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Da "Umanità Nova" n. 27 del 1 settembre 2002

La guerra annunciata
Verso l'invasione dell'Iraq?

Una domanda sta' assillando i bookmaker e gli scommettitori di mezzo mondo: ci sarà o non ci sarà l'invasione dell'Iraq? Ho scritto apposta invasione, perché di guerra non possiamo parlare in termini di novità, dal momento che è a partire dal 1990 che l'Iraq si trova in stato di guerra: prima con la guerra guerreggiata, poi con l'embargo e con i bombardamenti "mirati". Non è inutile rammentare le cifre di questa lenta strage: oltre un milione di morti tra le fasce più deboli della popolazione. E tra questi ovviamente non rientrano il fascista Saddam ed i suoi accoliti della Guardia Repubblicana. Fascista non virgolettato, perché di fatto, il regime di Saddam si inquadra storicamente e politicamente nella scia della tradizione nazional-socialista araba: il Ba'ath, il partito Socialista della Rinascita, partito unico che governa la repubblica irachena venne fondato nel secondo dopoguerra da nazionalisti arabi che combatterono nel l'Asse nazi-fascista (Italia-Germania-Giappone). Il programma politico di base del Ba'ath non differisce di molto dal programma di Verona del Partito Fascista Repubblicano.

Ho fatto questa breve digressione per riaffermare con estrema forza che il nostro internazionalismo e la nostra opposizione intransigente ad ogni forma bellica e ad ogni distruzione di vite umane non potrà mai coniugarsi con il sostegno a regimi o dittatori di qualsiasi natura e sorta: nemmeno temporaneamente o tatticamente o neppure populisticamente perché sono stati "scelti" dalle masse popolari (tesi sostenuta da alcuni gruppi deliranti dell'estrema). Coloro che sono scesi e scenderanno in piazza contro la guerra con i ritratti di Saddam o con le bandiere nazionaliste sono nostri nemici come coloro che bombardano, affamano e distruggono.

L'Iraq, e non da oggi, è centro e snodo vitale nelle comunicazioni e nella produzione del greggio: di qui la guerra permanente, inizio non casuale della maggior parte delle guerre internazionali che da più di 10 anni ci affliggono. Anche a coloro che sostengono che la guerra del 1991 per "liberare" il Kuwait sia stata di "natura" differente da quella kosovara ed afgana, occorre ricordare che l'invasione irachena venne ampiamente supportata e caldamente consigliata dall'intelligence americana e dagli amici del pluricriminale, nonché nobel per la pace, Henry Kissinger. Quello che è cambiato di questi tempi è sostanzialmente questo:

La necessità di preparare un quadro internazionale che apra la possibilità di un intervento permanente contro tutti coloro (stati o gruppi finanziari) che ostacolino le gang imprenditoriali e gli stati a cui si appoggiano: Cina, Europa, Stati Uniti, Venezuela… Non a caso sempre il noto Kissinger sosteneva in un articolo del 9 agosto del San Francisco Chronicle che sarebbe ora di mandare per aria il famoso Trattato di Westfalia del 1648, che stabilì il principio del non intervento negli affari interni degli stati.

La necessità di ridimensionare il ruolo dell'OPEC e congiuntamente dell'Arabia Saudita: al momento si sa che una quantità immensa di dollari calcolata tra i 100 ed i 200 miliardi di dollari sauditi è stata ritirata dalle casseforti americane per essere spostata nelle casse europee e giapponesi. Questo accadimento sta lacerando la comunità finanziaria internazionale divisa tra i crescenti pruriti bellici contro l'Arabia Saudita (alcuni personaggi di spicco si sono già espressi in tal senso) e chi sostiene che il business è business e pertanto occorra ridimensionare la portata bellicista occidentale (il Financial Times si è assunto questo ruolo guida).

Quello che ora serve agli Stati Uniti e a chi condivida la prossima avventura nel golfo è una giustificazione forte, sapendo: che le difese antiaeree dell'Iraq sono ridotte ai minimi termini, che le forse terrestri sono altrettanto inesistenti e che, per finire, come riportato dall'ex-capo degli ispettori ONU, il repubblicano ed ex-marine Scott Ritter (il Manifesto di domenica 18 agosto, articolo di Sergio Finardi), le capacità di costruzione di armi di distruzioni di massa sono altrettanto insussistenti; che i mezzi di disinformazione di massa possono essere l'unico veicolo per portare la necessità di un attacco all'Iraq (dalla bomba sporca agli uomini Al Queda che si addestrerebbero nel nord-Iraq - Kurdistan iracheno assieme agli indipendentisti curdi). Tra l'altro il fatto di aver fatto soggiornare Al Queda con i curdi sta a significare che il popolo curdo non potrà ottenere sicuramente nulla a nord nella Turchia (questo fa già parte degli accordi per la disponibilità turca all'intervento militare), ma nemmeno a sud, dove verrà creato uno stato unitario, forte e sicuramente gradito agli Stati Uniti; infine sapendo che la ciliegina potrebbe essere un altro attentato o evento similare - magari non negli Stati Uniti - che convinca anche i più riottosi della giustezza della capitolazione del regime iracheno manu militari.

Dunque: ci sarà questo attacco miliare? Il delitto è già stato commesso: si tratta ora di trovare un movente.

Pietro Stara



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