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Da "Umanità Nova" n. 24 del 30 giugno 2002

Ecco l'estate, il caldo è soffocante

Ecco l'estate, il caldo è soffocante / nell'officina ci sta il buon lavorator / pien di fatica e di sudor grondante / mentre il borghese lui disprezza il suo sudor. Così, all'inizio del secolo scorso, l'anonimo carcerato anarchico che dalla finestra della cella osservava il mutare delle stagioni, trasformava in poesia struggente un pensiero comunemente condiviso. Pensiero che trovava le proprie argomentazioni in un contesto sociale duro e fortemente contrapposto, espresso da una sterminata letteratura, politica, sociale, letteraria, che ha descritto, da ogni angolatura, il conflitto delle classi dei lontani anni passati

Ma esiste ancora, oggi, un lavoratore pien di fatica e di sudor grondante e, contestualmente, un borghese che disprezza il suo sudor? Esiste ancora, in questo torrido inizio estate che fa assaporare a tutti le devastanti prefigurazioni dell'effetto serra, il lavoratore con le maniche arrotolate e la tuta a saloppette, intento a battere il ferro sull'incudine, e l'infame borghese, con lo smoking di taglio impeccabile, reduce da una notte di gozzoviglie, abbracciato a due graziose signorine, che deride la fatica e aborre l'intuibile olezzo dell'onesto proletario? Hanno ancora senso le antiche contrapposizioni proposte da una iconografia vetero popolare che parrebbe ormai decisamente sorpassata? Sono ancora attuali, e utili soprattutto, le analisi sulla società e sulla sua divisione in classi e le categorie sociologiche sulla composizione sociale e sui ceti subalterni? E siamo ancora capaci di leggere questa subalternità, non solo quella economica, ma anche, e non ultima, quella esistenziale? Insomma, in questa opulenta società occidentale, massificata e livellata al basso, esistono ancora, e sono determinanti, quelle divisioni una volta tanto evidenti e oggi, apparentemente, così sfumate?

Campagne della prima periferia bolognese. Scoppia un incendio in un casale che ospita lavoratori asiatici. Molti sono, comprensibilmente, senza documenti. Temendo l'arrivo della polizia, uno di loro, un giovane pakistano, "clandestino" ma non tanto da non poter vendere "Il Resto del Carlino" agli incroci di Bologna, scappa insieme a due connazionali. Nei pressi di una villa, è aggredito da due alani, verosimilmente mantenuti affamati per aumentarne l'aggressività. Ferito alla arteria femorale, muore dissanguato nel caldo soffocante della campagna bolognese assistito solo dalla impotente disperazione dei suoi due compagni. Pare che anche i padroni dei cani, seppur tardivamente, abbiano cercato di prestare soccorso. Non sono certo i borghesi che disprezzano il suo sudor, ma per il giovane pakistano, la differenza dov'è?

Stanno arrivando in Europa le prime testimonianze dai campi di prigionia afgani dove sono rinchiusi i talebani che si sono arresi. Quello di Shirbaghan, gestito direttamente dall'esercito americano, è già stato definito l'Auschwitz afgano. Il giornale conservatore inglese "Daily Mirror" e un documentario proiettato al Bundestag parlano di torture e crudeltà indegne di una "grande nazione democratica quali sono gli Stati Uniti d'America". Se a Guantanamo, troppo sotto i riflettori, gli orrori dovrebbero essersi attenuati, nel lontano Afganistan le mani possono essere più libere. E sentendosi più libero, il borghese, evidentemente, lui disprezza il suo sudor.

A Siviglia i padroni dell'Europa, e i loro cani poliziotto, dopo aver varato le nuove regole economiche che dovrebbero rilanciare l'economia continentale (ma che per il momento, guarda caso, intendono rilanciare solo i loro profitti) hanno anche impostato le coordinate per fronteggiare lo sconvolgente fenomeno della immigrazione clandestina, l'orribile piaga che, sbarco dopo sbarco, mette in pericolo l'identità, e il portafoglio, del vecchio continente. Europa: tolleranza zero contro i clandestini, titola il "Corriere della Sera". Perché, fino ad oggi abbiamo scherzato?

Nel caldo soffocante del prato di Pontida, gli accaldati lucertoloni lì convenuti ovazionano il latrare del Grande Ramarro. Su un gigantesco cartello spicca, a caratteri cubitali, L'orda No!, e da pendant la confortante rassicurazione che La Padania cristiana non sarà mai maomettana. Così da rimuovere, una volta per tutte, il fatto che circa un terzo dei loro avi era andato a infoltire le mediterranee orde di quegli ometti bassi e tarchiati, raramente puliti e profumati, con baffi d'ordinanza e piatto di macaronì, che invasero, più o meno clandestinamente, le civilissime lande del nord del mondo. Lavoratori pien di fatica e di sudor grondanti addirittura da cartolina, disprezzati allora dello stesso disprezzo con cui i loro nipoti oggi gratificano la fatica e il sudore altrui.

Il ministro Scajola assicura che se saranno trovati colpevoli, saranno tutti rimossi i poliziotti che hanno confezionato le false molotov genovesi, che hanno inventato la sassaiola alla Diaz, che hanno lacerato con una autocoltellata un giubbotto proprietà dello stato. Carlo Giuliani non era esattamente un lavoratore pien di fatica e di sudor grondante, ma di disprezzo ci è comunque morto ammazzato. E continuano a ucciderlo.

Il coordinatore beneventano di Forza Italia, onorevole (?) Martusciello, regala un ventilatore a chi si iscrive a Forza Italia; ai mondiali ci hanno eliminato arbitri da terzo mondo (evviva il terzo mondo, dunque!); il brigadiere Cossiga ha revocato, com'era prevedibile, le irrevocabili dimissioni da senatore a vita; Sgarbi ("eroe disperato della cultura dell'idiozia", come ebbe a definirlo Giorgio Bocca), cacciato a calcinculo dal governo minaccia di fondare un nuovo partito e, se adeguatamente pagato, di farsi cooptare dalla "sinistra"; alcuni giornalisti invisi al mago delle televendite scompaiono dai palinsesti Rai; Fido e Bobi non hanno ancora smesso di leccare la scodella del pastone dell'art. 18. Come se non bastasse, il frataccione di San Giovanni Rotondo manca l'auspicato miracolo di ibernare, una volta per tutte, Raffaella Carrà.

Su cose importantissime, su cose importanti, su cose più futili, un insopportabile disprezzo, per la nostra intelligenza, per il nostro lavoro, per i nostri bisogni, ci viene continuamente scaraventato addosso. Il disprezzo del potere, il disprezzo dei potenti, il disprezzo del borghese. E la struggente poesia dell'anonimo carcerato anarchico diventa la metafora di una condizione che oggi, come sempre, non intendiamo tollerare.

Tanto abbiamo fatto, ma tanto ancora c'è da fare. E non dobbiamo fermarci.

Massimo Ortalli



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