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Da "Umanità Nova" n. 17 del 12 maggio 2002
inform@zione
Alessandria occupata e sgomberata la Kantiniya
Sabato 27 aprile noi anarchici alessandrini abbiamo occupato uno stabile di
proprietà delle ferrovie ormai abbandonato e in disuso da più di
quindici anni: la Kantiniya Occupata.
Il nostro desiderio di occupare è nato dalla volontà di
rivendicare il diritto alla casa, diritto che, in ogni città, e tanto
più in Alessandria dove gli affitti sono esageratamente cari, sta
diventando quasi un lusso, un privilegio. È assurdo pensare a quel posto
e alle centinaia di edifici sparsi per tutta l'Italia abbandonati al loro
destino; Queste strutture si trasformano in decadenza e abbandono quando invece
potrebbero ritornare a vivere dando alle persone la possibilità di
abitarle e di accrescervi i loro ideali di autocostruzione e Libertà.
Verso le undici con il pretesto di un "aperitivo bellavista" abbiamo iniziato a
distribuire i volantini, i nostri manicaretti e la nostra musica, spiegando ai
nostri nuovi ma ben disposti vicini chi fossimo e per quali motivi ci
trovassimo li.
Fino alla dichiarazione di occupazione non ci sono stati problemi di nessun
tipo, ma dopo poche decine di minuti una pattuglia della polfer è
entrata di sorpresa nella Kantiniya, sequestrando un gruppo elettrogeno
(ahi!ahi!ahi! che brutto esempio!). I birri se ne sono andati quasi
immediatamente convinti che all'interno non vi fosse nessuno... ma si
sbagliavano! L'aperitivo divenuto ormai un presidio è durato fino a
notte inoltrata grazie anche alla disponibilità degli abitanti del
quartiere.
Il mattino dopo, mentre continuava l'aperitivo-presidio, è stata
nuovamente resa pubblica l'occupazione issando una bandiera rosso-nera dal
tetto e iniziando i lavori di ristrutturazione sia interni che esterni. Per
parecchie ore gli occupanti e i presidianti hanno festeggiato l'occupazione con
musica, cibo e palloncini colorati. E la cosa più ironica, tanto da
sfiorare il paradossale, è stato l'atteggiamento della polfer che ci ha
presidiati dal momento della seconda dichiarazione sino al giorno dopo senza
accorgersi per parecchio tempo della nostra effettiva presenza all'interno
dello stabile. Noi siamo ben consapevoli che forse loro sapevano ma facevano
finta di non sapere aspettando il lunedì per ricevere ordini dall'alto,
ma d'altro canto siamo convinti che la demenza dei due polferini non abbia
permesso loro di rendersi effettivamente conto di quello che stava accadendo,
tanto che una pattuglia della polizia che passava di lì per caso ha
dovuto riferirgli della finestra aperta, dalla quale gli occupanti comunicavano
con l'esterno.
Tra tanti comunicati di solidarietà che arrivavano dalle diverse
realtà cittadine (e non), l'unico in contrasto che spiccava per la sua
ferocia fascista era quello della nostra "cara" sindachessa Francesca Calvo che
"...non intende tollerare l'occupazione da parte di un gruppo di
anarchici...", che ha "già contattato le ferrovie perché
sporgano denuncia e richiesta di sgombero immediato..." e che "non ha
intenzione di tollerare sotto nessuna forma un leoncavallo di seconda scelta in
città...". Noi pensiamo che le dichiarazioni rilasciate dal sindaco
il 29 aprile parlino da sé e che i commenti siano scontati.
L'occupazione è proseguita lo stesso tra festeggiamenti e lavori vari
fino alle nove del martedì mattina, momento dello sgombero, nel quale
momento abbiamo deciso di far trovare vuoti i locali della Kantiniya per
rispondere con una linea non-violenta alle minacce del nostro sindaco. Ma
ciò non significa che ci siamo arresi: Rioccuperemo!!! Questo è
il titolo del volantino che abbiamo distribuito durante il
presidio-aperitivo-cena del primo maggio sotto i portici del comune.
Rioccuperemo!!!
Gli occupanti della Kantiniya
Dopo il 16 aprile nuove prospettive di lotta
Lo sciopero del 16 aprile ha registrato una forte adesione nelle fabbriche:
sfidando le rappresaglie padronali, non solo si è scioperato, ma si sono
organizzati picchetti, sono stati coinvolti i lavoratori più deboli, i
precari con vario nome, e soprattutto fra i settori più combattivi ha
contribuito enormemente a rialzare il morale.
Tutto questo è ben presente fra le direzioni aziendali, e lo dimostrano
le parole di Paolo Rebaudengo, responsabile delle relazioni industriali del
gruppo FIAT.
Parlando al congresso del sindacato giallo Fismic, Rebaudengo ha affermato che
le condizioni attuali della Fiat sono peggiori di quelle di un anno fa, quindi
non è certo il momento, secondo l'azienda, di parlare di contratto
integrativo, a 13 mesi dalla scomparsa definitiva.
Le dichiarazioni del dirigente Fiat dimostrano la paura che fa una possibile
riscossa operaia: la mobilitazione sull'articolo 18 può benissimo
trasformarsi in una mobilitazione che ribalti i rapporti di forza sui posti di
lavoro, a condizione che riesca a trovare gli obiettivi e le forme di
organizzazione.
Le condizioni oggettive ci sono: nonostante i pianti sulla crisi, sono molte le
società che distribuiranno dividendi straordinari, sono i soldi che
hanno risparmiato non rinnovando gli integrativi aziendali, ricorrendo a cassa
integrazione, mobilità e licenziamenti; inoltre il punto più
basso del ciclo sembra superato: è il momento più delicato
perché le aziende hanno bisogno di aumentare la produzione e non hanno
ancora a disposizione la liquidità per gestire direttamente superminimi
e mance varie.
Un elemento importante è la rivendicazione salariale: la riapertura
delle vertenze aziendali imporranno sicuramente sacrifici agli operai,
sacrifici che saranno affrontati con maggiore decisione se gli aumenti
salariali saranno adeguati. Già alcune categorie hanno messo nella loro
piattaforma l'obiettivo di 310 euro di aumento mensile.
Resta però da sciogliere il nodo della rappresentatività. Se le
RSU si limitano ad essere terminali associativi delle organizzazioni sindacali,
allora le vertenze aziendali saranno gestite dalle segreterie provinciali di
categoria. Sul terreno aziendale invece le RSU devono acquisire la piena
titolarità delle vertenze, sviluppando anche appositi coordinamenti per
le aziende con più sedi. Si tratta di cominciare a ribaltare il rapporto
fra i vari organismi sindacali.
In questa prospettiva un ruolo importante lo possono avere le strutture
sindacali aziendali, che radunino gli iscritti e non li facciano essere dei
semplici sottoscrittori di quote.
Su queste linee credo che possa essere lanciata una proposta unitaria che
raggruppi i lavoratori più combattivi dei vari posti di lavoro; che la
proposta unitaria sia percorribile lo dimostrano i comitati sorti su obiettivi
limitati (quasi sempre su stimolo di militanti dei sindacati di base) che hanno
raggruppato lavoratori di varie tendenze.
Tiziano Antonelli
Ancora emergenza a Lampedusa
Dopo i recenti sbarchi delle ultime settimane, nel "centro di prima accoglienza
e soccorso" di Lampedusa sono trattenuti oltre trecento immigrati di diversa
nazionalità, la maggior parte dei quali alloggiati in tende da campo
allestite per l'occasione.
Il centro infatti aveva una capienza massima di cento persone. Tra loro,
potenziali richiedenti asilo, e migranti per bisogno economico costretti ad un
ingresso clandestino dalla mancata adozione del decreto flussi per il 2002
(relativamente al lavoro subordinato non stagionale) e dal blocco delle
chiamate per sponsorizzazione.
La situazione di Lampedusa riflette quella di altri centri siciliani tutti al
limite della loro capienza. In particolare Agrigento non riesce più ad
assorbire i migranti irregolari che vengono trasferiti da Lampedusa in Sicilia,
e per molti rimane solo la prospettiva di altri giorni di trattenimento, in
strutture di transito o in viaggio verso i centri di detenzione in Puglia ed in
Calabria.
Le condizioni degli immigrati trattenuti a Lampedusa sono pessime da un punto
di vista igienico sanitario, come già denunciato, anche con filmati
della RAI, in precedenti occasioni.
La magistratura, che pure sarebbe tenuta a farlo, si guarda bene
dall'effettuare un controllo sulle modalità e sulla durata del
trattenimento degli immigrati dopo lo sbarco: per giorni e giorni rimangono
rinchiusi nel centro sito nella zona militare dell'isola, senza potere
comunicare, senza potere contattare organizzazioni umanitarie o associazioni
indipendenti, senza interpreti, senza potere nominare avvocati, senza lo
straccio di un provvedimento scritto che sia loro notificato come richiesto
dalla legge.
Tutte le pratiche amministrative e gli eventuali ricorsi si possono svolgere
soltanto ad Agrigento, dove gli immigrati vengono trasferiti con il contagocce
a seconda della capienza del centro sito in contrada San Benedetto, oppure
nelle altre città dove, anche con settimane di ritardo, viene loro
trovato un posto in un centro di detenzione amministrativa.
Appare evidente come le misure ulteriormente repressive che saranno introdotte
dalla legge Bossi Fini aggraveranno questa situazione, in quanto
l'accompagnamento forzato in frontiera senza un effettivo controllo del
magistrato (a causa del mancato effetto sospensivo dei ricorsi), renderà
normale espellere con effetto immediato persone magari non identificate con
certezza, realizzando di fatto quelle espulsioni collettive vietate da tutte le
convenzioni internazionali a salvaguardia dei diritti fondamentali della
persona umana.
Ma ormai i "clandestini" non vengono più trattati come persone, ma come
numeri (magari marcati sul polso) da ridurre anche in modo violento, come
è successo a molti cingalesi imbarcati con la forza su un aereo charter
che li ha ricondotti in patria dopo che la loro richiesta di asilo era stata
respinta.
Info liberamente tratta da una mail dell'Asgi
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