Da "Umanità Nova" n. 21 del 9 giugno 2002
Vertice della FAO
Un pianeta unico sotto le insegne di McDonald's
Il Vertice della FAO (Roma, 9-13 giugno 2002), che dopo sei anni fa il punto
della situazione sull'alimentazione e la povertà nel mondo, registra la
presenza tra i propri membri decisori di politiche agricole (185 paesi) quegli
stessi governi che reggono le sorti delle politiche di impoverimento e
affamamento del pianeta.
Oggi al mondo circa 800 milioni di persone soffrono di fame, nonostante
l'ammontare della produzione alimentare divisa per i sei miliardi di individui
sarebbe in grado di soddisfare ogni esigenza alimentare. Non è la
carenza ad affamare le popolazioni del sud del pianeta, concentrate
prevalentemente in aeree rurali, le quali assorbono ancora oggi circa la
metà della forza lavoro della terra, bensì la cattiva
distribuzione affidata alle politiche statali camuffate da neutre leggi di
mercato.
Infatti la neutralità è inesistente quando l'agribusiness cerca
di imporre la coniugazione della concentrazione delle terre fertili con
l'innalzamento delle soglie tecnologiche elitarie a disposizione per una fascia
ristretta dei contadini e allevatori, quando le politiche governative si
pongono al suo servizio denunciando e aggirando le regole neutrali di un
mercato ancora oggi dominato dai sussidi di stato alle maggiori imprese
nazionali, da tutelare rispetto alla concorrenza, e dal dumping dei costi
all'esportazione per ampliare la propria penetrazione estera.
Come sempre, l'economia è politica e come tale le forze di governo, che
pure si impegnano retoricamente a voler dimezzare la povertà entro il
2015 e la quantità di affamati entro i prossimi dieci anni, si impegnano
giorno dopo giorno ad espropriare i cittadini di quel controllo sulle proprie
potenzialità alimentari in maniera di dipendere sempre più dalle
imprese transnazionali che della fame e della sua eliminazione fanno il proprio
profitto di impresa.
Dalla rivoluzione verde che ha reso dipendenti i contadini dalle industrie
delle sementi, oggi addirittura modificate geneticamente per imporre una tassa
virtuale sul ciclo produttivo un tempo naturale e senza costo, si è
passati alla costante erosione del diritto alla terra e alle componenti vitali
di una produttività alimentare. Le pressioni alle privatizzazioni
costituiscono una minaccia non solo per il circuito economico dell'industria
contadina di ogni taglia e dimensione, quanto e soprattutto una sfida di
ricomposizione di un equilibrio di potere sugli individui - Foucault lo
definiva efficacemente "bio-potere".
Concentrare la terra, privatizzare l'acqua così importante per
l'agricoltura, significa porre un altro dominio sulla vita egli uomini e delle
donne per mutarne i raggi di libertà. La dislocazione del potere
restringe drasticamente il livello di sopravvivenza nelle aree rurali
più deboli, anche nel nord del pianeta, mentre asserve letteralmente
ampi segmenti di popolazioni già povere ad un ulteriore spinta di
impoverimento criminale.
Il Vertice della FAO discuterà ufficialmente il piano dei diritti
consolidati dalle politiche governative, mentre in realtà i diversi
governi sono già ostaggi di un meccanismo di mercato che si regge sulle
loro prerogative normative che delimitano la sovranità alimentare
esclusivamente alle transnazionali abbondantemente sussidiate da finanziamenti
pubblici che espropriano ricchezza collettiva per affidarla concentrata nelle
mani di una élite imprenditoriale. Prova ne sia la PAC (Politica
agricola comune) dell'Unione europea, ampiamente foraggiata in aperta
concorrenza con i prodotti agricoli dei paesi del sud del mondo (cosa peraltro
vietata ai sensi del dogma del libero commercio nella Wto), oppure i sussidi
federali Usa all'agribusiness americano per sostenere il comparto locale a
esportare di più all'estero onde equilibrare il deficit commerciale
complessivo dell'economia americana.
Se facciamo un calcolo di tutti i sussidi agricoli, otteniamo che:
l'Unione Europea è passata da un valore di 100.687 milioni di euro come
media negli anni 86-88 (prima del termine dell'Uruguay Round) a 121.553 milioni
nel '99;
Gli USA sono passati da 62.537 milioni di euro ('86-99) a 90.564 milioni nel
1999.
Sembrerebbe che l'autonomia alimentare sia diventato, dopo millenni di
civiltà, un disvalore della vita organizzata, quasi a doversene
vergognare, mentre la distribuzione va affidata esclusivamente ai circuiti del
commercio, che sappiamo essere iniquo e vantaggioso per i grandi rispetto ai
piccoli, privi di forza contrattuale, di know how (anche giuridico), di risorse
tecnologiche a disposizione. Rivendicare e riappropriarsi della
specificità della cultura alimentare non significa allora perpetuare
tradizionalismi localistici, bensì innanzitutto risolvere con e proprie
pratiche secolari il problema dell'impoverimento indotto dal mercato globale e
l'affamamento di intere popolazioni deprivate degli strumenti per soddisfare le
esigenze vitali. Se il mercato commerciale della distribuzione vede penalizzati
i piccoli produttori e i piccoli distributori, occorre allora riverificare le
vie del commercio per consentire in primo luogo la sussistenza autonoma e
eco-sostenibile delle popolazioni del sud del pianeta, in modo da tutelare la
loro sopravvivenza anche attraverso controllati percorse e procedure di
commercio equo e solidale in cui ridotti al minimo siano gli impatti nocivi
della dimensione industriale nella sfera rurale, e non solo dal punto di vista
ambientale, ma anche e soprattutto dal punto di vista del potere dei contadini
e degli allevatori, senza separarli dalle comunità di riferimento in cui
la coltura è parte integrante del tessuto culturale della regione.
In tal senso, la FAO non potrà darci nulla di nuovo se non cambiando
radicalmente rotta rispetto alle indicazioni reali dei governi che la
compongono, al di là quindi delle belle parole che retoricamente segnano
in ogni occasione i vertici di organismi internazionali non direttamente al
centro del ciclone di globalizzazione criminale.
È auspicabile che il Forum parallelo delle associazioni e delle Ong che
da anni si occupano di tali problemi riesca a offrire indicazioni concrete
affinché il programma di "sovranità alimentare" sconti la scarsa
eleganza dell'espressione con il recupero di forza da parte dei segmenti ultimi
dei cicli produttivi mondiali, nei quali le stime ci segnalano che i quasi tre
miliardi di contadini impegnati sui campi a produrre cibo e utilizzare acqua
rappresentano a stento l'1% del PIL mondiale, come se la terra non facesse
valore aggiunto per i patiti delle cifre e come se la terra non dovesse
sfamarci tutti quanti con i suoi prodotti.
Ma questi sono i paradossi di un mondo ridotto a pianeta unico sotto le insegne
del McDonald's e della bandiera a stelle e strisce che porta indifferentemente
bombe e miseria dappertutto.
Salvo Vaccaro
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