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Da "Umanità Nova" n. 21 del 9 giugno 2002

Una fabbrica "occupata"
Torino periferia nord: viaggio nella New Box

Il cielo di maggio è ferocemente azzurro sotto il cielo di Torino. Siamo alla New Box di via Massari, periferia nord della città della Fiat: il panorama è disegnato da capannoni industriali, case popolari, qualche scampolo di verde, in memoria del tempo non lontano in cui qui la città non era ancora arrivata.

Il sole è impietoso. Fuori dai cancelli un gruppo di operai presidiano la fabbrica. Il 10 aprile il padrone - in questo scampolo di periferia industriale così si chiamano gli "imprenditori" - ha mandato una lettera ai 75 dipendenti. La New Box di Torino chiude, la produzione è trasferita nell'altro stabilimento in provincia di Vicenza, ed i 75 lavoratori il primo agosto sono fuori, ad allungare le file dei disoccupati. È l'epilogo, forse scontato, di una vicenda iniziata quattro anni orsono. Il padrone vicentino, acquista lo stabilimento e ne acquisisce il marchio. Poi, poco a poco, comincia a smantellare la fabbrica: un intero capannone viene smobilitato, con il consueto corollario di prepensionamenti. Alcune lavorazioni, come lo stampaggio delle lastre di alluminio, vengono spostate in Veneto, così si spezza il ciclo produttivo che inizialmente era interamente gestito all'interno della fabbrica. L'intenzione è chiara: acquisire un marchio prestigioso, assorbire la clientela e poi far fuori i lavoratori dello stabilimento torinese, troppo sindacalizzati, poco inclini ad abbassare la testa. In questa vicenda l'unico imprevisto è la resistenza degli operai e delle operaie della New Box.

Mentre attraversiamo i due capannoni ci raccontano la loro storia, una storia che somiglia a tante di questi tempi a Torino.

"Qui" ci dicono "lavorano interi nuclei familiari. Mariti, mogli, fratelli, sorelle, cognati. La chiusura getta sul lastrico chi non può contare sull'appoggio delle reti famigliari. Poi siamo in tanti ad avere 20, 25 anni di anzianità. Per noi il ricollocamento è evidentemente una chimera. Il padrone rifiuta di avviare la procedura per la Cassa Integrazione, perché l'azienda non è in crisi.

Alla New Box si fanno scatole di alluminio per alimentari: dolci, panettoni, bottiglie, pomodori. Facciamo anche i cartelli dei gelati, quelli che appendono fuori dai bar."

Mentre attraversiamo il capannone veniamo investiti dal silenzio: le macchine sono ferme. Dopo la lettera di licenziamento gli operai si sono rifiutati di far uscire le scatole già pronte, immobilizzandole nel magazzino: il padrone ha risposto bloccando la produzione. Da allora gli operai si recano ogni giorno al lavoro ma lavoro non c'è n'è. Restano in fabbrica anche di notte per impedire che i macchinari ed i prodotti immagazzinati vengano portati via. Non è una vera e propria occupazione: ogni notte è convocata un'assemblea non retribuita fuori dall'orario di lavoro.

È stata allestita anche una cucina: ogni giorno viene preparata pasta fatta "in casa" e manicaretti vari. È un modo per resistere, per non soccombere allo sconforto, per trascorrere le lunghe ore di inattività forzata.

Ci mostrano i macchinari e con orgoglio d'altri tempi ci descrivono la lavorazione. "Quella machina lì" ci dice un operaio "è completamente automatizzata: basta un persona a farla andare. Ci si facevano i contenitori per le bottiglie di whisky: quattro anni fa è stata messa a riposo, non si sa il perché. Queste macchine, invece, servono per le scatole dei panettoni. Di questi tempi avremmo cominciato la produzione per arrivare in tempo a fine anno. Restando fermi costiamo un bel po' di soldi, gli diamo un danno: speriamo che alla fine molli."

Ci raccontano di quando sono andati a Vicenza, subito dopo le lettere di licenziamento. "Arrivati allo stabilimento, un capannone nuovo, moderno, troviamo polizia e carabinieri con i cellulari, gli scudi, i manganelli. Ci hanno aspettati come fossimo terroristi e non operai. Avevamo un uovo di pasqua di cartone: era la nostra risposta al suo 'regalo di pasqua'. Infatti quando ci ha dato le lettere ci ha detto 'ecco un bel regalo di pasqua!' Sull'uovo di cartone c'era la scritta 'uovo intelligente lo rispediamo al mittente'. E lui che fa? Chiama gli artificieri per 'disinnescarlo'. Alla fine persino i poliziotti erano imbarazzati. Abbiamo parlato anche con qualcuno degli operai che ci hanno detto che lì non hanno neanche l'integrativo. Quelli prendono molto meno di noi, molti sono immigrati, facili da ricattare".

Mentre passiamo per il magazzino ricolmo di scatole già pronte, fa capolino uno scampolo di azzurro. Azzurro come gli occhi di un'operaia che ci dice "sono 26 anni che lavoro qui, ci sono anche i miei parenti". Domandiamo cosa faranno se il primo agosto la situazione non si sarà sbloccata. Gli occhi dell'operaia di fanno più scuri e fissandoci con determinazione dice: "Occuperemo".

Quando usciamo il cielo è ancora, ferocemente, azzurro. In questa periferia dove la campagna non è ancora scomparsa e brilla verde tra i capannoni, tenace come la voglia di lottare di 75 uomini e donne cui un padrone vuole portar via i futuro.

Eufelia



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