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Da "Umanità Nova" n. 22 del 16 giugno 2002
Cimiteri di carta
La ragion di stato nella sentenza di Marghera
Alla fine dello scorso maggio è stata depositata la sentenza del
collegio dei giudici chiamati a pronunciarsi sulle richieste di condanna a
carico dei dirigenti del Petrolchimico di Marghera. Mille e sessantasette
pagine che hanno risposto, meticolosamente, argomento per argomento, al
dispositivo accusatorio del pubblico ministero Casson.
Se abbiamo pensato per un attimo che al momento della lettura della sentenza di
assoluzione in un'aula di tribunale gremita di gente e tracimante di ricordi,
tutti ugualmente terribili, il tempo si fosse fermato per un lungo, doloroso
istante, mai avremmo immaginato che nelle fitte pagine a firma di Salvarani,
Manduzio e Liguori sarebbero stati assolti non soltanto i vertici dell'allora
Montedison, ma anche oncologi, sindacalisti ed esperti convenuti da tutta
Italia a difendere le ragioni di un modello di sviluppo che ha saputo uscire
vincitore dallo scontro ingaggiato contro altre ragioni: quelle delle morti
bianche per tanti anni taciute, dell'inquinamento ambientale che, lo si voglia
ammettere o meno, ha quasi distrutto l'ecosistema lagunare veneziano, e di una
insopportabile vita di fabbrica trascorsa tra veleni e massacranti ritmi di
lavoro.
Questa volta è nientemeno il sistema generale del diritto che chiude
ogni controversia possibile. Attraverso una sentenza di tribunale, infatti,
vengono demolite, con sistematicità impietosa, le tesi del pm. Restano
certo i morti e i malati - 311 patologie, delle quali 164 si sono trasformate
in neoplasie, vale a dire affezioni tumorali inguaribili - ma senza
responsabilità oggettiva imputabile ad alcuno. In questa che appare come
una e vera e propria contro-requisitoria ricorrono spesso termini quali
infondatezza, insussistenza, inconsistenza delle prove addotte da Casson a
dimostrazione della colpevolezza degli imputati. Non c'è danno
all'ambiente, né morte causati con dolo o anche soltanto con omissione
d'intervento. L'annullamento dell'azione penale è totale.
A questo punto l'unico colpevole diventa il giudice Casson, reo di aver
ritenuto possibile un impianto accusatorio del tutto illegittimo. Negli stessi
giorni della comunicazione delle motivazioni della sentenza, la notizia
è apparsa fuggevolmente su un TG nazionale, lo stesso ministro della
Giustizia Castelli ha chiesto al Procuratore Generale della Repubblica di
avviare un procedimento disciplinare a carico di Felice Casson proprio in
relazione al comportamento tenuto dal pubblico ministero veneziano durante il
processo Enichem.
La morsa della nuova politica di governo si stringe inesorabile attorno a
quanti credono di poter mettere in discussione la storia di cinquant'anni di
sistema industriale italiano mettendo a serio repentaglio anche l'efficacia e
la pretesa razionalità di un intero modello di sviluppo.
Tra le numerose pieghe invisibili del processo al Petrolchimico si annidano
pericolosi fermenti politico-culturali che osano riaffacciarsi al di sopra
della linea di visibilità sotto la quale erano stati relegati. La
vicenda dell'insediamento industriale di Porto Marghera, con annessi e
connessi, è più di una semplice questione medico-legale. È
molto più di un problema di carattere ecologico e ambientale. È
la narrazione, a volte imbarazzante, di una strategia disciplinare di
controllo, di una rete di profitti e di taciuti interessi che affondano le loro
radici nelle impervie geografie dell'economia locale e nazionale e della
macchina politica che per decenni ha costituito la sponda ideale sulla quale
trovare rifugio quando il mare era in tempesta. Questo insieme incredibilmente
complesso di poteri più o meno occulti non avrebbe mai chiuso i conti
con una storia propria che è stata soprattutto storia del capitalismo
italiano del secondo dopoguerra.
Dunque, non potendo cambiare la legge, giacché l'azione penale di cui si
diceva è comunque esercitabile dal pubblico ministero se questi ravvisa
una qualsiasi ipotesi di reato, sarà sufficiente per intanto cercare di
cambiare il giudice, o sconfessare clamorosamente il pm. Puntare, anche in
maniera indiretta, il dito su Casson equivale, come si può facilmente
comprendere, a mettere in difficoltà non solo impianti accusatori simili
al suo, ma, quel che è peggio, colleghi che stanno indagando su fatti
analoghi. Indipendentemente dal ricorso in appello che Casson e le parti civili
sembra presenteranno al più presto, coloro che a Brindisi, sede di un
altro grande petrolchimico, dovranno, o a questo punto dovrebbero, procedere
per gli stessi reati contestati a Marghera, saranno costretti a fare i conti
con la sentenza di Salvarani.
Un cimitero di carte, senza dubbio, nelle quali si seppelliscono anni di lavoro
investigativo, di raccolta di testimonianze, di incroci di destini. "Il
processo" si legge nelle prime righe delle conclusioni "ha sofferto della
fuorviante impostazione accusatoria, un procedere senza distinzioni in cui sono
mancate le coordinate spazio temporali necessarie per orientare la
individuazione delle condotte e dei soggetti ai quali fossero imputabili." E
già, perché la dirigenza messa in stato d'accusa da parte del
pubblico ministero non era la stessa degli anni durante i quali - si tratta del
decennio 1950-1960 - le condizioni di rischio per la salute erano davvero
consistenti. Successivamente, a partire dagli anni Settanta, Montedison
realizza che la nocività del Cloruro di Vinile Monomero merita una
qualche attenzione e mette a norma impianti e sicurezza dello stabilimento. Un
raffinato gioco di date che allontana responsabilità specifiche nei
confronti del terribile angiosarcoma epatico, tumore prodotto appunto dalla
polvere di CVM assunta per via polmonare.
Ciascuno, all'interno dell'azienda, ha dato il massimo per la salvaguardia
della vita, a partire dall'oncologo Maltoni cui fin dal 1970 Montedison aveva
affidato uno studio per determinare la reale nocività del composto
chimico da cui si ricavava quel meraviglioso materiale plastica da cui fu
invasa la società dei consumi. "Il ripristino della verità,
stravolta dall'enfasi di una tesi complottistica che avviluppava scienza e
industrie, rivelatasi inconsistente e frutto di una pubblicistica alla ricerca
della notizia ad effetto, restituisce l'onore a uno scienziato di grande
autorevolezza e indiscutibile integrità morale." E non è salvo
esclusivamente l'onore del celebre oncologo. I sindacati di fabbrica escono
politicamente assolti dal sospetto di aver assunto, nel corso degli anni, una
posizione a dir poco contraddittoria nei confronti della direzione, alla
continua ricerca di una composizione di conflitti piegati dal ricatto
occupazionale.
C'è posto per tutti nelle motivazioni di una sentenza che lascerà
il segno. Tranne che per le accuse, si intende. Quelle appartengono al mondo
senza certezze delle opinioni, fino a confondersi talora con le calunnie, che
in lente spire i fumi di Marghera sospingono verso la laguna.
Mario Coglitore
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