unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 22 del 16 giugno 2002

Grandi opere, ricchi affari
La tavola di CISL, UIL, Governo e Confindustria
...e la CGIL sputa nel piatto dove ha mangiato sino a ieri

Capita a me, come immagino ad altri, di avere frequentazioni che potrebbero apparire singolari a chi affrontasse in maniera settaria la discussione l'azione sindacale. Giorni addietro, per fare un esempio, mi è capitato di ragionare a lungo con un paio di militanti di livello medio della CGIL reduci da una riunione di delegati del loro sindacati, militanti che, dal punto di vista politico si collocano alla sinistra del PRC. Uno dei due è quello che si potrebbe definire un bolscevico operaista, l'altro ha, invece, una storia di movimento più accidentata. Entrambi erano colpiti dalla mia relativa freddezza a fronte delle mobilitazioni messe in cantiere dalla CGIL. In particolare sembrava a quello di sensibilità movimentista che io avessi un'attitudine seccamente organizzativa e che non dessi il giusto peso alle scelte del maggior sindacale italiano. Non ritengo necessario insistere troppo sul fatto che nel corso di discussioni del genere si rischia sempre una certa rigidità e si pone l'accento sulle divergenze. Il vero problema del quale si discute, magari male, è la natura della rottura fra CGIL, da una parte, e CISL, UIL e governo, dall'altra e, nel contempo, delle potenzialità del movimento dei lavoratori per quanto riguarda la capacità di svilupparsi autonomamente rispetto alle dinamiche interne agli apparati sindacali. Nella testa di molti militanti sindacali e politici, infatti, le due dinamiche tendono a sovrapporsi con l'effetto di sopravvalutare le potenzialità delle attuali mobilitazioni o, quantomeno, di dare per scontato un salto di qualità del conflitto sociale e di sottovalutare contestualmente la capacità dell'apparato della CGIL di controllare la situazione.
È vero che alcune recenti esternazioni dei vertici della CGIL possono suscitare le più ardite speranze.
Ne riporto alcune:

"Ancora, Cofferati rinnova le critiche a Rutelli sull´art.18, e afferma che 'in Italia i partiti, a cominciare da quelli di sinistra, pensano di essere l'origine di tutto o il tutto e basta'. Il governo, conclude Cofferati, 'finirà con lo spingere i sindacati, quelli che si piegheranno, a ridurre la loro attività di tutela dei lavoratori per diventare soprattutto erogatori di servizi. Questo porterà ad un sindacalismo neo-corporativo e sarà un disastro'."
Da "La Stampa" del 7 giugno 2002

"Il convitato di pietra di tutte queste dichiarazioni e pressioni - Sergio Cofferati - ha replicato indirettamente a tutti, parlando a Modena, e ha detto sostanzialmente tre cose: 'il mercato del lavoro italiano è già fin troppo flessibile' e quindi non servono ulteriori ammorbidimenti discrezionali a favore delle aziende; secondo, che l'Italia rischia un 'patto neocorporativo' tra il governo e chi siede al suo tavolo e che la trattativa diventa una sorta di 'gioco del monopoli' in cui il governo fa rientrare in un disegno di legge blindato ciò che ha tolto dalla delega, terza, che il contrasto con esecutivo e altri sindacati non è solo di metodo ma di merito, e quindi sostanziale"
Da "La Stampa" dell'8 giugno 2002

Colpisce un fatto evidente, Sergio Cofferati denuncia con forza la deriva corporativa dei sindacati amici del governo e dice una cosa assolutamente condivisibile. Vi è, però, da considerare un piccolo fatto, il corporativismo non è una scelta tattica ma una pratica strutturale dei sindacati. Se questo è vero, è altrettanto vero che la concertazione, per restare all'ultimo decennio, non è un'invenzione né di CISL e UIL né della destra ma è stata realizzata, congiuntamente, da CGIL-CISL-UIL e da governi di sinistra.
Pare, dunque, ben strano che la stessa pratica sia corporativa se realizzata da CISL e UIL e non corporativa quando vede protagonista la CGIL. Riappare, in campo sindacale, la vecchia logica del PCI per la quale una scelta, se funzionale agli interessi del partito, era democratica, unitaria e progressista e se dannosa agli stessi interessi era antiunitaria e subalterna.
D'altro canto, la CISL, non tiene un profilo basso nella polemica con la CGIL, basta leggere, su "La Stampa" del 7 giugno 2002 le righe che seguono:
"Anche perché tra Cisl e Cgil sembra approfondirsi un baratro: il segretario cislino Savino Pezzotta dice a Cofferati 'basta con le calunnie' contro la Cisl definita 'sindacato di governo', e gli chiede di fermarsi 'in questa demonizzazione da Terza Internazionale'. Ma precisa che 'la rottura tra le nostre organizzazioni è un dato di fatto, anche se continuo a mantenere la speranza che si possa risolvere'."

Vale forse la pena di riprendere a ragionare sulle ragioni del fascino che il governo sembra esercitare su CISL e UIL. Affidiamoci, ancora una volta, a fonti non sospette, si fa per dire.

"Nel corso dell'incontro il governo ha spiegato la sua intenzione di stanziare 11 miliardi di euro per i prossimi tre anni per le opere pubbliche nel Sud, e creare tra i 400.000 e i 530.000 posti di lavoro. Soldi che verranno spesi in infrastrutture che saranno indicate nel prossimo Documento di programmazione economica, assicura il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano. E il viceministro dell'Economia Gianfranco Micciché spiega che già nei prossimi giorni un decreto legge consentirà alle imprese del Sud il cumulo tra la Tremonti bis e il credito d'imposta per le nuove assunzioni"
Da "La Stampa" del 7 giugno 2002

"Un milione e quattrocentomila posti di lavoro sono un obiettivo che fa una certa impressione e il giorno dopo il roboante annuncio Berlusconi si è detto rammaricato solo per l'assenza della Cgil alla trattativa: 'Avete visto - ha commentato - si è ripreso bene il dialogo con i sindacati, anche la Cgil si è seduta su alcuni tavoli ma non a quello sul lavoro, me ne dispiaccio, ma credo che con il dialogo riusciremo ad arrivare a soluzioni di buon senso'. E poi va da sé che l'ambizioso progetto andrà in porto - come ha voluto precisare il ministro del Lavoro Maroni - 'solo a patto che si facciano le riforme'."
Da "La Stampa" dell'8 giugno 2002

Come si vede, si sta ragionando di questioni nobilissime e, cioè, di diverse decine di migliaia di miliardi di vecchie lire da investire nelle famose grandi opere. Non ho, a questo proposito competenze adeguate per dare un giudizio di merito sulla plausibilità, diciamo così, tecnica dei progetti governativi ma su di una cosa ho una certezza granitica e cioè che quando si spende una massa imponente di denaro pubblico molti sono gli attori sociali interessati e, certo in seconda fila rispetto alla Confindustria, viene la burocrazia sindacale. I gruppi dirigenti della CISL e della UIL sono, con ogni evidenza, convinti che una loro partecipazione alla definizione di questi progetti garantirà loro un ruolo, subalterno ma importante, nella loro gestione. E, a questo fine, la denuncia del nostro buon Cofferati del rischio che i sindacati divengano semplici "erogatori di servizi" non fa loro né caldo né freddo ed anzi, con meno ipocrisia di altri, apprezzano la possibilità di svolgere questo ruolo che non è, peraltro quella gran novità che sembra immaginare il cinese.
E che Parigi valga bene una messa, lo dimostra la seguente dichiarazione:
"Ieri, il segretario generale della UIl, Luigi Angeletti, aveva lanciato la sua proposta affermando di guardare con interesse il modello tedesco 'dove nelle aziende con più di sei dipendenti il giudice stabilisce se reintegrare nel posto di lavoro chi è licenziato oppure se indennizzarlo'."
Da "Il Sole 24 Ore" del 5 giugno 2002

Certo, Angeletti non è proprio un gigante del sindacalismo e chi deciderà se sbracare sull'articolo 18 sarà, nel caso, Savino Pezzotta ma si sa che i peones svolgono, a volte, il ruolo di apripista e non escluderei che questo sia un caso del genere.
In estrema sintesi, la riapertura delle trattative comporta una certa dilatazione, inevitabile, della messa in atto di una serie di manovre. La riforma dell'articolo 18 slitta, su fisco, lavoro sommerso e meridione si tratta e la CGIL partecipa alle trattative stesse, i temi più rilevanti restano sullo sfondo. Per ricordarne uno da diverse migliaia di miliardi di euro ritengo utile riportare un paio di ulteriori citazioni.

"...il ministro dell´Economia Giulio Tremonti... ha addirittura ipotizzato la 'liberalizzazione dell'età pensionabile'. Questa mossa 'potrebbe essere la scelta giusta, in linea con le tendenze prevalenti in Europa', ha detto Tremonti ricordando che la proposta del governo che incentiva la permanenza al lavoro degli anziani va in quella direzione. Gli incentivi che 'danno a chi resta sul lavoro un aumento salariale mai avuto prima nella storia lavorativa del Bel Paese', sono per Tremonti - che si muove con la bussola delle intese raggiunte al vertice europeo di Barcellona e incentrate proprio sul ricorso alla incentivazione - 'la formula vincente': la carota da usare al posto del vecchio bastone.
Da "La Stampa" del 9 giugno 2002

"Riforma 'ineludibile' quella delle pensioni, anche se non proprio dietro l'angolo: ma solo per non ingolfare il tavolo del negoziato appena aperto tra governo e parti sociali con un nuovo capitolo, per di più molto ingombrante. 'In questo momento sono in corso confronti molto importanti sul mercato del lavoro, sul sommerso, sul Mezzogiorno e sul fisco - nota il presidente della Confindustria - e c'è un calendario molto stretto: entro luglio queste riforme dovranno essere definite'."
Da "La Stampa" del 9 giugno 2002

In sintesi, nonostante il buon Tremonti, da buon tributarista avvezzo a giocare sui bilanci per gabbare il fisco, parli di una legge finanziaria "rigorosa ma non dura", dobbiamo attenderci ad autunno la famosa, o famigerata, riforma delle pensioni. A maggior ragione, deve essere chiaro che l'iniziativa contro l'attacco all'articolo 18, iniziativa importante quanto altre poche, rischia, se non si svilupperà un movimento generale per il salario europeo, contro la precarizzazione del lavoro, per la difesa delle pensioni e, in genere, per la rottura dei vincoli concertativi, di essere un classico caso di battaglia su di un obiettivo importante ma minore e, nei fatti, la preparazione di una sconfitta.

Cosimo Scarinzi



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