Da "Umanità Nova" n. 26 del 21 luglio 2002
Un anno di lotte sociali
20 luglio: dallo sciopero contro il G8 ad oggi
Da Genova luglio 2001 a Genova luglio 2002: un anno vissuto pericolosamente
Lo sciopero generale e la manifestazione contro il G8 del 20 luglio 2001,
indetti dalla CUB, dallo SLAI Cobas e dall'USI, sono il classico esempio di un
avvenimento svoltosi al di fuori del cono di luce dei media e non per questo,
ed anzi, per certi versi, proprio per questo rilevanti ai fini della
comprensione dello sviluppo del movimento dei lavoratori.
La scelta di scioperare e non solo di manifestare era, infatti, tutt'altro che
scontata. Fra le forze politiche era stata sostenuta solo dal movimento
anarchico e da pochi altri, sul piano sindacale era giunto un veto secco da
quella sinistra CGIL che tanto scalda i cuori dei sinistrignaccoli nostrani.
Eppure lo sciopero e la manifestazione sono riusciti ed hanno dimostrato che il
sindacalismo indipendente, con tutti i suoi inevitabili limiti, era allora ed
è stato prima e poi un soggetto sociale capace di misurarsi
contemporaneamente con il conflitto sociale quotidiano e con battaglie
politiche generali assolutamente centrali.
L'iniziativa di Genova poneva al centro dell'iniziativa sociale
l'individuazione dell'intreccio fra politiche mondiali del capitale e scenario
nazionale dello scontro di classe.
Prima
La prevedibile vittoria della destra aveva, nella primavera del 2001, messo in
moto il mondo sindacale.
Il contratto dei metalmeccanici aveva visto la prima rottura fra CISL e UIL, da
una parte, e CGIL dall'altra con la scelta delle prime di firmare l'ennesimo
contratto a perdere e l'irrigidirsi della seconda su di una posizione "dura"
anche se, per certi versi, singolare. La FIOM, infatti, aveva chiamato i
lavoratori a mobilitarsi per una cifra irrisoria e aveva mantenuta ferma la
richiesta di una corretta applicazione della concertazione che padronato e
sindacati concorrenti reinterpretavano all'ulteriore ribasso. Comunque la
"vivacità" della CGIL anticipava lo scenario che avremmo vissuto dopo
l'estate.
Nel periodo immediatamente seguente le elezioni la sinistra parlamentare e
sindacale sembrava un pugile suonato incapace d'iniziativa e dilacerata al suo
interno.
Anni di governo sembravano aver dato la mazzata finale alla sinistra statalista
e accelerato l'atomizzazione della sua base sociale.
Durante
Non è questa la sede per riprendere una riflessione approfondita sulle
ragioni contingenti della bestiale violenza della polizia a Genova.
Certo hanno pesato pressioni internazionali da parte di chi non tollerava
più che ogni vertice delle grandi potenze fosse l'occasione di
mobilitazioni di opposizione e l'arrivo al governo di una destra fascista e
leghista disposta porsi come sponda politica dei corpi di polizia.
Il fatto è che la mattanza c'è stata, che è stata
ampiamente documentata, che ha colpito seccamente l'opinione pubblica. Se una
considerazione positiva si può fare è quella che, nella
società della comunicazione, diventa difficile far sparire foto,
filmati, comunicazioni in internet.
È interessante notare che, nel corso dell'estate la grande stampa
liberale ha attaccato il governo con una durezza inusitata. Con ogni evidenza,
la classe media colta e semicolta non è attratta dall'ipotesi
dell'introduzione di modalità turche di governo del conflitto sociale.
Sono, inoltre, apparsi i primi sintomi dei cattivi rapporti fra borghesia
liberale e la cleptocrazia berlusconiana imperante con il suo codazzo di
populisti addomesticati e dimentichi della polemica anticleptocratica, per un
verso, e più carogne di prima sulle questioni dell'ordine pubblico, per
l'altro.
Dopo
L'11 settembre la vicenda delle due torri è giunta a ricordare a
tutti la natura profonda del dominio, il fatto che la politica non è che
la guerra condotta con altri mezzi.
La sinistra, naturalmente, ha provveduto a garantire al governo il suo sostegno
nella guerra dell'Afganistan e, sorpresa!, siamo stato informati per l'ennesima
volta del fatto che tutte le forze politiche e sociali devono unirsi nella
difesa degli interessi nazionali.
Nonostante i venti di guerra lo scontro sociale e sindacale ha ripreso vigore.
I due piani della lotta politica, la guerra interna e la guerra esterna, si
sono sviluppati in relativa autonomia il che è stato, per un verso,, una
condizione favorevole allo sviluppo delle lotte e, per l'altro, un segnale
politico sul quale sarebbe opportuno riflettere.
La mobilitazione contro la guerra, contro quella guerra che prosegue sia in
Afganistan che in altre aree, non riesce ad assumere dimensioni ed impatto
adeguati perché non colpisce con la forza necessaria l'ordinato
svolgersi della produzione e dei meccanismi di dominio.
D'altro canto, su questo terreno si è mantenuta viva una mobilitazione
che sarebbe sbagliato sottovalutare.
La rottura della concertazione
Abbiamo più volte fatto rilevare che l'elezione di Antonio D'Amato ai
vertici della Confindustria è stata, per molti versi, decisamente
più rilevante della vittoria elettorale della destra.
Si tratta, infatti, del primo caso di pubblica rottura dell'oligarchia che ha
retto il capitalismo nazionale per decenni e della traduzione sul piano
istituzionale di un doppio processo di mutazione degli equilibri del potere
sociale su scala nazionale:
- il ridimensionarsi della centralità della Fiat e la sua nuova
collocazione internazionale intrecciato con la fine del ruolo storico di Medio
Banca;<
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- la crescita del peso della media e piccola industria decisa a ridimensionare
il ruolo del vecchio blocco corporativo dominante (grande impresa industriale e
finanziaria - sistema dei partiti - apparato sindacale).
Il governo appena insediato aveva da occuparsi di tre problemi in ordine di
difficoltà crescente:
- sistemare gli affari del presidente dei consiglio e dei suoi soci di volo, e
lo ha fatto egregiamente:
- pagare le cambiali firmate a santa romana chiesa, e lo ha fatto senza troppe
difficoltà visto che i dirigenti della sinistra sembrano spesso e
volentieri delle guardie svizzere;
- garantire alla confindustria una modificazione del sistema delle relazioni
industriali che definisse in maniera chiara il pieno dispotismo padronale nelle
aziende.
Questo terzo obiettivo implicava una rideterminazione dei tradizionali rapporti
fra governo e sindacati di stato, la fine della concertazione, almeno come sino
ad oggi è stata intesa, e la sua sostituzione con il cosiddetto "dialogo
sociale".
Il nuovo scenario ha visto un rapido deteriorarsi dei rapporti fra CISL e UIL,
da una parte, e CGIL dall'altra. Si è trattato di un processo
contraddittorio e con accelerazioni e ricuciture ma la logica di fondo è
abbastanza chiara:
- CISL e Uil danno per scontato che il governo reggerà visto che ha una
solida base parlamentare e sociale e si attrezzano per conviverci garantendosi
il massimo possibile di quote di potere e di gestione di risorse pubbliche;
- la CGIL non è disposta ad accettare un ruolo di partner subalterno del
governo di centro destra e cerca di garantirsi lo spazio che aveva
tradizionalmente occupato. Può contare, a differenza dei concorrenti, su
di un tessuto militante non troppo sfilacciato, su di un'immagine prestigiosa
anche se un po' appannata, su di un reale insediamento sociale e
sull'identificazione nelle sue sorti di gran parte del popolo di sinistra.
L'istituzionale ed il sociale
Ritengo sarebbe un errore sia il leggere le mobilitazioni di autunno e di
primavera come il prodotto puro e semplice della discesa in campo della CGIL
che come l'effetto di una mobilitazione dal basso che avrebbe costretto la CGIL
a radicalizzarsi.
La prima lettura peccherebbe di politicismo. Nessuna persona seria può
affermare in buona fede che la volontà del segretario generale della
CGIL può determinare una crescita superiore al 1700% delle ore di
sciopero che si è data questa primavera rispetto alla prima metà
dell'anno scorso.
Gli scioperi sono stati massicci e partecipati perché raccoglievano uno
scontento reale accumulatosi negli anni passati e centrato sui diritti, il
salario, le condizioni di lavoro.
La seconda lettura sarebbe, d'altro canto, ingenua. La mobilitazione dal basso,
infatti, vi è stata. Si sono determinati interessanti intrecci fra
iniziative di lotta dei lavoratori, mobilitazioni delle classi medie, movimento
contro la guerra. Non si può, però, sottovalutare la
capacità delle CGIL di tenere sotto controllo la situazione, di
utilizzare gli stessi settori più radicali come rompighiaccio.
Basta, a questo proposito, pensare al carattere doppio dello sciopero del 15
febbraio, ritirato da CGIL-CISL-UIL e mantenuto con buoni risultati dai
sindacati alternativi.
Quando CGIL-CISL-UIL hanno chiuso la vertenza del pubblico impiego e della
scuola con un accordo concertativo, i sindacati di base sono riusciti a tenere
l'iniziativa ed a dare vita ad una manifestazione imponente a Roma dimostrando
che il controllo dei sindacati di stato regge solo sino ad un certo punto.
Nello stesso tempo, la buona riuscita dello sciopero ha dato una conferma alla
CGIL sull'esistenza di un'area sindacale e sociale forte e combattiva e sulla
possibilità di dar vita a iniziative senza e contro CISL e UIL.
Mi sembra ragionevole, insomma, porre l'accento sul fatto che la rottura del
blocco del sindacato di stato ha dato spazio all'iniziativa di settori
combattivi di lavoratori ma ha anche fornito alla CGIL la credibilità
per tenere sotto controllo la propria base.
In guisa di conclusione
Il Patto per l'Italia ed il DPEF sono l'esito "formale" dello scontro.
Il governo punta su di un rapporto privilegiato con CISL e UIL e sullo scambio
fra ridimensionamento, sia pur limitato, dell'articolo 18 e altrettanto
limitate concessioni per quel che riguarda fisco e sussidi di disoccupazione.
Altrove abbiamo parlato, a questo proposito, di modello spagnolo e sarà
il caso di tornare su questo argomento.
La CGIL si trova in una situazione delicata sia perché i suoi rapporti
con la sinistra parlamentare sono, diciamo così, complicati che
perché le sue contraddizioni iniziano ad emergere. Basta pensare agli
accordi a perdere che continua serenamente a firmare.
In questi mesi, d'altra parte, il sindacalismo alternativo ha dimostrato di
tenere bene sul piano dell'iniziativa e dell'identità.
Ad autunno, insomma, si apre una partita interessante.
Cosimo Scarinzi
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