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Da "Umanità Nova" n. 25 del 7 luglio 2002

Ancora guerra alla droga
Obiettivo: riempire le carceri

Il 26 giugno la Cina marxista ha celebrato la "Giornata Mondiale Contro La Droga" mettendo a morte 82 "narcotrafficanti" (la maggior parte piccoli spacciatori arrestati con poche decine di grammi di sostanze proibite) e annunciando al mondo di aver rinchiuso solo nel 2001 nei suoi campi più di 106mila "tossicodipendenti", come il regime di Pechino definisce tutti i consumatori di sostanze proibite.

I fascisti italiani, sentendo questa notizia, devono essere schiantati d'invidia.

Gli eredi nostrani di Hitler e Mussolini non vogliono certo essere da meno degli eredi con gli occhi a mandorla di Lenin e Mao Tse Tung. Così, il viceduce Gianfranco Fini in persona ha dichiarato che presto il governo varerà una nuova normativa antidroga, mettendo fine alle "leggi permissive" attualmente in vigore, figlie della "sciagurata cultura libertaria" diffusa.

In Italia, in realtà, di "leggi permissive" non se ne sono mai viste (e naturalmente di "cultura libertaria" anche meno). Dopo il referendum del `93, chi viene sorpreso con una piccola quantità di sostanze proibite, non subisce più sanzioni penali, ma viene comunque sottoposto a pesanti limitazioni della libertà personale con ritiro della patente, del passaporto etc. e con l'obbligo di sottoporsi periodicamente a umilianti e costosissimi test delle urine (a differenza di quello che avviene in quasi tutti gli altri paesi UE dove il consumo è depenalizzato o sancito con multe). Finire in galera non è comunque troppo difficile (per la coltivazione di una semplice pianta di marijuana sono previste pene fino a sei anni), solo nel 2001 ci sono stati 28mila arresti per violazioni della legge sulla droga ed attualmente nelle carceri italiane sono detenute 21mila persone, mentre altre migliaia sono costrette al soggiorno in comunità terapeutica.

Questa barbarie ai fascisti evidentemente non basta e Fini ha dichiarato di voler reintrodurre "al più presto" (cioè nel 2003, quando "scadranno" gli effetti del "maledetto referendum") la "dose media giornaliera" per distinguere "senza ambiguità" i consumatori e gli spacciatori. La storia della dose media giornaliera è ovviamente una solenne cretinata, visto che i consumatori di droghe illegali - proprio come quelli di acqua minerale, di pomodori pelati e di carta igienica - quando vanno a fare la spesa, magari non prendono solo quello che gli serve al momento, ma si fanno una piccola scorta per qualche giorno o per qualche settimana.

Usare o meno droghe dovrebbe essere ragionevolmente considerato un po' come mangiare ravioli o couscous, di che colore tingersi i capelli o mettersi o non mettersi la maglia di lana, visto che gli effetti di queste scelte ricadono in tutti i casi solo su chi li fa. In materia di droghe, però, ogni ragionevolezza è proibita ed è sostituita dalla propaganda più bugiarda.

Recentemente, il governo dello stato-canaglia più sanguinario del pianeta - gli Stati Uniti d'America - ha speso otto milioni di dollari per diffondere uno spot televisivo che dice che fumando marijuana si pagano gli assassini in Colombia e i terroristi che fanno saltare in aria gli edifici, riferendosi ad Al Qaeda e ai talebani. Peccato che purtroppo da anni l'Afganistan non sia più un produttore del suo ottimo hashish nero. Le coltivazioni di canapa sono state sostituite - ai tempi dell'invasione sovietica - da quelle ben più redditizie di papavero da oppio, dietro amichevole consiglio degli agenti della CIA presenti nel paese (queste avvenivano, peraltro, quando le famiglie Bush e Bin Laden erano grandi socie in affari e nel consiglio d'amministrazione dell'Arbusto Oil sedevano insieme il piccolo George Jr. e il piccolo Osama). A rendere più meschina la figura del governo USA, c'ha comunque pensato la DEA - l'agenzia federale antidroga - che negli stessi giorni in cui veniva trasmesso lo spot ha pubblicato un rapporto che stimava che circa l'80% della marijuana consumata negli USA veniva prodotta negli stessi USA, trasformando così il messaggio proibizionista in una sorta di autoaccusa.

La guerra alla droga è l'ultima crociata e non c'è da stupirsi che il governo italiano - in controtendenza rispetto ai suoi alleati europei, la Spagna di Aznar e la Gran Bretagna di Tony Blair, dirette entrambe verso la depenalizzazione - si accodi al carro americano. I fascisti sono sempre stati ossessionati dalle droghe e dalle manie igieniste. Hitler non fumava, non beveva alcolici, non mangiava carne, non prendeva neanche tè e caffè e non permetteva a nessuno di fare queste cose in sua presenza. L'Italia di Mussolini, invece, era stato il primo paese al mondo a seguire l'esempio statunitense e a mettere fuori la cannabis nel 1937.

Al di là di questioni ereditarie, la scelta proibizionista della Banda Berlusconi ha certo motivazioni più concrete. Intanto, il proibizionismo fa muovere un sacco di soldi: le droghe illegali sono il settore economico più grande per fatturato a livello mondiale dopo il petrolio, ma il loro valore è dovuto solo al fatto di essere proibite (Berlusconi di queste cose se ne intende, visto che negli anni `80 e `90 è stato al centro di numerose inchieste per narcoriciclaggio). Poi, il principale risultato della guerra alla droga americana è stato di quintuplicare la popolazione carceraria (arrivata negli USA alla cifra di oltre due milioni di persone) e di accrescere enormemente il potere della polizia.

I fascisti italiani - al governo, ma privi di consenso sociale - sanno bene che dalla loro parte c'è comunque quell'enorme esercito che sono le forze di polizia (500mila uomini ben pagati che a Genova hanno ben dimostrato la propria ferocia). E pensano forse che riempiendo le carceri la penisola diventerà come gli USA, dove quei due milioni di detenuti sono la vera garanzia della pace sociale.

robertino



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