici ha iniziato un processo di revisione della storia contemporanea, per dimostrare che, fatte salve le debite differenze, un unico filo lega la storia nazionale del novecento: un filo non interrotto dal fascismo ma, al contrario, da quel regime altrettanto bene, e legittimamente, rappresentato. E da questa rilettura "moderna" delle fonti, che stravolge il giudizio storico consolidato e che permetterebbe di superare, una volta per tutte, il discrimine che ci accompagna dal lontano 1922, si aprono nuove opportunità per concertazioni, compartecipazioni e collaborazioni varie. Le riforme premono alla porta, l'economia deve rilanciarsi senza subire le resistenze dei lavoratori, le istituzioni devono ritrovare funzionalità per garantire il controllo sociale. Nell'ottica dello sviluppo e del nuovo ruolo dell'Italia in Europa, si deve imporre l'unità delle classi, l'unità popolare, accantonando quei principi "forti" che, nonostante tutto, hanno impedito fino ad oggi l'affermarsi di una deriva reazionaria ed oppressiva. Ecco quindi la volontà di una "riconciliazione" nazionale basata sull'azzeramento delle differenze e sull'equiparazione fra gli schieramenti che si combatterono dal 1943 al 1945, ecco il bisogno di recuperare ai valori della democrazia una destra geneticamente ostile a questi, ecco la legittimazione internazionale di un esecutivo poco presentabile, ecco il ruolo del presidente della repubblica e di "tutti" gli italiani che, di fronte alla avanzata delle destre xenofobe e razziste, si fa garante della democraticità di questo governo, anch'esso, dopo tutto, nato dalla Resistenza. Un processo lineare perseguito con lucidità dai protagonisti della scena politica ed economica di questi tempi; da alcuni con partecipe consapevolezza, da altri obtorto collo, come, e non poteva essere altrimenti, dal nostro presidente del consiglio. Come nel vecchio film Tutti insieme appassionatamente a cazzeggiare sulla barca del nuovo resistenzialismo, e poco importa che il rosso delle bandiere abbia perso il suo bel colore. Tutto sembrerebbe dunque filare liscio ma ultimamente il gioco si è complicato. E questo per un insieme di dinamiche contrapposte, che si sono espresse con chiarezza solo in questi ultimi tempi. Sul versante di destra, infatti, le citate resistenze all'adesione all'antifascismo da parte degli immarcescibili fascistoni di sempre, frappongono ostacoli sulla perbenistica strada conciliatoria dei vari Fini e relativi colonnelli (basterebbe del resto andare a vedere cosa espongono nei loro salotti buoni questi gerarchelli in sedicesimo, per rendersi conto dei perché); inoltre il nuovo protagonismo dell'ala più estremistica e fintamente antiistituzionale del neofascismo, continua a mantenere attuale e necessaria quella, che in tempi non lontani, si chiamava vigilanza antifascista. Sull'altro versante la ritrovata voglia di "esserci" del cosiddetto popolo di sinistra, fino ad oggi addormentato dalle opulente sirene di una socialdemocrazia arida e snaturata, ha contribuito a rallentare, se non a rendere più problematica, questa inarrestabile pacificazione. E la consapevolezza che la lotta al fascismo non è stata soltanto la lotta a un regime infame alleato alla fiera nazista, ma piuttosto il progetto di ricostruire il paese sui presupposti di solidarietà sociale e di vera libertà, diventa un argine insormontabile per questo malaugurato afflato revisionistico. Nella convinzione che i percorsi di emancipazione dal potere e dallo sfruttamento, sia materiale che intellettuale, non possono passare attraverso alleanze con chi questi processi ha sempre osteggiato, e sempre osteggerà, gli anarchici hanno portato anche quest'anno, nelle piazze e nelle manifestazioni, i loro valori fondati sulla aspirazione alla libertà e sulla opposizione ad ogni coercizione. E dentro questi valori l'antifascismo rimane un punto fermo che nessun preteso assopimento della memoria potrà impedirci di affermare e di mantenere vitale. Massimo Ortalli
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