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Da "Umanità Nova" n. 16 del 5 maggio 2002

Napoli: ad un anno dalle torture al global forum
Il "girotondo" degli agenti

La cronaca di questi giorni ha visto un'inedita iniziativa della magistratura: un enorme numero di agenti di polizia indagati, tra cui otto agli arresti domiciliari, per sequestro di persona e violenza privata, anche a sfondo sessuale, nei confronti dei tanti manifestanti prelevati immotivatamente, dopo le cariche del 17 marzo 2001, negli ospedali napoletani e sottoposti, in particolare nella caserma Raniero, a soprusi e vere e proprie torture di ogni genere. L'iniziativa della magistratura ha visto la reazione immediata delle forze dell'ordine che ha dato vita ad una sorta di "girotondo" di un centinaio di poliziotti autoammanettatisi intorno alla Questura di Napoli, sconvolti da un'iniziativa giudiziaria decisamente controcorrente rispetto all'impunità che, evidentemente, gli era stata, implicitamente ma forse anche esplicitamente, promessa rispetto a quella che è stata un'azione da tutti sentita come la prova generale di Genova.

Ricapitoliamo i fatti. La presenza di ben seimila tutori del disordine statale a Napoli dal 15 al 17 marzo 2001 a difesa dei lavori del Global Forum era di per se indicativa, e la strategia provocatoria del Ministero dell'Interno si era chiarita sin dalla prima iniziativa, una pacifica street parade tenutasi la sera del 15. Giunti nelle immediate vicinanze della Questura Centrale, dall'interno di questa, tre volanti della Polizia erano partite a tutta velocità tagliando il corteo, investendo una partecipante e dando vita ad una serie di brevi ma intensi tafferugli. Il giorno dopo, poi, venivano caricate e disperse in più punti della città, le iniziative di controinformazione e/o volantinaggio tenute dagli anarchici, dallo Ska/Officina 99 e da altri gruppi.

In questa situazione carica di tensione si era giunti alla manifestazione del 17. Le zone circostanti il tragitto della manifestazione erano presidiate da migliaia di tutori del disordine: qualunque sbocco possibile e immaginabile intorno al corteo era presidiato da agenti in tenuta antisommossa, e svariate centinaia di agenti e camionette erano pronte alla partenza per aprire e chiudere il corteo. La manifestazione era imponente: quarantamila persone dove Centri sociali, una nutrita presenza di svariate centinaia di Anarchici, Sindacati di Base, Collettivi Studenteschi erano i protagonisti prevalenti. Il corteo, giunto in Piazza Municipio, si rilassava e si disperdeva in vari rivoli all'interno della piazza. La situazione sarebbe stata del tutto distesa, o quasi, se non fosse stato per l'impressionante spiegamento di forze dell'ordine che la circondavano totalmente da ogni lato, e per le alte inferriate che erano state sollevate in corrispondenza delle entrate verso Piazza del Plebiscito.

A questo punto, gli organizzatori decidevano di effettuare la classica e preventivata azione di "pressione" verso gli sbarramenti: un'operazione del tutto simbolica, data la presenza di un tale spiegamento difensivo, esplicitamente denunciata come tale ed in apparenza "concordata" con le stesse forze dell'ordine. Nonostante tali premesse, la testa del corteo non ha fatto neanche in tempo ad avvicinarsi più di tanto agli sbarramenti che è partita una serie di violente cariche coinvolgenti l'intera piazza.

Non veniva lasciata alcuna via di fuga aperta: i manifestanti erano chiusi in trappola, sottoposti ad un continuo lancio di lacrimogeni ed a pestaggi individualizzati, che si sono concentrati in particolare sulle zone più lontane dal preteso epicentro degli scontri. L'obiettivo era chiaro: terrorizzare il più a lungo i partecipanti alla manifestazione, specie i più giovani, perché perdessero ogni velleità di disturbare ulteriormente i signori della Terra. Un obiettivo "educativo" che - come prevedemmo dalle pagine di UN - fu il segnale di una mutata strategia repressiva di piazza, che ebbe la sua massima evidenza nelle successive giornate di luglio. Quest'obiettivo, come abbiamo accennato all'inizio, venne proseguito per l'intera giornata, tramite il sequestro di centinaia di persone nelle caserme napoletane, dove si svolsero episodi non dissimili da quelli ben più noti avvenuti di lì a poco nella città di Genova, in particolare nella famigerata caserma di Bolzaneto.

Su questi ultimi episodi si incentra l'attuale inchiesta della magistratura napoletana (che ha agito in seguito alla denuncia formale dei fatti ad opera dello SLAI-COBAS), ed in precedenza era stata svolta una notevole opera di controinformazione e denuncia politica da parte della Rete No Global di Napoli, confluita nell'edizione di un dettagliatissimo "Libro Bianco" sui fatti (La Zona Rossa, Derive e Approdi). La reazione delle forze politiche era prevedibile: la maggioranza sta difendendo a spada tratta, talvolta con un esplicito richiamo all'impunità pregiudiziale, le forze di polizia, ed il centro-sinistra (all'epoca dei fatti titolare del governo) non fa altro che operare dei sottili distinguo. A difendere l'operato della magistratura senza particolari riserve sono solo gli esponenti del PRC e, in misura più defilata, dei Verdi e del "Correntone". Più interessante, invece, è la sostanziale compattezza della magistratura locale e nazionale intorno all'operato dei loro colleghi napoletani (la notizia di un preteso dissenso di Cordoba nei confronti dell'iniziativa dei suoi sottoposti è stata ufficialmente smentita nella mattina del 28 aprile).

È assai probabile che si tratti di un episodio da inscrivere all'interno di quella che è la feroce battaglia attualmente in corso tra la magistratura ed il governo. È plausibile, in altri termini, che la magistratura stia cercando (consciamente o inconsciamente) di "demoralizzare" l'azione "educativa" delle forze dell'ordine a favore dell'attuale governo, tramite l'esibizione della volontà di punizione giuridica di tali comportamenti palesemente illegali, sui quali, invece, l'esecutivo ha sempre espresso un'opzione politica per l'impunità più totale (della serie: il governo può promettervi quello che vuole, ma fa i conti senza l'oste...). Non va dimenticato, infatti, che, in occasione dei vari "girotondi" in difesa della magistratura, si sono verificati numerosi episodi provocatori (si pensi alla incredibile bomba a miccia esplosa sotto il Ministero dell'Interno, il luogo forse più protetto e sorvegliato d'Italia), che il governo ha cercato di attribuire in maniera esplicita al "partito dei giudici" e che sono, invece, con ogni probabilità da attribuire ai classici settori "deviati" delle forze del disordine statale. Insomma, la magistratura ha anch'essa da temere rispetto all'attuale strategia "latino-americana" del Ministero degli Interni e potrebbe stare muovendosi, per interessi suoi propri, nell'ottica di un ripristino della "normale" e "legittima" attività repressiva. Il che, certo, può anche favorire nell'immediato la strategia di lotta per un "mondo migliore possibile", purché non si cada nell'errore di cercare un'alleanza tattica o addirittura strategica con il potere giudiziario e di fondare su di essa la propria iniziativa futura: in sostanza, non va dimenticato che anche l'attività repressiva standard è sufficiente a chiudere le porte alla speranza di un mondo di liberi e di uguali. Parafrasando un'argomentazione di Errico Malatesta, se, indifesi, veniamo assaliti da un gruppo di predoni ed in nostro soccorso arrivano le forze dello Stato, non saremo certo così stupidi da ostacolarne l'azione; ma non per questo dimenticheremo che lo Stato, come d'altronde diceva persino Agostino d'Ippona, non è altro che la banda di predoni maggiore. Lo stesso, credo, deve valere se, come in questo caso, in una situazione di conflitto interno, a difenderci dalle prepotenze di una parte dello Stato è intervenuta un'altra sua parte.

Shevek dell'O.AC.N./F.A.I.



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