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Da "Umanità Nova" n. 26 del 21 luglio 2002
Teatri di guerra globale
Sabotare e disertare pubblicamente il dominio
L'anno di distanza che ci separa dall'assassinio di Carlo
Giuliani non è stato un anno qualsiasi.
L'attentato alle Twin Towers e al Pentagono l'11 settembre 2001 segna
emblematicamente la cifra inaugurale del XXI secolo: la guerra permanente come
forma di saturazione della politica.
La pressione assiomatizzante della globalizzazione politica ed economica, volta
a omogeneizzare l'intero pianeta sotto un unico paradigma, lasciando residue
solo piccole porzioni minimali della terra, e quindi integrando Russia e Cina
innanzitutto, aveva bisogno evidentemente di un bagno sacrificale di migliaia
di morti per sconvolgere un ordine mondiale la cui eredità nel frattempo
era passata da Bush padre a Bush figlio, come nelle migliori tradizioni
monarchiche (stile mediorientale, le tanto disprezzate Siria e Arabia saudita,
per esempio).
Prima che economica, la globalizzazione è politica, ma di una politica
innovativa, se così si può dire, perché sterminatrice di
ogni altro senso della politica che pure è convissuto per secoli tra le
sue pieghe. Tra dominio assoluto e arte del governo, la politica classica, pur
proseguendo la guerra con altri mezzi (come Foucault rovesciava la celebre
formula di von Clausewitz), si articolava in sfere disgiunte la cui autonomia
era funzionale all'intero sistema: l'economia, la società, la religione,
l'espressione estetica in senso lato, ecc.
Le differenziazioni materiali che tali sfere rappresentavano offrivano spazio
all'emergenza di sensi plurali con i quali orientare il capitale acquisito dopo
i Lumi di conoscenze e saperi indirizzandolo verso altri orizzonti, di
liberazione e libertà piuttosto che di dominio e sfruttamento. Il
conflitto lacerava le società proiettando una dimensione altra che la
religione e l'escatologia interpretavano in senso trascendentale, mentre la
politica e la concezione rivoluzionaria, magari mimando e mirando a effetti di
sostituzione, interpretavano tuttavia in senso immanente, ossia senza porre
autorità esterne dall'alto nel processo che avrebbe dovuto condurre
l'umanità da una dimensione interiore al sistema di dominio al regno
della libertà ad esso esteriore, ma sempre su questa terra, non
nell'aldilà teologico.
Il conflitto sociale, pur frammischiandosi con la guerra, facendosi contagiare
dal suo virus linguistico, e talvolta abdicando ad essa, era pur tuttavia cosa
diversa dalla guerra interstatale, anzi si poneva per principio come conflitto
risolutore delle guerre per il dominio. Tanto è vero che la guerra ha
spesso surdeterminato la conflittualità sociale per imbrigliarla nelle
sue logiche competitive tese al successo, alla conquista, all'annientamento del
nemico, in ragione puntuale delle tecnologie a disposizione. Ed oggi quelle di
sterminio sono precise e individualizzabili.
La politica della guerra globale permanente fa piazza pulita di ogni ipotesi di
spazio esteriore su cui proiettare le utopie di liberazione. Il mondo deve
diventare un unico luogo politico, un unico mercato per i grossi competitori,
un unico calderone culturale in cui estirpare alla radice la rappresentazione
antropologica della libertà (individuale e collettiva) se non come mero
simulacro giuridico da tutelare da vicino attraverso una messe di codici,
arbitraggi privati, tribunali internazionali e interventi umanitari
(estremamente selettivi, peraltro).
La tecnica di dominio si riconcilia con la tecnica dello sterminio per
ricattare quotidianamente popolazioni intere non ancora sottomesse del tutto ai
dogmi del mercato unico e non ancora disposte ad assumere il ruolo che nella
piramide globale la gerarchia assegna loro, funzionalizzando la disperazione in
tal senso nichilista (ossia senza orizzonte di speranza di liberazione) grazie
ai benefici della fede religiosa (i fondamentalismi di ogni tendenza).
Pochi sono gli eletti nella piramide, e soprattutto pochi sono gli eleggibili,
quindi la politica della democrazia come "moneta pubblica" per tutto il pianeta
non funziona più. Comandare senza rappresentatività elettiva
è divenuto la "moneta corrente", laddove la moltiplicazione di forme
apparenti di democrazia, specie se dettata come condizione di apertura al
sistema globale (vale per i paesi del terzo mondo, anche per accedere alle
elemosine o ai prestiti del FMI e della World Bank), serve solo come palestra
di obbedienza e di disinformazione rispetto alle poste in palio ed agli attori
reali del potere globale. Così ritorna con prepotenza e arroganza lo
stile elitario della politica, indicativamente rappresentato dai vertici
blindati, accerchiati e isolati del G8. Il riformismo (sia pure presunto
radicale di alcune frange no-global) viene sempre più sospinto ai
margini della vita politica, che si rinchiude nel Law & Order della
sicurezza dei pochi a fronte della pericolosità sociale di un globo
ridotto a teatro di guerra. Si chiude l'epoca dei Lumi con la rivincita della
repressione sulla partecipazione, dell'oppressione sulla liberazione,
dell'ignoranza sulla cultura (riforme di scuole e università), del circo
mediatico sull'informazione (la censura infinita della guerra d'Afganistan e
del conflitto palestinese).
La diserzione e il sabotaggio sono le uniche armi da ritorcere nei momenti di
chiamata imperiosa alle armi ("o con noi o contro di noi", ha detto Bush
all'indomani dell'11 settembre), non per schierarsi, come al solito, ma per
sottrarsi da una destinazione mortale a cui sembra condannato questo nostro
mondo (e basti considerare i rischi ambientali dettati da una leadership
occidentale minoritaria che consuma il resto delle risorse del pianeta).
Indubbiamente non sarà facile esimersi dalla tentazione illusoria di
pensare in termini individuali gesti di disobbedienza che vanno organizzati per
strati sempre più diffusi delle popolazioni, anche se in Occidente le
difficoltà sono di tipo diverso, date le griglie di complicità
anche involontaria con i benefici del sistema globale di dominio. Tuttavia
l'organizzazione tra i "sud" del mondo (dall'Italia all'Argentina inclusi) va
assunto come orizzonte ormai ineludibile per un sabotaggio e una diserzione
pubblica che voglia con ciò facendo praticare uno stile differente di
esistenza associata al mondo, costitutivamente orizzontale e plurale nelle sue
espressioni di assenza di potere.
Salvo Vaccaro
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