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Da "Umanità Nova" n. 28 dell'8 settembre 2002

Piazza, bella piazza

Quando si invoca la piazza, quando si teme la piazza, si finisce sempre per fare una "piazzata".

Che dire poi del Presidente del Senato, Marcello Pera, che in piazza ha arringato la piazza a diffidare delle manifestazioni di piazza?

E di Nanni Moretti, il regista/leader della sinistra indignata ed offesa, che - sempre in piazza - ha incoraggiato la piazza ad essere protagonista della politica senza però pretendere di togliere la scena ai politici, perché la politica non la si fa in piazza, sebbene la piazza serve alla politica, al suo "farsi" gli affari nostri?

E sì che quest'estate non è stata delle più calde, e più che i bagni di sole sono stati gli scrosci violenti di pioggia a scandirne i giorni. Ma tant'è. L'imminente e prossimo autunno si preannuncia caldo a conferma che non vi sono più le mezze stagioni e che la politica ha sottratto alla piazza qualsiasi diritto: prima di tutto quello di essere piazza.

Perché da soggetto fisico, luogo di incontro/scontro per lotte e battaglie sociali (esternazione - quasi sempre metropolitana - di progettualità comunitarie, sindacali e financo autogestionarie) , la piazza è diventata oggetto politico, spazio essenzialmente virtuale in cui si esprime l'opinione pubblica, la gente, la moltitudine. La tanto agognata e invocata audience.

Infatti, il continuo richiamo alla piazza che i politici adombrano in ogni loro intervento pubblico (perché in privato sono soliti "mettersi in piazza" in ben altro modo) non è altro che un richiamarsi alla quantità di persone raggiunte dal loro stesso messaggio diffuso dai mass media. A tal punto che la tipologia topografica della piazza è anonima, indistinta, omogenea; cosicché - anche quando è reale, come piazza del Popolo a Roma, o piazza del Duomo a Milano, o piazza del Plebiscito a Napoli - perde qualsiasi connotazione spaziale propria, e come un tempo l'architetto Hausmann aveva sventrato Parigi realizzando gli immensi viali per permettere all'artiglieria pesante di averla facile con le continue sommosse, così oggi il regista Pietrangeli (sì, quello del "Maurizio Costanzo Show") può facilmente sventrare le piazze urbane con raggi di luce fotoelettrica, onde sonore stereofoniche, schermi multimediali che all'infinito riproducono la stessa immagine. Quella di una piazza che non è più piazza, ma luogo di intrattenimento dove poter gridare "ciao mamma", sventolando la bandiera di Cuba, dello stato palestinese, degli USA o quella del Vaticano. Che poi quelle dei sindacati e dei partiti se non ci sono è meglio!

La vera piazza, si sa, è off-limits. Basta dar vita ad un corteo autonomo dai concerti finali (quello del prossimo 14 settembre con Guccini, Mannoia, De Gregori, ad esempio) per accorgersi dov'è finita la piazza: dietro filo spinato, inferriate e blindo di carabinieri e polizia. Luogo, spazio, della violenza e dei violenti. E così, se sul palco del concerto finale soltanto i professionisti dello spettacolo possono esibirsi senza temere di essere fischiati (Fassino, Rutelli, D'Alema insegnano) , allo stesso modo soltanto i professionisti della violenza possono permettersi di calcare il proscenio della piazza/campale ben sapendo dove e su chi metter le mani.

E poi uno non dovrebbe dirsi: che ci vado in piazza a fare?

Oltre a disertare le urne, dovremmo disertare anche queste "piazze"?

Jules E´lysard



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