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Da "Umanità Nova" n. 22 del 16 giugno 2002
Ogm: accordi USA-Europa. I piedi nel piatto
Appunti per una critica non moralista
Il vertice NATO, nella base aereonautica di Pratica di Mare, si è aperto
ufficialmente martedì 28 maggio 2002, ma nel tardo pomeriggio del giorno
precedente si era già svolto, a Roma, un tete a tete tra Bush e
Berlusconi. Motivo principale dell'incontro: studiare i modi per aggirare e
vincere le ultime resistenze del parlamento italiano e della Comunità
Europea alla liberalizzazione degli OGM nel settore agro-alimentare.
La questione degli OGM riveste, in questa fase, per l'economia americana,
un'importanza non secondaria, segnalata dal fatto stesso che Bush, pressato
dalle multinazionali biotech, se ne faccia personalmente carico. Il pressing,
che, da almeno un anno, gli U.S.A. stanno esercitando sull'Italia, mira,
innanzi tutto, alla revoca del decreto promulgato nell'agosto 2000, col quale
si sospendeva la commercializzazione di 4 tipi di mais transgenico; più
in generale, esso tende a fare dell'Italia la testa di ponte per una massiccia
introduzione di sementi e prodotti geneticamente modificati, di marca
statunitense, in Europa.
Con buona pace delle "riserve", o degli inutili tentativi di salvare la faccia,
del ministro Alemanno, che si era più volte professato contrario
all'introduzione degli OGM, il progetto di Bush sembra aver trovato in
Berlusconi un alleato di ferro, tanto che il verde Pecoraro Scanio,
presentando una interpellanza urgente in parlamento, ha parlato di "piano
segreto" Berlusconi-Bush. Che le riserve di Alemanno siano puramente di
facciata lo dimostra, per altro, la posizione assunta, negli stessi giorni, dal
ministro in merito al documento relativo alla applicazione in Italia della
direttiva comunitaria 11/2002, che regolamenta la commercializzazione di
prodotti viticoli geneticamente modificati, proposto, a Bologna, dal comitato
delle Regioni italiane, nell'ambito di un convegno intitolato "Vite e OGM: la
via italiana". Il documento, presentato da vari giornali come espressione di
una "linea di fermezza" nell'opposizione al transgenico, prevede, in
realtà, l'introduzione degli OGM nella produzione vinicola, ma con
l'obbligo di segnalare al consumatore se il vino è stato ottenuto con
viti geneticamente modificate, e "garantire" la separazione tra prodotti
transgenici e non transgenici. Il ministro delle Politiche agricole ha
dichiarato di "condividere nella sostanza il documento delle Regioni italiane".
Il presidente della Coldiretti, Paolo Bedoni, invece, prendendo le distanze da
questa posizione, ha commentato: "parlare di immissione in commercio di
prodotti derivati da Ogm e di separazione di filiera tra prodotti Ogm e no,
è rischioso e dà per scontata l'apertura di una strada che
potrebbe dimostrarsi disastrosa per la nostra viticoltura". L'introduzione in
Italia di sementi modificate, principalmente di soia e mais, che importiamo per
il 58% del fabbisogno, è, d'altra parte, già in atto, da anni, e
si sta espandendo, gradualmente, attraverso la tecnica preferita dagli
americani, che è quella di mescolare sementi transgeniche e sementi
normali, in modo da renderle inseparabili. Un rapporto Ense, a marzo, aveva
riscontrato in 54 lotti di seme di mais, su 104 esaminati, una
positività "accidentale" agli Ogm. Nel corso delle polemiche seguite al
caso, gli stessi rappresentanti delle imprese principali del settore, nelle
persone di Leonardo Vingiani (Assobiotec) e Marco Nardi (società
sementiere Ais), hanno ammesso che, nelle condizioni attuali, la purezza
assoluta delle sementi non è garantibile, e che per un programma di
"tolleranza zero" al transgenico mancano "supporti analitici affidabili".
Dietro i progetti di introduzione e regolamentazione degli OGM, in tutti i
principali settori agroalimentari italiani ed europei, si cela la
possibilità di impiantare un doppio business, che fa gola a molti gruppi
economici americani, date le difficoltà di smercio che gli OGM oggi
trovano sul mercato interno, ma anche europei e italiani, interessati ai grandi
investimenti che richiederebbe l'impianto di filiere differenziate in tutti i
principali settori agroalimentari, incominciando da quelli più esposti
al rischio di contaminazioni.
Alcune nozioni scientifiche minime
Le cosiddette "biotecnologie" si avvalgono di procedure basate sull'isolamento
di geni, o gruppi di geni, ritenuti utili, e sulla loro introduzione in un
genoma "ospite": "L'inserimento si può realizzare rivestendo minuscole
particelle metalliche con il DNA e facendole penetrare nelle cellule riceventi,
oppure inserendo il DNA in microrganismi che in seguito infetteranno il
ricevente"[1]. Gli effetti di questo inserimento
possono modificare le caratteristiche genetiche e fisiche dell'organismo
ricevente e dei suoi discendenti. Attraverso queste tecniche, la cui messa a
punto data da non più di sette anni, una serie di gruppi industriali, a
partire dagli U.S.A, ha prodotto e messo in commercio alimenti ottenuti
attraverso l'impianto, prima di gruppi di geni, poi di singoli geni, di un
organismo in altri. In altri paesi ci si è affrettati a vietare, o
regolamentare, l'accesso di sementi e prodotti così modificati.
La differenza tra le attuali tecnologie di ingegneria genetica e le tecniche di
selezione attraverso forme di incrocio mirato che, già da millenni,
nell'ambito dell'agricoltura e dell'allevamento, le culture umane hanno
attuato, consiste nel fatto che oggi è possibile trasferire singoli
geni, mentre la tecnica tradizionale consentiva solo la mescolanza dell'intero
genoma di una specie con quello di un'altra. L'ingegneria genetica introduce,
quindi, una tecnica di manipolazione radicalmente nuova, i cui possibili
effetti sono ancora poco conosciuti, ma non un tipo di selezione degli
organismi vegetali e animali che in passato non si praticava. Il tempo per
sperimentare gli effetti di questa nuova tecnica è stato, tuttavia,
finora, veramente scarso, e tale da non poter ancora permettere agli
specialisti, quando non siano mossi da interesse economico o da brama di
autopromozione, di dire alcunché di affidabile su di essi. R. Lewontin,
fondatore insieme al paleontologo S. Jay Gould, recentemente scomparso, del
noto gruppo Science for People, recensendo quattro lavori sull'argomento OGM,
nel giugno 2001, scriveva: "Nella battaglia sugli OGM si dibattono cinque
problemi generali. Il rapporto del National Research Council (NRC) della
National Academy of Sciences ne esamina tre: le minacce alla salute pubblica,
il possibile sconvolgimento degli ambienti naturali e le minacce alla
produzione agricola dovute a una più rapida evoluzione di infestanti
resistenti. Gli altri due: lo sconvolgimento delle economie agricole del Terzo
Mondo e le obiezioni di principio agli interventi `innaturali' sono
deliberatamente esclusi" (R. Lewontin, cit. p. 277).
Alcune riflessioni
Possiamo concordare con Lewontin, e con altre fonti non sospettabili di
simpatie interessate per le multinazionali del transgenico, sul fatto che
l'ultima accusa agli OGM, da lui citata, quella di "innaturalità",
rimanda, in ultima analisi, ad un uso "fissista" dei concetti di "naturale" e
"innaturale", cioè all'idea di un ordine della natura, eternamente dato
e immutabile, e all'idea che esista un canone naturale, anch'esso rigido e
immutabile, che debba guidare i rapporti degli uomini con il resto della
natura.
Per un materialista critico, quale nel mio ragionare tento di essere, la
"natura", ogni natura, non è qualcosa di ripetitivo e immutabile, ma un
prodotto della storia; il rapporto degli uomini con il resto degli esseri
viventi, e con gli elementi, dovrebbe essere ispirato da rispetto e seduzione
per la loro bellezza, e da consapevolezza razionale della loro
indispensabilità per la vita e per lo sviluppo umano, e guidato, non
dall'impossibile tentativo di lasciare immutato ciò che ormai abbiamo
già irrimediabilmente devastato, ovvero gli equilibri naturali che erano
maturati in miliardi di anni, ma dal tentativo di costruire, ovunque siamo,
equilibri che permettano, quanto più è possibile, a tutti i
viventi, umani e non umani, che abitano un determinato ambiente, di esprimere
le loro forme e il loro ciclo di vita senza inutili e arbitrarie limitazioni
prodotte dalla società umana. È noto che anche gli ecologisti e i
naturalisti, che operano cercando di salvare, o ricostruire, gli habitat di
vita di animali e piante che lo sviluppo industriale minaccia di estinzione,
sono costretti a operare modifiche, talvolta drastiche, nella vita degli
organismi coinvolti. A mio avviso, quindi, il nodo da sciogliere riguardo a
tematiche come l'ogm, non riguarda, e non può riguardare,
l'ammissibilità o inammissibilità, in linea di principio, della
manipolazione dei prodotti naturali, microscopici o macroscopici che siano,
poiché pratiche di selezione e modificazione, sono sempre esistite e,
soprattutto, sono, in certa misura, indispensabili a ogni forma di agricoltura
e di allevamento e ad ogni forma di organizzazione sociale umana. Il problema
da porre riguarda, invece, ciò che può essere la produzione di
ogm, e ciò che in generale è la ricerca scientifica, all'interno
della produzione capitalistica, e della sua fase attuale, in cui il sistema
economico dispone di tecnologie altamente sofisticate, ma, nel caso delle
biotecnologie, non ancora delle conoscenze sufficienti a determinare gli
effetti, su medio e lungo periodo, delle modificazioni apportate.
Per conoscere adeguatamente gli effetti dell'ingegneria genetica, in ambito
agricolo e alimentare, come in campo medico e nella clonazione, occorrerebbero,
in realtà, molti anni e molti soldi dedicati alla sperimentazione, senza
un ritorno immediato di profitto. Ma è esattamente questo che non ci si
può aspettare dalla produzione capitalistica, che è incentrata,
oggi più che mai, sulla realizzazione di profitto a breve termine, sul
"piglia tutto" e poi "muoia Sansone con tutti i filistei" e coi figli miei.
Lo stesso Lewontin non ha timore di riconoscere che, allo stato attuale, "i
pericoli del cibo manipolato geneticamente rimangono ipotetici", e individua il
pericolo più significativo nel fatto che, negli U.S.A., "i dati su cui
si basa attualmente la `valutazione della `sicurezza' non sono prodotti dagli
stessi enti federali, ma vengono forniti proprio dalle parti che domandano
l'approvazione per iniziare a distribuire la nuova varietà" [2]. "Il punto critico", egli scrive, "è che non vi è limite a ciò che si
potrebbe fare se per qualcuno valesse la pena di farlo". Il punto, direi,
più in generale, è che laddove a cardine e perno dell'economia si
è assunto il profitto, lo sfruttare il più possibile le forze
naturali e umane disponibili, e l'abbattere il più possibile i costi di
produzione, non vi è poi limite imponibile a ciò che le persone,
o i gruppi, possono fare per procacciarsi tale profitto. In regime
capitalistico, non è possibile, neanche nei paesi dove vigono una
regolazione e precisi vincoli legali (fatta la legge trovato l'inganno),
stabilire concretamente un limite alla mancanza di rispetto per i bisogni o
diritti dei lavoratori, come per la qualità e la sicurezza dei prodotti
scambiati in forma di merci. Cos'è la libertà di sperimentazione
scientifica, ovvero in termini legislativi la mancanza di vincoli alla
sperimentazione, nella odierna società capitalistica? Essa si traduce,
in larga misura, in possibilità di sperimentare senza limiti metodi e
strumenti per perpetrare ed estendere il dominio di una minoranza di uomini sul
resto dell'umanità e della natura. Chi ha accesso ai fondi e alle sfere
dirigenziali della ricerca scientifica, ed è mosso dal movente del
profitto, se intende infrangere le regole etiche tradizionali o le leggi dello
Stato, troverà sempre tecnici capaci di unire al possesso di determinate
competenze specifiche, la più completa mancanza di scrupoli, nella
ricerca dei metodi per abbattere i costi e produrre merci competitive, o
autorità disposte al controllo compiacenti.
Per concludere, il gran clamore che si è creato intorno alla questione
degli Ogm e dei cibi geneticamente modificati, a fronte del placido silenzio
con cui l'opinione pubblica europea subisce tanti altri orrori sociali, che si
consumano davanti alla porta di casa o alle immancabili telecamere delle
televisioni, mostra come il timore per i mali della propria pancia sia ancora,
per molti, superiore al timore delle guerre, o dei massacri, che organizzano i
propri governanti. Ma esso rimanda anche al confuso timor-panico che in molti
alberga, alimentato dal sentore di essere nelle mani di una classe dirigente
predatrice e incapace di arginare il cumularsi dei danni da lei stessa
prodotti, e di vivere un tempo che sta producendo brusche accelerazioni verso
un crollo del sistema ecologico e sociale, senza lasciar intravedere sbocchi
alternativi. A questo problema è legato il tema di ciò che la
ricerca scientifica diventa, quando è sottoposta alla legge della
produzione di profitto, e dunque di ciò che essa è effettivamente
diventata. Per darne un saggio pratico, chiudo citando alcuni casi di
"biopirateria" delle grandi multinazionali del transegenico, resi noti dalle
opere di Vandana Shiva e di altri: uno riguarda "la pretesa della RiceTec degli
Stati Uniti, secondo cui il riso basmati - coltivato da secoli nella valle del
Doon [... ] alle pendici dell'Himalaya - è `un'invenzione istantanea di
una nuova varietà di riso'", un altro riguarda le norme sulla
"proprietà intellettuale internazionale" dei semi (International
property rights), che hanno reso, in quelle stesse zone, illegali le
attività del conservare e scambiare semi. A questo strumento legale di
oppressione, e di creazione di dipendenza sociale, se ne è aggiunto,
però, un altro di natura propriamente bioteconologica: "Delta e Pine
Land (società di proprietà della gigantesca Monsalto Corporation)
e il Dipartimento Agricoltura degli Usa hanno stabilito una collaborazione
attraverso un brevetto congiunto dei semi risultato di ingegneria genetica,
con cui sono riusciti a garantirsi che non possano germinare dopo il raccolto:
così gli agricoltori non possono ripiantare semi del raccolto precedente
ma devono ricomprarli ad ogni stagione. Questo è un nuovo strumento di
accumulazione di capitale e espansione del mercato. Ma mentre si espande il
mercato per aziende come la Monsanto, l'abbondanza della natura declina per gli
agricoltori [...] Un luogo comune spesso usato da Monsanto e dall'industria
dell'ingegneria genetica è che senza biotecnologie il mondo non
potrà essere sfamato. Eppure, mentre si prevede che l'ingegneria
genetica quadruplichi la produzione alimentare, piccole aziende ecologiche
possono raggiungere produttività assai più alte delle grandi
aziende agricole su scala industriale basate sulle tecniche di coltivazione
tradizionali" [3].
Marco Celentano
Note
[1]R. Lewontin, "Geni nel cibo!", in Lewontin, Il sogno del genoma umano e altre illusioni della scienza, tr. it. Roma, Laterza. 2002.
[2]R. Lewontin, op. cit. p. 279.
[3]W. Shiva in "Il Manifesto", 28/08/98, p. 24.
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