Da "Umanità Nova" n. 27 del 1 settembre 2002
Luglio 2002
Siamo tornati a Genova
Siamo tornati a Genova. Un anno dopo le tragiche giornate
delle proteste contro il vertice dei G8, quando la ferocia del potere si
accanì contro centinaia di migliaia di manifestanti, pestando,
incarcerando, gassando, torturando, uccidendo. Siamo tornati nelle strade dove
Carlo Giuliani è morto assassinato dallo Stato, dove la barriera tra i
potenti della terra e i miliardi di diseredati in quei giorni di luglio era
divenuta fisicamente tangibile: griglie di acciaio presidiate da uomini in armi
separavano gli oppressori dai ribelli venuti da ogni dove a contestarli.
Siamo tornati in una città dove avevamo conosciuto la solidarietà
dei tanti genovesi, che, pur prigionieri nelle proprie stesse strade, avevano
saputo aprire porte, allungare bottiglie d'acqua, esibendo con orgoglio alle
finestre la biancheria tanto invisa all'uomo di Arcore.
Ci siamo tornati per ricordare un ragazzo ucciso ma non ci interessava, non ci
è mai interessato, chiedere verità e giustizia allo Stato che lo
ha assassinato. Quello stesso Stato che, assieme agli altri potenti di questo
mondo, rende questa terra un inferno per la stragrande maggioranza di chi la
abita.
Il G8 è ogni giorno, ogni dove. Dove c'è guerra, carestia,
oppressione, morte, tortura, bombe, inquinamento c'è il G8.
Per ricordare che il G8 è dappertutto ogni giorno siamo tornati a
Genova. Anche noi anarchici vogliamo verità e giustizia ma non le
chiediamo ai tribunali: la verità sull'assassinio di Carlo è
scritta sui muri delle caserme di tutt'Italia: "assassini!". Questa
verità non ha bisogno né teme la sentenza di alcun tribunale. Con
questo spirito siamo andati in piazza Alimonda.
Siamo tornati a Genova, dopo un anno dal vertice dei G8, perché, ne
siamo convinti, i G8, le loro barriere, la loro ferocia, la loro "giustizia"
ineguale sono ancora qui.
Sono in piazza Alimonda dove l'omicidio di un giovane compagno è stato,
sul piano giudiziario, ridotto a mero incidente balistico.
Sono in Argentina dove le politiche imposte dai grandi della terra hanno
ridotto alla fame la popolazione di una terra un tempo prospera.
Sono a Guantanamo, dove i "diritti umani" sono carta straccia.
Sono a Bhopal dove nessuna giustizia v'è mai stata per le vittime
"dell'altrui ozio e dell'oro".
Sono ovunque in questa terra vi è un bambino senza istruzione, senza
cibo, senza futuro.
Sono sui mari dove silenziose passano le carrette dei migranti, sono nei centri
di detenzione dove chi non ha "le carte" non ha diritto a vivere.
Sono nelle galere turche, in quelle brasiliane e in mille altre dove alla
detenzione si aggiunge la tortura.
Sono nei campi di banane della Colombia, dove chi si iscrive ad un sindacato
incontra uno squadrone della morte.
Sono ovunque regni l'ingiustizia, l'oppressione, lo sfruttamento.
Sono in Sicilia dove gli interessi di pochi assetano milioni di persone. Dove
il degrado ambientale è conseguenza del malaffare della politica.
Sono tra chi muore di sete perché non può pagare l'acqua.
Per ricordare che il mondo che vogliamo sarà, se sarà, solo opera
della volontà degli oppressi e degli sfruttati di ribellarsi, di
autorganizzarsi, di praticare ogni giorno, ovunque, l'azione diretta abbiamo
occupato simbolicamente la sede dell'azienda dell'acqua e del gas di Genova.
L'acqua non è una merce, la nostra vita non è una merce. Nella
tarda mattinata del 20 luglio, dopo un presidio di controinformazione in piazza
Corvetto, ci siamo arrampicati al primo piano della sede dell'Amga (la
municipalizzata genovese che gestisce il gas e l'acqua) issando uno striscione
con la scritta "No ai padroni dell'acqua". Per circa un'ora abbiamo rallentato
il traffico dell'ampio viale antistante la palazzina simbolicamente occupata.
Scrivevamo nel comunicato diffuso durante l'occupazione: "Le politiche di BM e
FMI mirano alla privatizzazione dei servizi e delle risorse indispensabili per
tutti. L'acqua è fondamentale per la vita e per l'autonomia delle
persone, privatizzarla significa trasformare in merce un bene essenziale,
mettendo l'esistenza di milioni di persone nelle mani di privati interessati
unicamente al proprio profitto.
I paesi poveri sono obbligati a privatizzare l'erogazione dell'acqua altrimenti
vengono negate loro le risorse erogate da Banca Mondiale e Fondo Monetario
internazionale che insieme ad alcuni governi e ad diverse grandi imprese dal
'94 siedono nel Consiglio Mondiale dell'acqua, un'istituzione al cui interno
sono rappresentate le multinazionali dell'acqua ma non le persone che la
privatizzazione asseta. Con la nascita, nel '96, della Global Water
Partnership, incaricata di favorire l'incontro tra enti pubblici ed investitori
privati, seguita, nel '98 dalla Commissione mondiale per l'acqua nel XXI
secolo, si è creato un comitato d'affari che sta gettando nelle mani
delle solite Coca Cola, Vivendi, Suez Lyonnaise, Nestlé le risorse
idriche del pianeta, privandone intere popolazioni troppo povere per pagare le
tariffe imposte dai privati.
Opporsi alle politiche di BM e FMI significa per noi lottare per la
socializzazione delle risorse del pianeta, per la salvaguardia dell'ambiente e
della vita delle persone, per l'autogoverno e per l'autogestione generalizzata.
La globalizzazione non può essere governata, il capitalismo, vorace
macchina distruttrice della vita e della libertà di miliardi di persone
non può essere "corretto" da qualche briciola di welfare, magari ad uso
dei poveri dei paesi ricchi."
Nel pomeriggio del 20 luglio abbiamo partecipato, pur senza aderirvi, al corteo
no-global partito da piazza Verdi: lo spezzone promosso dal Coordinamento
Anarchico Ligure e Piemontese e dalla FAI ha raccolto circa cinquemila e
più partecipanti. Lo striscione di testa che, come quello distrutto
dalle cariche dell'anno prima, riportava, accanto al logo del galeone, la
scritta "Padroni di nulla, servi di nessuno, all'arrembaggio del futuro" aveva
già oltrepassato il ponte monumentale di via XX settembre quanto la coda
muoveva il primi passi da piazza Verdi.
Eravamo tanti e portavamo con noi l'orgoglio di chi, dopo un anno di tentativi
di criminalizzazione, sosteneva l'urgenza di proseguire un percorso in cui la
necessità del radicamento va di pari passo con l'esigenza della
radicalità di contenuti. Abbiamo scelto il corteo no-global, pur non
condividendo l'impostazione delle aree riformiste che lo avevano organizzato,
perché siamo a pieno titolo una componente del movimento di
controglobalizzazione dal basso, un movimento che è sinora riuscito a
sfuggire alle gabbie paraistituzionali in cui tanta sinistrignaccola nostrana
ha tentato di chiuderlo. Pur rispettando la scelta di quel migliaio di persone
che hanno dato vita al corteo ultrablindato direttosi al carcere di Marassi,
abbiamo preferito percorrere le vie centrali della città, in quella che
è stata la zona rossa dei potenti, per ribadire un percorso che la
repressione poliziesca ed il tuonante silenzio dei media aveva volutamente
obnubilato.
Come abbiamo scritto nel volantino distribuito questo 20 luglio a Genova: "Lo
scorso anno scegliemmo di essere in piazza nella Genova operaia, in quella
Sampierdarena protagonista di un secolo di lotte proletarie, a fianco dei
lavoratori in sciopero politico contro il G8, quegli stessi lavoratori con i
quali avevamo dato vita nelle varie città a comitati per lo sciopero.
Allo spettacolo dei potenti oggi come allora non vogliamo contrapporre la
spettacolarizzazione dello scontro, più o meno simbolico che sia, ma la
necessità di una pratica politica e sociale che, nella consapevolezza
che lo stato ed il capitalismo sono irriformabili, lotti per una trasformazione
radicale della società. Il capitalismo dal volto umano o la
democratizzazione della globalizzazione non sono che illusioni riformiste che
nemmeno la violenza poliziesca per le strade di Genova è riuscita ad
infrangere.
A Sampierdarena eravamo tantissimi e nulla ci importava di violare le
cancellate che tenevano prigionieri della loro stessa ferocia ed arroganza i
G8, quello che volevamo rompere era il muro del silenzio tra le nostre ragioni,
costantemente annullate dal fragoroso vociare dei media, e i tanti che a Genova
ed in ogni angolo del pianeta pagano sulla propria pelle le politiche dei
potenti della terra.
Questo 20 luglio siamo ancora a Genova e di fronte a noi è sempre lo
stesso muro, un muro che ogni giorno, sui posti di lavoro, nei nostri
quartieri, nelle nostre scuole, nelle nostre piazze vogliamo abbattere."
Eufelia
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