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Da "Umanità Nova" n. 24 del 30 giugno 2002
Articolo 18. Cisl e Uil pronte alla firma
Il toro, il drappo e il colpo di spada
Le polemiche sono state esasperate dal sospetto che la priorità del Governo fosse soprattutto quella di dividere, e comunque di indebolire, il sindacato. Su questo aspetto vorrei solo ricordare che se vi è una pluralità di sindacati, il minimo che ci dobbiamo aspettare è che siano tra di loro in concorrenza.
Giacomo Vaciago "Nel segno del mercato", in "Il Sole 24 Ore" del 21 giugno 2002
La calda estate del 2002 sembra caratterizzarsi per la chiusura della prima puntata della vicenda dell'articolo 18.
A meno di sorprese dell'ultimo minuto, il 2 luglio, CISL e UIL firmeranno un accordo che prevede una riduzione, contenuta rispetto alle premesse, dei diritti dei lavoratori e che, comunque, va nella direzione della politica padronale e governativa.
Lasciamo parlare, come è opportuno in questi casi, la voce del padrone:
"La mediazione offerta alle parti è di ritirare due delle tre fattispecie di deroga alla legge sui licenziamenti mantenendone in piedi solo una. Sopravvive, infatti, quella che prevede la deroga dell'articolo 18 per le imprese che assumendo superino la soglia dei 15 addetti. In pratica, i neo assunti non vengono calcolati nel numero dei dipendenti totali e a loro si applicherà la legge 108 (cioè risarcimento fino a sei mesi, in caso di licenziamento senza giusta causa, invece del reintegro)."
Lina Palmerini in "Il Sole 24 Ore" del 21 giugno 2002
Che si trattasse di un esito previsto lo dimostra una "Lettera aperta agli iscritti UIL" del 4 giugno 2002 di Luigi Angeletti, segretario della UIL. Può valere la pena di riportare qualche stralcio di un testo che oscilla fra il patetico e lo spassoso.
"Abbiamo sostenuto molti mesi di lotte e manifestazioni fino allo sciopero generale del 16 aprile che ha avuto un grande successo, con un obiettivo chiaro: togliere dalla delega sul lavoro le modifiche all'articolo 18, ottenere 'lo stralcio'."
Il buon Luigi sembra dimenticare che la UIL, con il famoso patto della lavanderia, si era già acconciata ad evitare i "molti mesi di lotte e manifestazioni" delle quali mena vanto. Ma tant'è, la UIL, lo dice Angeletti, ha piegato il governo. Infatti, prosegue affermando che:
"Sono state queste iniziative di lotta, sono state le vostre ore di sciopero e quelle di tanti altri vostri colleghi, amici e compagni a costringere il Governo a questa decisione. Lo sciopero e la mobilitazione unitaria, dunque, hanno prodotto il risultato per cui erano stati programmati e realizzati."
Insomma, l'obiettivo della lotta, secondo Angeletti, non era quello di estendere i diritti ma quello di cederne con classe e con il governo piegato dal vigore delle divisioni uilline. D'altro canto Angeletti è uomo di mondo e ricorda ai suoi che:
"Tuttavia il Parlamento è sovrano e può sempre intervenire su tali temi tra un mese, tra sei mesi o un anno. Il risultato che abbiamo ottenuto rischierebbe così di vanificarsi. Ecco perché abbiamo bisogno di un accordo che, accogliendo le indicazioni dei lavoratori e del Sindacato, ci metta al riparo da questa eventualità. Ecco perché la trattativa è necessaria."
E, infatti, l'accordo è arrivato. Per impedire al parlamento, sovrano beninteso, di intervenire gli si è tolto l'onere di farlo cedendo in anticipo. Un buon esempio di cortesia reciproca.
Ma Angeletti non si ferma a questo punto, ci ricorda infatti che non dobbiamo essere corporativi e che:
"Oggi le tutele previste dall'articolo 18 si applicano solo ai lavoratori dipendenti da aziende private con più di 15 addetti. Per tutti questi lavoratori noi vogliamo che siano confermati e garantiti gli attuali diritti mentre, per quelli che non ne hanno, dobbiamo conquistare nuove tutele. Garantire e confermare le tutele per chi oggi le ha; conquistarne di nuove per chi ne è privo. Questo è l'obiettivo di tutta la UIL. Ecco perché è colpevole pensare che il Sindacato abbia il compito solo di protestare."
Come si vede, i diritti dei lavoratori "tipici" sono stati "garantiti e confermati" mediante una secca riduzione. Vedremo poi cosa è stato concesso a chi non godeva dei diritti. Angeletti è anche profeta, facile profeta per la verità e afferma:
"Nei prossimi giorni cercheranno di attaccarci. Come sempre nella nostra storia, però, non ci faremo condizionare da coloro che vorrebbero usare il Sindacato non per difendere i lavoratori ma per piegarli ad un disegno politico. Anche in questo importante momento la UIL ha un solo riferimento: rappresentare e difendere gli interessi e i valori dei suoi iscritti."
La UIL, insomma, non fa politica mentre la CGIL si. Come è noto, noi siamo d'accordo con questo eroe del sindacalismo su di un punto e cioè sul fatto che la CGIL fa politica. A rigore troveremmo strano che un sindacato non faccia politica, il punto è capire di quale politica si tratta. La CGIL, con ogni evidenza non ha un rapporto amoroso con il governo per ragioni derivanti dalla sua collocazione ma pensare che la UIL (e il fratellone maggiore CISL) non facciano politica ci fa sorridere.
Quello che è lievemente disgustoso è il tentativo da parte di dirigenti sindacali di cavalcare il qualunquismo di settori di lavoratori pretendendo che le scelte sindacali possano essere politicamente "neutre". Comunque, visto che non abbiamo mai concesso la nostra fiducia a nessuno dei sindacati di stato e che la lettera è indirizzata agli iscritti UIL, non ci sentiamo traditi. Abbiamo solo voluto fornire un'interessante informazione sui caratteri della campagna che i sindacati filogovernativi stanno mettendo in opera e abbiamo scelto la UIL per amore di equità visto che il ben più importante Pezzotta ha più spazio sui media.
Vediamo ora, cosa hanno portato a casa Angeletti e Pezzotta in cambio della sforbiciata ai nostri diritti che hanno concesso:
"Sul piatto il Governo ha messo 700 milioni di euro per ogni anno (senza specificare per quanti) per finanziare i nuovi ammortizzatori sociali. La riforma, illustrata ieri, prevede un rafforzamento dell'indennità di disoccupazione... collegato però all'obbligo per il lavoratore di seguire corsi di formazione. È questo l'abbinamento che consentirà al nostro sistema sociale di coniugare sussidi con politiche attive: il welfare to work che l'UE ci raccomanda di applicare ormai da molti anni. L'obiettivo è quello di sostenere il reddito del disoccupato offrendogli però una possibilità concreta di riqualificazione. È prevista anche una sanzione: chi rifiuta un corso di formazione o un'occupazione alternativa oppure abbia un'attività irregolare, perde l'assegno di indennità.
La novità è che viene previsto anche un secondo pilastro accanto a quello pubblico dell'indennità di disoccupazione. Con questa "seconda gamba" i settori che oggi sono sprovvisti di cassa integrazione potranno esserne coperti secondo un meccanismo mutualistico, cioè attraverso un autofinanziamento derivante in parte dai lavoratori, in parte dalle imprese. Il Governo s'impegna a definire forme di incentivazione per i contributi delle aziende e prevede che i fondi del secondo pilastro vengano gestiti dagli enti bilaterali (formati cioè da rappresentanti di imprese e sindacati)." Lina Palmerini in "Il Sole 24 Ore" del 21 giugno 2002
Vanno, insomma, presi in considerazione due aspetti dell'accordo:
- il governo mette un po' di soldini per le indennità di disoccupazione che andranno, sarà interessante vedere come, a calmierare le tensioni sociali derivanti dalla precarizzazione crescente di settori importanti di lavoratori,
- la gestione da parte dei sindacati di parti significative del "welfare" non solo non viene ridotta ma si accresce significativamente. Che questa donazione si chiami "secondo pilastro" o "seconda gamba" ci interessa poco, quello che conta per l'apparato sindacale è che la codeterminazione continui a funzionare anche se si chiamerà "dialogo sociale".
A questo punto è lecita una domanda.
Fatto salvo che è chiaro che l'accordo è, per l'apparato sindacale, un buon accordo e fatto salvo che la CGIL, che, non dimentichiamolo, sta trattando su tre dei quattro tavoli aperti, avrà qualche problema a sottrarsi ad un così "interessante" dialogo sociale, sembrerebbe che il governo abbia ben pagato, in termini di sussidi, lo sforbiciamento dei diritti dei lavoratori. Questa considerazione sembrerebbe ancora più fondata se si tiene conto del fatto che i recenti accordi europei consentono al governo qualche sfondamento sul versante del debito pubblico.
Si potrebbe, se guardassimo solo all'accordo, pensare che il governo ha portato a casa una vittoria simbolica, una sorta di sconfinamento nella "zona rossa" e che, in termini di distribuzione del reddito fra le classi , ha perso.
Se, invece, ci ricordiamo che sono in discussione in parlamento norme che riguardano:
Trasferimento di ramo d'azienda, liberalizzazione del collocamento, staff leasing. (viene cancellata completamente la legge 1369 del '60 che vietava la somministrazione di manodopera), riordino dei contratti di formazione e apprendistato, part-time: nuove regole, nuove flessibilità: il contratto a chiamata, job sharing e lavoro accessorio, ammissibilità delle prestazioni ripartite tra due o più lavoratori, e che l'assieme di queste riforma disegna una radicale deregolamentazione del mercato del lavoro, ci appare chiara la logica dell'accordo sull'articolo 18: si tratta di garantire un minimo di reddito per far passare nella società una radicale distruzione dei diritti.
Giustamente alcuni compagni parlano di un modello Aznar, di una distruzione delle garanzie a livello di categoria e di impresa e di alcune, limitate, concessioni ai lavoratori atomizzati perché tollerino il degrado generale della nostra condizione.
Sarà quindi necessario tornare sulla legge delega sul mercato del lavoro, una legge che sta procedendo e che sarà operativa ad autunno anche per costruire in maniera puntuale la nostra iniziativa nella fase che si sta aprendo.
Cosimo Scarinzi
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