Da "Umanità Nova" n. 19 del 26 maggio 2002
Referendum sociali
Dalle strade alle urne
In precedenti interventi abbiamo rilevato che lo sciopero generale del 16
aprile aveva posto le forze sindacali e quelle sia istituzionali che
alternative di fronte a problemi nuovi e, in particolare, a quello di come
rilanciare l'iniziativa di fronte alla resistenza del governo a cedere su di
una questione di alto valore simbolico come la modifica dell'articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori.
Mi sembra evidente che la sinistra parlamentare ed i sindacati di stato stanno
attendendo i risultati delle elezioni del 26 maggio e che, probabilmente,
altrettanto stanno facendo il governo ed il padronato.
Nel frattempo sono ricominciate le schermaglie, le aperture e le chiusure, i
confronti pubblici a distanza e quelli meno pubblici nei luoghi adatti alla
bisogna.
Fra gli attori istituzionali di questa partita, quello che è in maggior
sofferenza, per evidenti motivi è il PRC. La svolta a sinistra della
CGIL, infatti, gli ha sottratto il ruolo di oppositore più visibile ed
ha costretto il suo gruppo dirigente ad una svolta ad U sulla questione
sindacale. Il PRC deve, insomma, mettere nel conto una ripresa del ruolo
centrale dei DS nella sinistra ed una sua riduzione a truppa d'assalto
dell'ulivo. Credo che l'iniziativa referendaria del PRC non possa essere
compresa altrimenti.
Nella miglior tradizione della sinistra di stato, questo evidente arretramento
viene presentato per il contrario di quello che affettivamente è, in un
suo articolo, pubblicato su "Liberazione" del 15 maggio, Fausto Bertinotti si
spinge ad affermare: "Occorre... anche per resistere all'offensiva
restauratrice in atto, passare dalla difesa all'attacco."
Insomma, le urne sono l'attacco e gli scioperi la difensiva, un buon esempio
delle bizzarre conclusioni alle quali porte la pratica della politica
istituzionale.
Fausto Bertinotti è perfettamente consapevole che la stessa base del
PRC, per non parlare dell'area del sindacalismo di base, guarda con profonda
diffidenza alla pratica dei referendum sia per la condivisione di alcune
critiche di principio che per valutazioni tattiche e si afferma, nello stesso
articolo, ad affermare: "Sappiamo bene che lo strumento del referendum è
stato spesso svilito e svuotato. Ma, questa volta, c'è una novità
fondamentale: la nostra iniziativa si colloca dentro lo scontro sociale in atto
nel Paese e si pone l'obiettivo di dare uno sbocco in avanti a quella lotta...
Questa sfida si vince non solo proponendo una lotta e una resistenza ad
oltranza a questo attacco ma, principalmente, prospettando un'alternativa al
nucleo forte di quell'impostazione di politica economica e sociale che si
inserisce nel quadro di quella che definiamo globalizzazione neoliberista.
Anzi, il proporre quell'alternativa è condizione essenziale anche
soltanto per vincere la battaglia di resistenza contro l'attacco di governo e
Confindustria."
Le parole chiave sono, con ogni evidenza, "sbocco in avanti" ed "alternativa":
L'alternativa proposta è, evidentemente, una linea di politica economica
diversa da quella governativa, linea consistente nella ripresa di quel
compromesso sociale che metodicamente padronato e governi di destra e di
sinistra vanno smantellando da anni e non solo in Italia. Insomma, l'illusione
che vi sia un margine serio e vero per una politica riformista viene ripresa
nella più disinvolta malafede.
Il vero obiettivo della campagna referendaria è, comunque, dichiarato
abbastanza chiaramente: "Facciamo fino in fondo la battaglia contro lo
sfondamento sociale perseguito dalle destre, estendendo la lotta nel Paese e
impegnandoci in uno scontro in Parlamento senza sconti, fino a praticare
l'ostruzionismo. Su questo, abbiamo proposto una convergenza delle opposizioni,
per intendere la necessità di unire il massimo delle forze che intendono
frapporre una resistenza con l'obiettivo di vincere la sfida."
Tradotto in italiano: il PRC propone all'Ulivo un unico fronte dell'opposizione
parlamentare e spera, in questo modo, di avere lo spazio che ha perso sul piano
sindacale e di condizionare i DS. Nulla di male, a rigore, un partito
parlamentare deve fare della tattica parlamentare o morire. Come questo sia
coerente alla tesi, sostenuta dallo stesso Bertinotti, che "Il neoliberismo
è in crisi e proprio per questo esaurisce tutte le sue possibili
mediazioni e mostra il volto più duro della globalizzazione. Al tempo
stesso, assistiamo all'irruzione di un nuovo movimento di contestazione, che
è mondiale, e che chiede di uscire fuori dalle politiche neoliberiste,
considerate devastanti in termini di desertificazione dei diritti sociali,
ambientali e della medesima salvaguardia del vivente.
L'innestarsi di questo movimento con il conflitto sociale rappresenta un punto
di svolta fondamentale che riattualizza il tema della trasformazione sociale."
sarebbe interessante saperlo.
In realtà, la quadratura del cerchio è abbastanza semplice. Lo
svilupparsi dei movimenti di opposizione sociale viene interpretato, secondo la
canonica classica della sinistra statalista, come l'irrompere di soggetti
collettivi che "chiedono" rappresentanza e mediazione ed il partito, nella sua
versione "movimentista", si precipita ad offrirla.
Eppure, anche da questo punto di vista, il discorso bertinottiano è
debole. Se vi è veramente, per usare un suo linguaggio, un "movimento
dei movimenti" e se questo movimento esprime una critica radicale
all'esistente, come si può pensare di ricondurlo alla mediazione fra una
sinistra massimalista, qual è il PRC, ed una sinistra neoliberale? E se
anche la sinistra neoliberale rialzasse le sbiadite bandiere
socialdemocratiche, come potrebbe una socialdemocrazia essere la
"rappresentanza" di un movimento radicale nella prassi e nelle proposte?
In questo caso la quadratura del cerchio è tutta tattica: di fronte alla
destra che avanza si devono porre da parte tutte le differenze per ricostruire
quel fronte unito, da Mastella a Cossutta, da Di Pietro a Ferrando che solo ci
salverà dagli orridi berlusconiani.
L'oggetto del contendere
In sé, il pacchetto referendario non è ripugnante e tocca
tre blocchi di questioni che sono assolutamente rilevanti:
1. due referendum riguardano lo statuto dei lavoratori e si propongono di
estendere le tutele contro i licenziamenti alle imprese con meno di 15
dipendenti;
2. uno riguarda l'abolizione della "parità scolastica";
3. tre riguardano l'ambiente e la salute: elettrosmog, inceneritori, utilizzo
di sostanze nocive che lasciano tracce negli alimenti.
Volendo trovare ad ogni costo il lato buono dell'iniziativa, si potrebbe
riconoscere che una massiccia agitazione nel paese su questi temi è
assolutamente opportuna e che le persone che subiscono la legislazione attuale
dovrebbero poter esprimere la propria opinione in merito.
La vera questione è se i referendum sono i mezzi più adeguati per
realizzare questi obiettivi.
Tralascio alcune note critiche di principio alla pratica referendaria e pongo
l'accento su alcune considerazioni pratiche:
1. affidare al voto popolare deliberazioni sui diritti dei lavoratori significa
che i membri delle classi dominanti e di quelle medie si esprimeranno sui
nostri diritti distorcendo il risultato;
2. il meccanismo referendario è farraginoso, costoso, facilmente
manipolabile mediante riforme di legge. Si rischia di impegnare migliaia di
militanti per nulla o, meglio, per fare una campagna politica utile al partito
promotore;
3. i gruppi sociali dominanti hanno mille mezzi per influenzare il voto e
costringeranno le forze dell'opposizione impegnate nei referendum ad una
battaglia defatigante solo per rendere visibile il proprio punto di vista;
4. il solo impegno militante dedicato ai referendum sottrarrà energie
alle iniziative sui posti di lavoro, sul territorio, nella società e
questa considerazione vale in particolare per i militanti già oggi
impegnati quotidianamente nell'intervento sindacale e sociale;
5. piaccia o meno, soprattutto i militanti del sindacalismo di base rischiano
di lavorare per il re di Prussica che, in questo caso, è rappresentato
dal PRC e dalla sinistra CGIL contribuendo al tentativo di ricondurre il
sindacalismo indipendente nell'alveo della sinistra sindacale istituzionale dal
quale si è staccato negli anni passati
Credo, insomma, che su questa questione sia necessaria una discussione seria
fra tutti i compagni sia al fine di sviluppare una critica ponderata delle
derive istituzionali possibili nel campo dell'opposizione sociale che a quello
di definire proposte di azione realmente efficaci sui terreni che i referendum
stessi pongono.
Cosimo Scarinzi
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