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Da "Umanità Nova" n. 20 del 2 giugno 2002
inform@zione
Palermo
La giornata in memoria di Giovanni Falcone nel decennale della strage di Capaci
è filata via liscia tra retorica, appelli alla legalità e
ipocrisie varie.
I due cortei partiti da due punti diversi della città (Via D'Amelio -
dove fu ammazzato Paolo Borsellino - e Viale dellle Scienze) hanno
raggranellato in tutto duemila persone, e se non fosse stato per la cospicua
presenza di ragazzi e ragazzini di molte scuole medie e di istituti superiori
portati coattivamente a manifestare da solerti e gracchianti insegnanti, alla
fine il bilancio della partecipazione sarebbe stato anche più
imbarazzante.
La capacità di mobilitazione su cui può contare la
"società civile" palermitana è dunque ben poca cosa rispetto
all'importanza della commemorazione, fatto che svela inequivocabilmente la poca
concretezza politica che sta dietro alla costruzione di eventi che servono a
mettere a posto la coscienza senza andare alla radice dei problemi.
Sotto l'albero di Falcone (la magnolia che sta all'ingresso dello stabile in
cui abitava il magistrato), si sono susseguiti diversi interventi: Rita
Borsellino, Don Luigi Ciotti, il procuratore di Palermo Piero Grasso.
Paradossalmente proprio da quest'ultimo sono venute fuori le parole più
condivisibili, in quanto Grasso ha posto l'accento sulle necessarie
priorità da affrontare se davvero si vuol parlare di antimafia: in una
terra in cui manca il lavoro, la casa, l'acqua è assurdo predicare il
rispetto della legalità se diritti come questi vengono ogni giorno
disattesi.
Il Forum Sociale Siciliano di Palermo era presente con una sua presenza critica
alla manifestazione. Lo striscione "Antimafia sociale, niente deleghe alle
istituzioni" ha certamente provocato qualche mal di pancia a molti dei
presenti, così come il volantino anarchico distribuito in piazza nel
quale si precisava l'importanza di una lotta dal basso contro il potere mafioso
che lungi dall'essere un'entità "parallela" allo Stato è invece
ad esso totalmente compenetrato.
Ma questo ai ragazzini delle medie non bisogna dirlo...
T.A.Z. laboratorio di comunicazione libertaria
Bologna: il castello delle falsità
Quando si sostituisce alla qualità della vita e all'importanza delle
relazioni tra gli individui la gerarchizzazione economica viene meno ogni
progettualità dal basso. Il territorio bolognese è stato
testimone per anni di sperimentazioni sociali che hanno garantito una
pluralità dei servizi dove i soggetti erano attivi in un progetto di
trasformazione che li vedeva partecipi nella realizzazione dei propri bisogni;
si respirava una tensione sociale che metteva in evidenza l'importanza della
non separatezza tra un servizio e l'altro e la capacità di farli
propri.
Le strategie politiche di quegli anni, tese ad un recupero della
conflittualità sociale, che inizialmente finanziava esperienze nate dal
basso, hanno poi sedimentato una situazione di progressiva trasformazione di
queste realtà che ora sono gestite a livello estremamente verticistico
creando una netta frattura tra gli operatori dei servizi che tutt'ora
promuovono i progetti e chi invece gestisce i finanziamenti.
Queste esperienze in realtà sono diventate delle tecnostrutture che,
dovendo fare i conti con i tagli economici, scaricano poi su operatori ed
utenza disagi e frustrazioni, perché sempre di più vi è la
consapevolezza che la produttività deve sostituire la qualità
delle relazioni.
Nonostante si continui a richiedere un'alta qualità dei servizi, viene
meno la garanzia oggettiva che questa sì trasformi nella realtà
dei fatti perché si assiste alla mancanza di personale, ad una sempre
più alta ricattabilità dei lavoratori che poi ricade in azioni
repressive sia favorendo un'estrema flessibilità, sia mettendo in
discussione le capacità professionali.
Le cooperative - minacciate da una ristrutturazione economica che potrebbe
portare al loro ridimensionamento - accettano cosi di trasformarsi in vere
proprie aziende che, continuando a lavorare nel sociale, garantiscono la piena
compatibilità con il sistema che a sua volta non va ad insinuare dubbi
sui privilegi acquisiti. Questa deriva di peggioramento della qualità
dei servizi non passa sotto silenzio perché vi è un'opposizione
da parte dei lavoratori che denunciano una crescente repressione nei confronti
di chi vorrebbe continuare ad essere promotore di una progettualità dal
basso.
Se tutto ciò sarà completamente smantellato si verificherà
che sul territorio prolificheranno strutture chiuse che ingloberanno utenti
totalmente dipendenti dalle strutture stesse e dove violenze e soprusi saranno
la norma, operatori passivi ed incapaci di relazioni e grande business per i
baroni dei disagi psichici, del mondo educativo e dei servizi sociali in
genere.
Un guardiano delle miniere di sale
Angelo Pollara lavoratore delle cooperative sociali
Roma apre l'anarcobettola alla 'Maranella'
È passato un anno da quando alcune individualità lanciarono la
"proposta di accordo per l'apertura di uno spazio che sia luogo di incontro,
confronto e attività anarchica". A seguito di quella proposta
scritta, in cui si articolavano gli intenti, vi è stato un intenso
lavoro per coordinare le iniziative necessarie a raggiungere lo scopo. Le
riunioni settimanali del gruppo promotore sono servite, nei primi tempi, ad
illustrare il progetto a tutti i compagni e le compagne interessate e
successivamente ad organizzare iniziative pubbliche come strumento di
comunicazione ed autofinanziamento del progetto. Constatando una crescita di
attenzione e contando su una base economica appena sufficiente, si è
passati a quella che si è rivelata essere la fase più impegnativa
del travaglio: la ricerca del posto. Per diversi mesi abbiamo concentrato i
nostri sforzi alla ricerca di un locale in centro, all'interno delle mura, per
garantirci una maggiore visibilità e dare maggior impulso
all'iniziativa. In questo, purtroppo, non siamo riusciti nell'intento. Tanti,
troppi sono stati gli ostacoli che ci hanno portato a desistere dal presupposto
di partenza. La Maranella non si trova al centro, ma in una di quelle periferie
della Roma descritta da Pasolini negli anni cinquanta, nel quartiere
Casilino-Torpignattara. Solo in parte però, si è trattato di una
scelta obbligata. I requisiti dello spazio fisico (un locale di circa 135 metri
quadri con annesso piccolo cortile) corrispondono alle nostre esigenze e
l'ubicazione non è lontanissima dal centro e, per molti di noi, è
anche più facilmente raggiungibile. Invitiamo chiunque interessato ad
una collaborazione o ad un approfondimento, a contattarci ai nostri recapiti.
È anche disponibile un opuscolo che raccoglie tutti i comunicati e gli
scritti finora usciti sul progetto anarcobettola. Abbiamo anche aperto un conto
corrente postale a cui si può far riferimento per eventuali contributi
di solidarietà: il numero di C/C è 67805044 intestato a Fabrizio
D'Andrea. In breve, nelle nostre intenzioni, consideriamo questo spazio
patrimonio del movimento anarchico; un punto di riferimento cittadino ma anche
un luogo aperto e disponibile ad ospitare incontri di carattere nazionale. Per
finire ripetiamo le parole conclusive espresse nella proposta di accordo
iniziale: "Il tentativo di questo progetto è quello di mettere
insieme compagni di diverse esperienze per creare uno spazio associativo e non
esclusivo. Uno spazio che tenda a far incontrare e non ad escludere. Quindi non
uno spazio di affinità, anche perché non è di questo che
avvertiamo la mancanza, ma di diversità, dove il metodo anarchico riesca
a valorizzare ognuno. Uno spazio che sia vivibile per chiunque lo voglia e non
solo per alcuni. Non mancano spazi dove condividere le proprie esperienze tra
simili. Qui vorremmo provare la convivenza possibile, la varietà,
l'anarchia."
Saluti e baci.
Anarcobettola, via della Marranella 68, 00176 Roma
e-mail: anarcobettola@libero.it
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