Da "Umanità Nova" n. 26 del 21 luglio 2002
È morto Valpreda, l'anarchico accusato di strage
Storia di Pietro, storia di un'epoca mai finita
Un tumore ha stroncato l'anarchico ingiustamente accusato della strage di
piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Ecco la sua storia.
Che è anche storia di grandi trame per bloccare la svolta a sinistra
dell'Italia degli anni Sessanta. Storia di intrighi e di spie. Di neonazisti
bombaroli e dei loro protettori ai vertici dello stato e del governo di allora.
Una vicenda ancora aperta. Dopo 33 anni.
Sono proprio tanti. Stretti l'uno all'altro in un piccolo cortile, un atrio,
due grandi sale, fino a occupare il marciapiede di fronte alla sede del Circolo
anarchico Ponte della Ghisolfa e della Fai milanese.
È lunedì 8 luglio, duemila persone sono accalcate al numero 255
di viale Monza a Milano per dare l'ultimo saluto a Pietro Valpreda, stroncato
da un tumore all'alba del giorno prima. Così se n'è andato "il
ballerino anarchico" accusato di essere l'autore della strage alla Banca
nazionale dell'agricoltura, in piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969. Un
evento che ha segnato e scritto la storia italiana. Una strage che aveva fatto
16 morti e più di ottanta feriti (oggi i morti vengono indicati in 17:
uno dei feriti è deceduto diversi anni dopo e la magistratura ha
stabilito che il decesso era derivato proprio da quelle ferite).
Valpreda è stato l'involontario protagonista di quell'incredibile
vicenda. Prima accusato, messo in galera, liberato nel dicembre 1972 e
definitivamente assolto l'1 agosto 1985. Sì, avete letto bene, 1985:
quasi 16 dopo. E con una formula "ipocrita": insufficienza di prove. Ecco chi
è morto nella calda notte tra il 6 e il 7 luglio. Un uomo divenuto, suo
malgrado, un simbolo vivente della "criminalità del potere". Aveva 69
anni; 36 quando venne coinvolto in una storia tanto più grande di lui.
Tanto più grande di qualsiasi persona normale. Si era messa in moto una
macchina per bloccare la svolta a sinistra del paese. Una macchina che ha visto
coinvolti uomini di governo, parlamentari, polizia e carabinieri, servizi
segreti italiani e americani. Tutti uniti per imporre una retromarcia
all'Italia che non doveva uscire dalla tutela degli Stati Uniti.
Una storia che sembra uscita da uno scrittore di thriller, ma che invece
è tutta vera. Eccola in estrema sintesi. È anche la storia di
Valpreda.
Il 1969 è un anno particolare. Costellato da una serie di attentati
piccoli o grandi: in tutto 140. I più importanti sono tre. Il 25 aprile
scoppiano due bombe a Milano: una all'ufficio cambi della Banca nazionale delle
comunicazioni alla stazione Centrale, l'altra al Padiglione Fiat della Fiera
campionaria. Nessun morto, ma più di una ventina di feriti. Poi l'8
agosto vengono presi di mira dieci treni. Su otto di questi, tra l'una e le tre
di notte, scoppiano altrettante bombe, mentre le ultime due fanno cilecca per
un difetto nel congegno di accensione. Ma i risultati sono inferiori alle
aspettative degli attentatori: in totale "solo" 12 feriti tra viaggiatori e
ferrovieri.
E, infine, 12 dicembre. Alle 16,37 una bomba esplode a Milano nell'atrio della
Banca dell'agricoltura. Risultato 14 morti (più due che moriranno in
ospedale poco dopo) e un'ottantina di feriti. Non è una bomba isolata.
Un'altra viene scoperta inesplosa alla Banca commerciale italiana in piazza
della Scala. E due a Roma. Tra le 16,40 e le 16,55 un forte scoppio nel
corridoio sotterraneo della Banca nazionale del lavoro, in via Veneto, ferisce
14 impiegati dell'istituto. Alle 17,20 altri due ordigni di minore potenza
esplodono al monumento del milite ignoto. Quattro feriti: un carabiniere e tre
passanti.
Si è giunti al punto più alto di quella che verrà poi
definita la "strategia della tensione". Per tutti questi attentati polizia,
carabinieri e servizi segreti cercheranno di incastrare degli anarchici. Per il
25 aprile vengono arrestati quattro giovani libertari: Angelo Piero della
Savia, Tito Pulsinelli, Paolo Braschi e Paolo Faccioli. Verranno assolti nel
maggio 1971.
Per gli attentati ai treni di agosto, la polizia milanese cerca di accusare
l'anarchico Giuseppe Pinelli. Non ci riescono, ma la storia personale di
Pinelli si concluderà tragicamente nella notte tra il 15 e il 16
dicembre di quell'anno: "volerà" dal quarto piano della questura di
Milano sfracellandosi nel cortile. Una morte che il magistrato Gerardo
D'Ambrosio (oggi capo della procura milanese) chiuderà definitivamente
il 27 ottobre 1975 prosciogliendo tutti gli indiziati: il commissario Luigi
Calabresi, i poliziotti Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Piero
Mucilli e il tenente dei carabinieri Savino Lograno. Cioè le persone che
stavano interrogando Pinelli al momento del famoso "volo". D'Ambrosio
stabilisce che Pinelli non si è suicidato, come inizialmente aveva
dichiarato il questore di Milano Marcello Guida, non è stato ucciso, ma
è morto in seguito a un malore che lo ha colpito mentre si affacciava
alla porta-finestra della stanza di Calabresi, durante una pausa degli
interrogatori. Un malore che invece di farlo accasciare al suolo gli fa
compiere un balzo oltre il davanzale. Quel malore, tanto incredibile, venne
soprannominato "malore attivo".
Ed è proprio quando muore Pinelli che Valpreda viene arrestato e
incolpato di essere l'autore della strage di piazza Fontana.
Valpreda in quei giorni era a Milano, dopo essersi trasferito a Roma.
Era tornato nella sua città natale perché convocato dal giudice
Antonio Amati per un problema di "propaganda sovversiva". Quando esce dal
colloquio con Amati, Valpreda viene prelevato da due poliziotti, trasferito
alla questura di Milano e poi a quella di Roma. C'è un "superteste" che
lo accusa: il tassista Cornelio Rolandi. Sostiene di averlo trasportato da
piazza Beccaria a piazza Fontana, davanti alla sede della banca. Di averlo
visto entrare con una borsa nera e di averlo ripreso dopo un minuto senza la
borsa e di averlo portato in via Albricci. In tutto, un percorso di poco
più di cento metri.
Insomma, Valpreda è un attentatore che vuole farsi notare. Ebbene a
partire da questa testimonianza si svilupperà un'indagine, condotta dai
magistrati Vittorio Occorsio ed Ernesto Cudillo, piena di clamorosi falsi ma
che "reggeranno" fino alle prime udienze del processo a Roma (febbraio 1972). O
meglio, i giudici romani capiscono che la patata è troppo bollente e che
l'architettura accusatoria non regge. Quindi si defilano e spediscono il
processo a Milano. Ma qui interviene il procuratore generale del capoluogo
lombardo che ritiene Milano una piazza troppo rovente per ospitare un simile
processo.
Risultato: tutto viene trasferito a Catanzaro. Dove verranno processati oltre
agli anarchici del gruppo romano: 22 marzo (quello di Valpreda) anche i
neonazisti Franco Freda e Giovanni Ventura, più gli agenti del Sid Guido
Giannettini e Stefano Serpieri (il primo infiltrato nel gruppo di Freda e
Ventura, il secondo nel gruppo di Valpreda). Sì, ci sono anche i
neonazisti scovati dal giudice di Treviso Giancarlo Stiz. Quel magistrato
scopre quello che Occorsio e Cudillo hanno voluto ignorare: a organizzare
quella strage e altri attentati precedenti ci sono militanti di Ordine nuovo,
la formazione di estrema destra fondata da Pino Rauti, oggi leader del nuovo Ms
Fiamma tricolore. Il tutto sotto la regia di Federico Umberto D'Amato, capo
dell'ufficio affari riservati del ministero dell'interno.
Dopo dieci anni dalla strage, arriva la prima sentenza. È il 23 febbraio
1979: tre ergastoli per strage a Freda, Ventura e Giannettini. Gli anarchici
vengono assolti per insufficienza di prove.
Il processo, comunque, come tutti possono capire, è ormai ulteriormente
inquinato. Sono stati messi sullo stesso banco di imputati sia anarchici sia
nazisti. La famosa teoria dei doppi estremismi. E, infatti, nel 1985 verranno
tutti assolti per insufficienza di prove. Il gioco è fatto. Anche se
Freda e Ventura vengono condannati a 15 anni per gli attentati del 25 aprile e
dell'8 agosto 1969. Per piazza Fontana nessun colpevole, ma Freda e Ventura
sono colpevoli degli atti che hanno preceduto la strage. E poi?
Nessun colpevole, per la giustizia di Stato.
Bisognerà aspettare fino al 30 giugno 2001 per veder ristabilita, ma
solo in parte, una verità processuale. Quel giorno vengono condannati
all'ergastolo tre neonazisti: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo
Rognoni. Freda e Ventura, pur riconosciuti colpevoli, non possono essere
condannati: sono già stati assolti in via definitiva nel 1985. Tra
qualche mese partirà il processo d'appello e sono possibili delle
novità. Probabilmente negative per la verità storica.
Non è un caso che esponenti della maggioranza di centrodestra stiano
cercando di riportare indietro le lancette dell'orologio della storia. La pista
anarchica, secondo due esponenti di Alleanza nazionale, Alfredo Mantica e
Vincenzo Fragalà, membri della disciolta Commissione stragi, è
stata tralasciata sotto le pressioni dell'allora Partito comunista. E lo hanno
sostenuto in una loro relazione presentata proprio in commissione stragi. Ma i
due non si sono fermati a questo. Hanno anche affermato che i neonazisti sono
stati incolpati da un giudice di sinistra (Guido Salvini, autore dell'inchiesta
che ha portato all'incriminazione di Zorzi e soci) e che tutta la storia
processuale su piazza Fontana è stata viziata da un accanimento,
ingiustificato, contro la destra. Segnali preoccupanti da un punto di vista
puramente giudiziario. Sul piano storiografico ormai le cose sono chiare. Non
fanno altro che riconfermare quello che gli anarchici gridarono subito dopo
quelle bombe: "Valpreda innocente, Pinelli assassinato, la strage è di
stato".
Luciano Lanza
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