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Da "Umanità Nova" n. 16 del 5 maggio 2002

Elezioni presidenziali francesi
Chi semina miseria... raccoglie fascismo

La sera del 21 aprile i giornalisti che annunciano i primi risultati elettorali e le prime proiezioni sembrano cadere dalle nuvole: invece del risultato scontato, che dava largamente vincenti il socialista Jospin e il gollista Chirac, ecco spuntare come candidato al secondo turno il tristo Le Pen, che pure aveva fatto una campagna relativamente discreta. Jospin avrà circa 200.000 voti in meno di lui, il che - su circa 41 milioni di iscritti - è veramente un'inezia, ma sufficiente a distruggere i sogni presidenziali della sinistra. Il meccanismo elettorale maggioritario a due turni accentua la polarizzazione e può favorire la formazione di maggioranze solide, ma, in una situazione di forte frammentazione del voto, intacca in maniera drastica la legittimità dei vincitori e può riservare sorprese amare. Nei fatti il sistema a due turni permette, in assenza di un sistema proporzionale, di esprimere a fondo le proprie opinioni senza farsi intrappolare da una scelta di campo obbligata, che sarà poi quella del secondo turno.

Ma guardiamo i risultati più da vicino ed esaminiamo le tendenze profonde che queste elezioni mettono in luce, quelle tendenze che fra una elezione e l'altra sono l'oggetto di studi di specialisti e sulle cui cause i media stendono un velo pietoso.

1) L'astensione ha toccato il 28,40%, cioè circa 11.700.000 persone, su 41 milioni di iscritti. Ovviamente quelli che non si danno più nemmeno la pena di iscriversi, non sono contati.

2) I voti bianchi e nulli sono stati 995.550, cioè il 2,4 degli iscritti ed il 3,4 dei votanti.

3) In questo quadro, la sinistra di governo - con l'eccezione dei verdi che migliorano il loro risultato e oltrepassano la barra del 5% - supera appena il 27%. Nell'insieme la sinistra parlamentare perde circa un milione e mezzo di voti rispetto al 1995, a beneficio dei 3 candidati trotzkisti che totalizzano quasi tre milioni di voti (10,44%). La sua frammentazione gioca a sfavore di Jospin. La destra parlamentare, dal canto suo, perde nello stesso periodo quasi 4 milioni di voti, ma resta in testa nella corsa alla presidenza.

4) Per la prima volta nel dopoguerra il Partito Comunista (col 3,37%) scende sotto il milione di voti e allo stesso tempo sotto il 5%, perdendo il diritto al rimborso delle spese elettorali. Vari analisti cominciano a porsi apertamente il problema di una sua sparizione dalla scena politica. Al tempo stesso la candidata di Lutte Ouvrière raccoglie il 5,72% e quello della Ligue Communiste Revolutionnaire il 4,25%. È la prima volta che superano il PC di origine staliniana.

5) Le Pen, candidato del Front National, raccoglie 4.805.307 voti, cioè il 16,86% e migliora di 234 mila voti il suo risultato del 1995, qualificandosi per il secondo turno. A questi voti vanno ovviamente aggiunti i 667.000 (per un totale del 19,2%), raccolti dallo scissionista Megret e che esprimono le stesse tendenze profonde.

È quest'ultimo risultato che infiamma le reazioni di dirigenti politici, giornalisti e semplici cittadini. Comincia nei media la caccia al responsabile della vittoria di Le Pen. Ovviamente i trotzkisti sono i primi a servire da capro espiatorio, tanto più che esitano a votare per un tipo come Chirac, la cui fama di truffatore ha superato le frontiere. La loro colpa: aver diviso la sinistra e indebolito l'onesto Jospin. Ma anche tutti gli altri candidati di sinistra subiscono lo stesso tipo di processo, e quelli più vicini a Jospin con un certo fondamento. I loro programmi elettorali vengono sezionati (e condannati) da uno o l'altro dei commentatori di sinistra. La canea dei giornalisti sembra risparmiare un solo punto: il bilancio di governo dell'onesto Jospin. Purtroppo per loro è su questo dente dolente che la lingua batte con vigore.
Guardiamolo sinteticamente. Tutte le misure partono da altrettante dichiarazioni di buone intenzioni nei confronti dei più poveri. I fatti sono un'altra cosa.

a) La prima e più importante delle misure sociali della sinistra è stata la legge sulle 35 ore, che ha provocato un'ondata di scioperi senza precedenti nelle imprese e nel pubblico impiego. Al di là della vernice "sociale", si tratta di una legge che aumenta la flessibilità nell'utilizzazione della forza lavoro per la maggior parte dei salariati, che migliora la condizione dei quadri (che, già ben pagati, non avevano diritto al pagamento degli straordinari ma dovevano comunque farli) perché introduce dei limiti all'ampiezza dei loro orari. Questi guadagnano una buona quota di tempo libero e hanno i soldi per goderselo. Al contrario, i bassi salari vedono amputate le ore di straordinario che erano una fonte importante di integrazione salariale. Nei fatti vengono tagliati i salari e aumenta la flessibilità, al punto che un recente sondaggio scoprirà che almeno la metà dei francesi vorrebbe lavorare di più. Se si sostituisce "guadagnare" a "lavorare", si ha la chiave di lettura del sondaggio e degli effetti della legge.
b) La lotta contro la disoccupazione è stata presentata come la priorità del governo. Comincia con la modifica del calcolo delle statistiche, che vengono ormai sistematicamente truccate, continua con la radiazione dalle liste dei disoccupati e con la crescita dei beneficiari del RMI (reddito minimo di inserzione, una specie di sussidio di povertà), che però non entrano nelle statistiche di cui sopra. Nel 1998 Jospin aveva rifiutato di aumentare a 4000 franchi (610 euro) i minimi sociali (cioè tutti i sussidi di qualsiasi tipo e natura), richiesta centrale del movimento dei disoccupati. Dall'altro lato per mettere i disoccupati al lavoro viene adoperata la carota del "premio per il lavoro" (un rimborso fiscale per chi ha un reddito da lavoro) ed il bastone del PARE, un nuovo sistema di "contratto", imposto ai disoccupati per rimetterli al lavoro, anche in condizioni particolarmente sfavorevoli per loro. A questo si aggiungono 300.000 assunzioni precarie nella pubblica amministrazione (emplois jeunes) e la moltiplicazione degli statuti precari in tutto il salariato, con l'effetto chiarissimo di precarizzare l'insieme del mondo del lavoro. Tutte le misure di "lotta contro la disoccupazione" si sono concretizzate sotto la forma di incentivi o sgravi fiscali per le imprese.
c) La legge CMU, che istituisce la copertura medica universale, che doveva coprire tutti i bassi redditi, copre solo quelli fino a 3600 franchi (550 euro) mensili. Quella sulla solidarietà e il rinnovamento urbano (SRU), non fa che amplificarne gli effetti di frattura, fra chi è dentro e chi è fuori, anche soltanto per qualche euro in più, senza contare gli aspetti puramente ideologici o, peggio, di vera e propria truffa nei confronti dei più poveri (es.: la "carte solidarité transports").
d) La legge sul risparmio salariale apre di fatto la strada alla riforma delle pensioni ed all'introduzione dei fondi. La differenza tra il pubblico impiego, che va in pensione con 37,5 anni, e il privato che deve arrivare a 40 - introdotta nel 93 da un governo di destra - viene mantenuta nonostante le aspettative diffuse fra i salariati, e si riprende a parlare di elevazione dell'età pensionabile per tutti, a cominciare dai pubblici dipendenti. Le tracce dei tentativi di riforma della scuola del ministro Allegre, contro cui l'anno scorso erano scesi in piazza gli insegnanti, sono presenti nel voto di questi ultimi.
e) Nessun governo di destra ha privatizzato tante imprese pubbliche quanto il governo di Jospin. Nessun licenziamento è stato impedito dal governo, nonostante l'adozione di una legge che dovrebbe scoraggiarli. Mai, negli ultimi 30 anni, le differenze di reddito sono state tanto grandi fra i settori più ricchi e quelli più poveri della società. C'è da stupirsi in queste condizioni - se le classi medie hanno in buona parte continuato a votare per i socialisti - che la maggior parte dei disoccupati, dei precari, degli impiegati abbia espresso in vario modo il proprio scontento? Già nel 1995 il Front National era il primo partito operaio in Francia. La tendenza non ha fatto che approfondirsi e la sinistra al governo ha lavorato alacremente a preparare la propria sconfitta.

Il tema centrale della campagna elettorale è stato quello dell'insicurezza, che - a partire da una reale difficoltà dei settori popolari a vivere decentemente nelle banlieues e nei quartieri popolari di molte città di provincia - ha catalizzato tutte le ansie e le paure della Francia profonda. Il tema è stato imposto da Chirac e ha destabilizzato Jospin, che non soltanto non ha fatto niente per sottrarvisi, ma ha accettato questo terreno di scontro facendo una vera e propria autocritica negli ultimi tempi della campagna. La sua azione di governo aveva mostrato la propria subalternità rispetto all'iniziativa della destra, con la cosiddetta "polizia di prossimità", che rispondeva alla logica di un aumento della repressione invece di agire sulle cause sociali che determinano il sentimento di insicurezza. Tutto questo ha creato un clima propizio a Le Pen, che non ha neanche avuto bisogno di fare campagna: gli altri due candidati l'hanno fatta per lui. Ed è noto che gli elettori preferiscono l'originale alla fotocopia. Per certi versi la sua crescita sembra alimentarsi, fino ad ora, della decomposizione del vecchio PC o della perdita di riferimenti delle vecchie aree cattoliche.
Il fatto che Le Pen sia populista, demagogo, xenofobo e autoritario, con una certa prossimità con il fascismo, è certo sufficiente a renderlo detestabile. Ma è sufficiente per considerare che la democrazia è in pericolo? Che siamo vicini a ripetere l'esperienza della Germania del 1933?
È vero che il voto Le Pen ha cristallizzato (e reso visibile per i giornalisti e i politicanti) un malessere diffuso nella società, ma l'apparato politico-militare che Hitler possedeva ed usava non ha gran che a che vedere con la struttura attuale del FN. Il clima di guerra civile che ha portato Mussolini o Hitler al potere non ha niente a che vedere con la Francia del 2002. La borghesia francese non sembra né impaurita dall'iniziativa operaia, né particolarmente in crisi. E d'altra parte non vota Le Pen e tende a diffidarne in quanto fonte di instabilità. Il capitale monopolistico e quello finanziario hanno altri pensieri per la testa. L'integrazione europea, se rende visibili sul piano continentale le tendenze xenofobe e reazionarie che esistono in Olanda, Belgio, Austria, Italia, Francia, Inghilterra, ecc., rende anche più difficile la concretizzazione delle tentazioni autoritarie degli aspiranti dittatori.

La presenza di un Le Pen al secondo turno delle presidenziali ha scatenato nel paese una grande emozione. Ogni giorno le manifestazioni sono sempre più numerose, nell'attesa di quella del primo maggio, organizzata in modo unitario da quasi tutti i sindacati istituzionali. Centinaia di migliaia di giovani scendono in piazza per manifestare il loro rifiuto del fascismo e dell'estrema destra. Come tutti i movimenti, anche questo può condurre molte persone a riscoprire la politica o a interrogarsi sulla società esistente. Per il momento esse sembrano ben controllate dalle forze politiche istituzionali o dai trotzkisti, mentre il dibattito politico gira intorno al modo migliore per ridurre le percentuali di Le Pen al secondo turno (LO è l'unico gruppo che ha invitato a votare bianco o nullo). D'altro canto esse hanno per la sinistra - a breve termine - un vantaggio insostituibile: focalizzano l'attenzione sul cattivo di turno, canalizzano in piazza le energie dei giovani scontenti, aumentano la pressione su quelli che non vogliono allinearsi sull'antifascismo elettorale obbligatorio, evitano la riflessione sui problemi di fondo e rimandano un serio esame dei suoi errori.

Ma al di là delle percentuali con cui Chirac riuscirà a vincere il 5 maggio, quali sono gli scenari possibili da qui alle elezioni legislative che si terranno fra sei mesi?
Jospin ha dato le dimissioni dal posto di primo ministro e questo vuol dire che - dato che il parlamento è ancora in mano alla sinistra - Chirac chiamerà un socialista a formare il prossimo governo. Forte della sua vittoria, potrebbe nominare un membro del suo clan, ma il rischio d'ingovernabilità sarebbe moltiplicato in modo esponenziale. Alle elezioni legislative il voto FN rischia - come è successo fino ad oggi - di aumentare le divisioni delle destra e quindi di riaprire la strada a una nuova coabitazione, dando di nuovo la maggioranza alla sinistra governativa, nonostante il suo pessimo bilancio. Ovviamente non si può escludere che la destra riesca a recuperare una parte del suo elettorato ed a ricostituire una maggioranza parlamentare decente, ma per il momento la cosa sembra meno probabile. In ambedue i casi le politiche che saranno adottate rischiano di alimentare la polarizzazione e la "frattura" sociale che è alla base del successo di Le Pen. D'altra parte è a causa della difficoltà a riconoscere le differenze nei programmi presentati dalla destra o dalla sinistra che gli elettori si sono astenuti o si sono rivolti ad altre botteghe. Va ricordato infine che alcuni politologi e sociologi tendono a mettere l'accento sulla necessità di una riforma delle istituzioni della V repubblica, che hanno reso possibile questa situazione, ed a riaprire la discussione sul sistema proporzionale.

Dal nostro punto di vista, quel che conta è agire sulle cause profonde dell'attuale crisi di fiducia: la ripresa delle lotte sociali di questi ultimi anni è sicuramente incoraggiante, ma insufficiente; esse restano ancora frammentarie ed isolate, ma trovano un'eco favorevole nella società. I sindacati istituzionali non riescono più ad impedirle, ma per controllarle sono spesso obbligati ad accompagnarle. La fine dell'impero del male e l'ipoteca che il leninismo aveva fatto pesare per 70 anni sulle lotte sociali sembra sciogliersi, anche se questo provoca altri problemi. La situazione sociale resta fluida ed in movimento. Tutto ci porta a ricordare che il solo vero momento di crisi nell'ascesa ventennale del Front National si è determinato durante il movimento del dicembre '95, quando la componente proletaria della sua base era in piazza insieme agli altri salariati (o comunque ne condivideva le motivazioni) e la parte tradizionalmente bottegaia e pujadista condivideva la richiesta d'ordine espressa dai settori più agiati della società. La scissione che ha subìto nel 1999 non sembra avere un legame diretto, ma ne è stata la conseguenza naturale. La ripresa di oggi non è altro che la catalizzazione delle paure che la società francese si porta dentro. Noi dobbiamo lavorare sulla speranza.

A cura della redazione di Parigi di Collegamenti-Wobbly
Parigi 27 aprile 2002



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