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Da "Umanità Nova" n. 26 del 21 luglio 2002

I no-global e l'11 settembre
Genova, New York, Kabul

L'attacco dell'11 settembre è stato utilizzato come un'arma da guerra anche contro il cosiddetto movimento no-global, e in particolare contro le sue componenti più radicali, ponendolo di fronte al ricatto del "capitalismo o barbarie" e alimentando un paralizzante senso di colpa collettivo.

Questa è la prima constatazione che sorge spontanea se si guardano gli avvenimenti seguiti a tale data, in quanto il dominio economico mondiale, attraverso le sue espressioni politiche e i suoi media, ha avuto gioco facile sia nell'azzerare le proprie responsabilità storiche nei confronti delle condizioni di vita e di morte imposte a tre quarti dell'umanità, sia nel mettere con le spalle al muro del terrorismo le opposizioni che si erano andate coagulando attorno alla critica sociale nei confronti della globalizzazione.

Negli Usa, sull'onda del trauma collettivo e dell'emozione causata dal primo bombardamento su una città statunitense, il governo Bush ha avuto facile gioco nell'invocare l'unità nazionale di tutti gli americani, oltre le divisioni politiche, etniche e di classe, contro i nemici della libertà e della democrazia. Analogamente, in Italia il governo Berlusconi alla ricerca di un proprio ruolo internazionale e di una propria credibilità all'ombra di un rapporto privilegiato con gli Usa, non ha esitato a criminalizzare tutta l'opposizione mobilitatasi contro il G8 mettendola sullo stesso piano del terrorismo filoislamico soprattutto quando il governo italiano decideva di prendere parte all'operazione militare occidentale contro l'Afganistan, cercando di conquistare un posto tra i vincitori all'interno della guerra permanente necessaria all'imperialismo.

Gran parte del movimento no-global, già strettamente legato e persino subalterno dell'informazione mediata, non soltanto non è riuscito a sottrarsi all'ipnosi indotta dallo spettacolo di morte e distruzione messo in scena a New York, ma ha finito anche per subire anche tale ricatto politico, accettando in occasione del forum di Porto Alegre di dichiararsi contro il terrorismo, come il potere dominante chiedeva, per avere ancora "diritto di cittadinanza".

Certa sinistra liberal è andata persino oltre, non solo manifestando una comprensibile solidarietà nei confronti delle vittime civili, ma persino nei confronti del governo statunitense che se non stato il mandante occulto di tale strage di Stato, certo ne è sicuramente corresponsabile per la sua politica guerrafondaia.

Eppure come ha osservato J. Baudrillard, "la condanna morale, l'unione sacra contro il terrorismo, sono commisurate al giubilo prodigioso che nasce dal veder distruggere la superpotenza mondiale, meglio ancora, dal vederla autodistruggersi, suicidarsi in bellezza. Perché è lei, con la sua potenza insopportabile, ad aver fomentato questa violenza infusa in tutte le parti del mondo e quindi anche quell'immaginazione terroristica (senza saperlo) che ci abita tutti" e "senza questa complicità profonda, l'evento non avrebbe la risonanza che ha avuto".

Il movimento no-global non ha invece saputo e voluto ritorcere contro i padroni del mondo il ricatto morale di cui è stato vittima, finendo per equiparare l'attacco-suicida alle Twin Towers ai devastanti bombardamenti democratici sulle inermi popolazioni afgane, ma anche mettendo sullo stesso piano lo scalcinato, seppur inumano, regime dei Talebani alla più grande potenza economico-militare del pianeta, avvalorando la falsa contrapposizione burqa-mc donalds e in taluni casi giungendo ad optare per la società del mc donalds come il male minore.

Imboccato tale tunnel, è stato inevitabile che l'opposizione alla guerra globale iniziata con l'aggressione all'Afganistan non sia stata in grado di mobilitare lo stesso numero di persone e associazioni scese in piazza contro la globalizzazione; in taluni casi esponenti di tale movimento sono giunti paradossalmente a criticare il carattere indiscriminato e poco efficace dei bombardamenti Usa contro l'Afganistan, ma non la "guerra contro il terrorismo" che semmai avrebbe dovuto essere decisa dall'ONU; mentre alcuni intellettuali "progressisti" sono giunti persino a teorizzare che, in nome della civiltà occidentale, i "borghesi" per combattere i "barbari" devono diventare un po' barbari anche loro.

Così, in un certo senso, la propaganda bellicista e interventista ha fatto parzialmente proprie alcune parole d'ordine dei suoi oppositori no-global, affermando che i marine e i top gun stavano combattendo per liberare le donne afgane dall'oppressione islamica e portare i diritti democratici, primi tra tutti quello di vedere la televisione ed avere una polizia moderna, ad un popolo oppresso.

Emblematica in tal senso, rimane un foto pubblicata su alcuni giornali in cui si vedevano dei carabinieri italiani a Kabul che, pochi mesi dopo Genova, insegnavano l'uso di manganelli e scudi in plexiglas ai nuovi reparti antisommossa afgani, ovviamente di fede islamica.

Questa è la realtà che vi piace chiamare globalizzazione, conviveteci se vi riesce.

Sandra K



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