Da "Umanità Nova" n. 20 del 2 giugno 2002
Imprenditore e filosofo
D'Amato all'assemblea di Confindustria
Il recente discorso di Antonio D'Amato all'assemblea
della Confindustria è stato generalmente commentato tenendo conto
principalmente di quanto implicava dal punto di vista delle relazioni sindacali
e di quelle fra padronato e governo. I dirigenti dei sindacati istituzionali
non hanno apprezzato la durezza del capo dei padroni, il governo ha, come da
copione, approvato.
Crediamo utile pubblicarne alcuni estratti perché lo riteniamo un testo
interessante, una sorta di manifesto filosofico del padronato. Non saranno,
quindi, necessari molti commenti.
Un etica eroica e avventurosa
"In tanti, in troppi scorgono sul loro orizzonte più problemi che
prospettive.
Per questo qualcuno ha scritto che stiamo vivendo una `età
dell'incertezza'. C'è del vero, indubbiamente, anzi diciamo senz'altro
che è vero. Ma è proprio questo che caratterizza da sempre la
condizione umana. Ovvero la condizione di chi è consapevole di dover
forgiare da sé il proprio destino."
Una visione, insomma, tragica e corrusca. A noi sembra che fra un imprenditore
ed un co. co. co ci sia qualche differenza di condizione ma Antonio D'Amato non
bada a queste volgarità. Ognuno forgia il proprio destino e se uno nasce
ricco vuol dire che l'ha forgiato senza rendersene conto.
Il padronato benevolo
"Noi, come imprenditori, siamo orgogliosi di creare per tutti ricchezza,
lavoro, sviluppo."
"Ma cosa c'è di più entusiasmante che impegnarsi per dare a un
giovane che lo sta cercando un posto di lavoro, per dare a chi l'ha perduta una
nuova occupazione?"
"Per motivi di equità e di effettiva giustizia sociale, dunque, oltre
che per ragioni strettamente economiche, dobbiamo riuscire a realizzare le
riforme."
"Non c'è dunque contrapposizione tra le legittime ragioni delle imprese
e gli interessi generali del paese.
Anzi, quanto più sviluppo economico si fa, tanto più possono
progredire le condizioni dei ceti e dei gruppi sociali più deboli, i
disoccupati, i giovani, le donne, gli anziani che altrimenti resterebbero
esclusi dal mercato del lavoro."
"Lo diciamo non per una qualche vocazione al `buonismo' - che possiamo
apprezzare, semmai, come virtù personale - ma perché siamo
consapevoli del fatto che, rafforzando i suoi punti più deboli, si
rafforza con ciò tutta la società italiana e ne traggono
vantaggio anche coloro che non ne sono i diretti beneficiari."
"Come è sbagliata l'antitesi tra rigore e sviluppo, così è
sbagliata l'antitesi tra efficienza economica ed equità sociale. L'una
è in funzione dell'altra: e noi siamo pronti a dimostrarlo, pronti
cioè ad alzare il livello dell'occupazione non appena un mercato del
lavoro più flessibile faciliti l'incontro tra domanda e offerta."
"Sta qui il legame stretto e stringente che c'è tra la nostra posizione
di parte sociale e il nostro ruolo di classe dirigente."
Chi, insomma, si attarda a credere che il padronato punti al profitto ed al
potere non ha compreso nulla. Il vero obiettivo del padronato, la ragione del
suo entusiasmo, consiste nel beneficare i membri delle classi subalterne.
Purtroppo non sempre i lavoratori comprendono ma Antonio D'Amato non si perde
d'animo e prosegue nella sua opera di educazione del buon popolo. Va anche
detto che il nostro eroe non si pone problemi nell'utilizzo di concetti
"sovversivi" come quello di "classe dirigente" con buona pace di coloro che, da
decenni, ci spiegano che le classi sociali non esistono più.
Sindacalisti, imparate a fare il vostro mestiere
"Rispettiamo le idee altrui. Ci confrontiamo con tutti. Non abbiamo mai smesso
di farlo. E siamo sinceramente dispiaciuti di avere oggi maggiori
difficoltà a dialogare con una sinistra dove le forze riformiste, pur
maggioritarie, sembrano avere perduto voce e, soprattutto, capacità di
iniziativa."
"Con il sindacato si deve dialogare, vogliamo dialogare."
"Con il sindacato dobbiamo incontrarci, e del resto ci incontriamo
continuamente, per il rinnovo dei contratti di lavoro, per attuare quella
politica dei redditi che dal 1993 ad oggi ha dato buoni risultati e che, nei
suoi capisaldi, riteniamo debba essere confermata.
Quella politica con la quale abbiamo tutti archiviato le stagioni degli
automatismi, del salario come variabile indipendente, dell'alta inflazione e
delle continue svalutazioni che ci avevano portato ai margini dell'Europa."
"Benché troppo spesso sia stato di ostacolo alle politiche di
modernizzazione, in Italia il sindacato ha livelli di legittimazione che non
possiamo e non intendiamo ignorare, per la sua storia, per il contributo che ha
dato alla lotta contro il terrorismo, e - negli anni Novanta - al risanamento
finanziario."
"Solidarietà e giustizia non dovrebbero spingere il sindacato a guardare
alla piaga del sommerso senza quella sorta di aristocratico distacco con il
quale finora ha giudicato le politiche di emersione necessarie per ridare
legalità, dignità e diritti a centinaia di migliaia di lavoratori
in nero?"
"Noi sulla trincea dei diritti - quelli veri - ci siamo, intendiamo restarci,
abbiamo tuttora la speranza che il sindacato non voglia sottrarsi al confronto
sul terreno della modernizzazione."
"E dobbiamo dire che se il sindacato si irrigidisse nel contrastare le riforme,
se ne facesse un motivo di accentuazione della conflittualità, allora
non sarebbe la nostra pressione, ma sarebbe la forza stessa delle cose, la
logica oggettiva dei processi di cambiamento, che lo spingerebbe fuori
gioco."
Suggestivo il richiamo alla "forza stessa delle cose" che spazzerà via
il sindacato se esso non sarà disponibile a porsi sul terreno della
"modernizzazione" che, ovviamente, è incarnata dalle imprese.
Altrettanto suggestivo è l'uso del termine "riformismo" e il rimpianto
per una sinistra neoliberale che sembra essere rapidamente sfiorita appena
è stata esclusa dalla gestione del governo. Ma D'Amato non si tira
indietro e si erge a paladino di quei lavoratori senza diritti che ritiene non
sufficientemente tutelati dal sindacato. Vuole, insomma, svolgere il ruolo di
guida culturale, politica e sindacale del paese concentrando nel padronato
compiti che, secondo lo stesso schema liberaldemocratico, dovrebbero restare
divisi. È anche vero che i sindacalisti vogliono insegnare ai padroni a
fare il loro mestiere. Un simpatico rimescolamento delle carte.
Imprenditore e sociologo
"Nel suo modello tradizionale, il Welfare State aveva essenzialmente (e ha
svolto egregiamente) la funzione di addomesticare - diciamo così - il
conflitto tra capitale e lavoro per garantire contemporaneamente un più
alto livello di sviluppo economico e un più alto standard di
equità sociale. Tutto ciò in un contesto caratterizzato da un
modo di produrre cosiddetto fordista, uno stato almeno tendenziale di piena
occupazione, una relativa disponibilità di risorse da destinare ai
servizi sociali."
"Queste condizioni sono venute meno. In parte per effetto dello stesso Welfare
State, in parte per i cambiamenti che sono intervenuti nella vita economica e
sociale, il conflitto tra capitale e lavoro non è più il
paradigma dei contrasti di interesse. Il fordismo è ormai un residuo del
passato. Lo stato di piena occupazione non è più un dato di
fatto, ma un obiettivo difficile da raggiungere. E di conseguenza è
diventato un problema poter disporre delle risorse che servono per i servizi
sociali."
"Non si tratta dunque di modificare in qualche aspetto il vecchio modello di
Welfare, ma si tratta di cambiare il modello stesso, di dargli come obiettivo
quello che è oggi il problema di fondo: creare nuova occupazione."
"In questo senso si tratta di passare dal Welfare State al Workfare State."
È curiosa l'affermazione che "il conflitto tra capitale e lavoro non
è più il paradigma dei contrasti di interesse" che segue la
rivendicazione del ruolo di "classe dirigente" per il padronato. D'Amato sembra
ritenere che una classe dirigente benevola e dedita a curarsi della situazione
dei più deboli non debba essere afflitta da attitudini conflittuali.
Anche il governo sbaglia
"Ma tutto ciò pone più che mai il problema delle risorse.
È per questo che non abbiamo nascosto le nostre perplessità
né sul nuovo contratto del pubblico impiego, troppo oneroso, né
sulla riforma previdenziale, il cui esito è per lo meno incerto."
"Possiamo pure augurarci che la via scelta dal Governo - basata esclusivamente
su un meccanismo di incentivi - produca risultati concreti."
"Resta il fatto che l'invecchiamento demografico e la sostenibilità
della spesa previdenziale sono problemi che non consentono scorciatoie."
I lavoratori del settore pubblico, ingrati!, non hanno notato che le risorse
previste per i loro contratti erano eccessive ma, è sin troppo noto, non
pensano abbastanza ai poveri ed agli oppressi. Il pertinace Antonio, comunque,
non dimentica la necessità di tagliare le pensioni. Insomma, il governo
non è abbastanza "riformista" ma la Confindustria non si tira indietro e
prosegue nello sforzo di riportarlo sulla retta via.
D'Amato ottimista e new global
"E sta erompendo un problema di governabilità della globalizzazione che,
se non verrà risolto, finirà col restituire forza a una cultura
anti-industriale, anzi anti-capitalista, che sembrava in via di superamento."
"Noi sappiamo che il sistema democratico e l'economia di mercato hanno in se
stessi, nella loro duttilità, nella loro vitalità, la forza che
occorre per rinnovarsi e per realizzare le riforme di cui c'è bisogno di
fronte a problemi così complessi."
"È per questo che, nonostante le preoccupazioni e le incertezze sulle
prospettive a venire, quando in troppi temono per il loro futuro, noi abbiamo
fiducia, e ci sentiamo di rassicurare i nostri concittadini."
Insomma, esistono ancora gli anticapitalisti anche se sembravano in via di
superamento. Di conseguenza il capitalismo esiste. È una rivelazione
importante. Ma D'Amato confida nella liberaldemocrazia e nel mercato e nelle
loro capacità autocorrettive. Possiamo, quindi, dormire sereni: fattori
oggettivi spazzeranno via chi si oppone alle magnifiche sorti e progressive del
capitalismo nazionale e mondiale e una classe dirigente ci viene garantita per
tempi incalcolabili.
Per parte nostra, sospettiamo che i "fattori oggettivi" in questione siano sin
troppo soggettivi ma restiamo dell'idea che ognuno debba fare la sua parte e la
nostra non è esattamente quella che il nuovo vate del padronato ci
assegna.
Cosimo Scarinzi
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