Da "Umanità Nova" n. 19 del 26 maggio 2002
Storia di Emanuela
Licenziata perché transessuale
Una piccola storia di ordinaria violenza e, per fortuna, di straordinaria
mobilitazione
Quando, la mattina di sabato 18 maggio, ci siamo trovati in circa 200 a
manifestare a favore di una lavoratrice transessuale licenziata nel tranquillo
paese di Castelnuovo Don Bosco molti di noi hanno sentito quanto fosse giusto
mobilitarci in uno dei tanti paesi del profondo nord per una causa "impopolare"
ma non per questo meno importante, anzi.
La lettura delle dichiarazioni dei notabili locali non ha fatto che confermarci
nel convincimento che era importante squarciare il velo di un'ipocrisia
violenta quanto la violenza aperta degli squadristi.
Il sindaco dichiarava, infatti, sul giornale locale che le due persone colpite
dal licenziamento avevano la sua comprensione, la direttrice della casa di
riposo affermava che il licenziamento era stata una "libera" scelta della
cooperativa sociale presso la quale Emanuela lavorava, i responsabili della
cooperativa sostenevano che non c'era stato alcun licenziamento ma solo il
normale scadere di un contratto a termine.
Questo mentre era noto a tutti che i colleghi di Emanuela devono fare turni
straordinari per garantire il servizio, che la cooperativa sociale intende
sostituire Emanuela con una lavoratrice assunta con Contratto Coordinativo
Continuato, che la direzione della casa di riposo ha fatto pressione
perché la cooperativa si liberasse di una persona "scomoda".
In piazza c'era un discreto numero di militanti del movimento lesbico ed
omosessuale ma era significativa la presenza dei compagni della FAI, della CUB,
del PRC e di altre forze della sinistra.
Se la presenza dei nostri compagni, presenza accolta con simpatia ed interesse,
è stata assolutamente doverosa e politicamente importante, ho trovato
che fosse incoraggiante quella di militanti del sindacato di base. Temevo,
infatti, che una battaglia di libertà come questa non suscitasse
l'interesse che meritava che vi fosse una chiusura nel, pur necessario,
"sindacalismo" aziendale e categoriale.
Credo, soprattutto, che, sebbene la manifestazione vedesse essenzialmente una
partecipazione esterna alla zona, sia servita a far discutere le persone
"normali", ammesso che esista la normalità, a far riflettere sul fatto
che i diritti non solo tali se qualcuno ne è escluso, a rendere evidente
come la deregolamentazione del mercato del lavoro consegni molti, troppi,
lavoratori all'arbitrio padronale.
Il corteo è partito dalla piazza centrale del paese ed è giunto
sino alla casa di riposo dove abbiamo trovato un cancello messo appositamente
per noi, un piccolo e disgustoso monumento all'intolleranza ed
all'esclusione.
Alcuni partecipanti hanno ritenuto di intervenire. Di grande bellezza e
dignità è stato l'intervento della stessa Emanuela che ha
pubblicamente ringraziato chi l'ha licenziata per aver eretto un cancello per
lei, per averle negato il diritto ad un reddito decente, per avere reso
visibile la violenza del potere.
Altri interventi hanno posto in rilevo il fatto che, se si è riusciti
nell'iniziativa, è anche perché forze politiche e sociali fra di
loro disomogenee hanno saputo cogliere l'importanza dell'iniziativa.
Si tratta, ora, di mantenere in piedi l'iniziativa su questo caso e di
svilupparla su ogni situazione simile venga a nostra conoscenza.
Vale, per una miglior comprensione della vicenda, la pena di riportare parte di
un comunicato del Circolo Maurice di Torino che mi pare pienamente
sottoscrivibile.
"Emanuela non è una lavoratrice qualsiasi. Questo almeno sembra pensino
i suoi datori di lavoro che - tanto per chiarire - sono anche loro un po'
"atipici". Loro sono una cooperativa sociale di Castelnuovo don Bosco, Emanuela
una qualificata operatrice socio-sanitaria, specializzata nell'assistenza ai
malati di Alzheimer, con anni di esperienza in un settore in cui la richiesta
è forte.
Improvvisamente viene lasciata a casa, in altre parole non le è stato
rinnovato il contratto, mentre alle altre dipendenti vengono richiesti gli
straordinari; il suo "difettuccio" è quello di essere transessuale e di
non volersi nascondere, ma anche di non stare al "patto del silenzio" sul fatto
di far parte di una coppia di fatto lesbica. La sua compagna, Paola, socia
lavoratrice anche lei in una cooperativa sociale dell'astigiano, è stata
messa nel frattempo messa a zero ore senza alcuna motivazione. Un'altra
"curiosa" coincidenza: le due strutture hanno una certa familiarità
anche nelle figure direttive, visto che nella gestione hanno incarichi di
responsabilità due sorelle!
A questo punto evidentemente si poteva credere che la storia si chiudesse, ma
Emanuela e Paola hanno trovato la forza di denunciare le discriminazioni subite
ed è iniziata una vertenza che ha ottenuto i primi risultati con la
ripresa in servizio di Paola, dopo tre settimane.
Nel clima di scontro sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici che ha
nell'articolo 18 dello Statuto una posta in gioco per chi è già
garantito, la posizione delle persone Gay Lesbiche Bisessuali Transessuali
(come di altri/e), dovrebbe indicare quanto ancora c'è da fare per
estendere la tutela della dignità della persona!
Quando la condizione di transessuale si associa a quella di lavoratrice
precaria di una cooperativa sociale, facilmente "scaricabile", abbiamo casi
come quello di Emanuela."
Cosimo Scarinzi
|