unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 28 dell'8 settembre 2002

Conflitto sociale
Prospettive d'autunno

Perché il mondo sia normale un nemico deve esserci. Nella vita domestica sono il ladruncolo o la zingarella che ti entrano in casa. Nella politica di Berlusconi adesso è la Cgil. Se non esistesse, per il cavaliere sarebbe in guaio.
Alessandro Amadori in "Il Manifesto" 25 agosto 2002

Partiamo da qualche dato utile a dare a definizioni suggestive ma vaghe come "autunno caldo" un significato preciso. Riprendiamo alcuni dati dalla stampa economica di parte padronale.

Quasi la metà dei contratti collettivi nazionali è già oggi in attesa di rinnovo. Si tratta di 35 contratti di lavoro per un totale di cinque milioni di lavoratori coinvolti e del 45,2% dei lavoratori dipendenti considerato il monte retributivo complessivo. Il comparto dell'agricoltura ha il 100% dei lavoratori in attesa di un nuovo contratto e il 38,6% dei dipendenti dei servizi destinati alla vendita. Il settore del commercio, pubblici esercizi e alberghi hanno vertenze aperte per il 21,5% e il 34,9% nel comparto dei servizi privati.

Centrale è la pubblica amministrazione dove i contratti in attesa di rinnovo sono il 95,9% e il 92,8% nel settore dei Trasporti.

A loro, a fine anno, si aggiungeranno un milione e mezzo di metalmeccanici.

In totale, fa circa sei milioni e mezzo di persone.

Siamo di fronte ad un dato quantitativo che, da solo, da l'idea della rilevanza dello scontro sociale che va ad aprirsi e che sarebbe rilevante anche in condizioni "normali" ammesso che, dal punto di vista dello scontro sociale, esista la "normalità".

Il fatto è, però, che non siamo in una situazione normale. Proviamo a valutare quanto sta avvenendo sia pure in maniera schematica:

- L'inflazione ha subito un'accelerazione immediatamente evidente. Non c'interessa, in questa sede, ragionare sull'attendibilità dell'ISTAT la cui inaffidabilità è, peraltro, proverbiale. Il fatto è che, da anni, il meccanismo contrattuale basato sul recupero dell'inflazione programmata comporta una riduzione del monte salari. La recente accelerazione si somma a questa dinamica e la rende ancora più intollerabile.

- I sindacati istituzionali sono, per ragioni sin troppo note ed ampiamente trattate sulle pagine di UN, in una fase di riposizionamento. Se la CGIL deve mantenere la promessa della battaglia campale d'autunno anche CISL e UIL sono in fibrillazione giacché devono dimostrare la bontà del "Patto per l'Italia" e che sono in grado di ottenere aumenti retributivi accettabili mediante la via della concertazione. Un loro eccessivo ed evidente appiattirsi sulle posizioni del governo non potrebbe, infatti, che rafforzare l'egemonia della CGIL nell'ambito del sindacalismo di stato.

- Il governo oscilla fra promesse inattendibili come quella del cavaliere azzurro che, al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, si è lasciato andare alla promessa di aumenti maggiori del previsto (evidentemente il desiderio spasmodico di applausi gli ha giocato un brutto scherzo) e brusche frenate da parte di diversi ministri.

- Per ora, la svolta sociale del governo si è manifestata con il temporaneo blocco di alcune tariffe. Un contentino a CISL e UIL sul versante dell'"azione antinflazionista" e la prova del giudizio sull'intelligenza media del buon popolo che caratterizza il ceto politico del centro destra. L'unica nota divertente a questo proposito sono state le dichiarazioni dei settori liberal della sinistra contro la politica dei prezzi amministrati.

- Si deve, fra l'altro, tenere presente il fatto che il governo ha, come controparte immediata, la scuola ed il pubblico impiego, settori nei quali cerca di allargare la sua area di simpatia e che sono bastioni dei suoi soci di volo della CISL e della UIL. Appare evidente come la necessità di tagliare le retribuzioni e l'esigenza di allargare la propria base di consenso facciano a pugni.

Dal punto di vista strettamente sindacale, ammesso che esista un punto di vista strettamente sindacale, sembriamo essere di fronte ad un'opzione secca: o si vince, nel senso che il lavoro salariato recupera parte significativa di quanto ha perso negli ultimi anni o si perde e, nel caso si perda, saremmo, per dirla con un eufemismo, messi alquanto male.

Il monte salari, infatti, è un fatto eminentemente politico, è un indicatore, non l'unico ma certo il più significativo, del rapporto di forza fra le classi.

Può valere la pena, a questo proposito, di riportare l'opinione di un avversario che, come sono soliti fare i nostri avversari, sembra desideroso di darci buoni consigli:

"Intendiamoci: non che non siano presenti nella società italiana i germi di una conflittualità robusta, soprattutto in alcuni comparti nei servizi. Ma una condizione per il moltiplicarsi e il rafforzarsi degli scioperi è la loro attitudine a produrre risultati. E negli ultimi tempi i conflitti nell'industria - un settore che sconta una fase di difficoltà più evidente nelle grandi concentrazioni, ma da non trascurare nemmeno nelle costellazioni delle imprese minori - hanno dimostrato uno scarso potere di conseguire risultati effettivi, come testimonia l'esperienza recente del sindacato più antagonista, la Fiom-Cgil."

Giuseppe Berta in "La Stampa" del 19 agosto 2002

Traducendo in italiano il messaggio, la tesi del buon Giuseppe Berta è sin banale: se gli scioperi non pervengono a risultati positivi logorano la forza e la capacità d'azione dei lavoratori. Non vi è, ovviamente, chi non veda la ragionevolezza di una tesi del genere ma le conseguenze da trarne sono, a mio avviso, diverse da quelle prospettate. Il fatto è che il "sindacato più antagonista" del quale si ricordano le recenti sconfitte ha forzato uno scontro sindacale dopo aver per anni accettato accordi peggiorativi e sulla base di una piattaforma assurda. Va da sé che i lavoratori non sono un'armata che si muova a comando e che la ripresa del conflitto non poteva che scontare i passati disastri.

Da queste difficoltà non si deve però dedurre una sorte di onnipotenza del padronato, un ciclo di lotte incisive ha la possibilità di piegare il padronato ed il governo, si tratta, appunto, di operare perché incisive siano effettivamente.

Sul piano politico più generale si tratta di tener conto che le mosse che farà la CGIL dipenderanno, in larga misura, dalla dialettica interna al centrosinistra e che questa dialettica rischia di trasformare la pressione dei lavoratori in una mera forza ausiliaria della battaglia della CGIL per rimettere in piedi lo stesso centro sinistra.

In questi mesi la CGIL non è stata ferma, basta leggere affermazioni come quella che riportiamo:

"E la tela di Cofferati, naturalmente, non poteva che puntare a `catturare' i due segmenti di società civile e politica assieme senza i quali è arduo immaginare un'alleanza riformista moderna e vincente: il mondo dell'ambientalismo e quello variegatissimo del cattolicesimo che una volta si sarebbe definito `democratico' o di `base'."

Da "La Stampa" del 28 agosto 2002

Insomma, si accentua la disponibilità della CGIL a operare come un soggetto politico a 360 gradi sulla base di un programma neosocialdemocratico. Fatto salvo che non saremo certo noi a piangere sull'eventuale defenestrazione di Massimo D'Alema ad opera di Cofferati, è evidente che non è nostra intenzione lavorare per l'asse Prodi - Cofferati.

Si tratta, di conseguenza, di fare della battaglia retributiva con tutte le implicazioni che comporta per quanto riguarda le pensioni, i diritti dei lavoratori precarizzati ed immigrati, la questione dei servizi sociali, l'asse del nostro intervento nei prossimi mesi.

La CGIL ha già dichiarato che intende lanciare lo sciopero generale ad ottobre. Si tratta di una dichiarazione scontata. CISL e UIL si ritraggono vezzose ma non è da escludersi una qualche alleanza tattica, dipende da fattori che, per ora, nessuno è in grado di valutare.

A questo proposito ritengo si debba discutere con grande franchezza. L'esperienza degli scioperi dell'ultimo anno mi sembra dimostrare che non è opportuno puntare su scioperi separati del sindacalismo alternativo. Se si credo, ed io sono convinto che questo è il punto di partenza ineludibile di ogni ragionamento nel merito, che gli scioperi sono una cosa seria e grave, non si può prescindere dall'orientamento dei settori più combattivi dei lavoratori.

È, quindi, probabile che si converga sulla data fatto salvo, ma questo va da sé, che sulla questione i sindacati alternativi dovranno discutere e decidere in piena autonomia.

A maggior ragione sono centrali i contenuti, le piattaforme, la capacità di legare iniziative generali a lotte aziendali, territoriali, categoriali e le lotte stesse ad una prospettiva più ampia di cambiamento sociale.

Cosimo Scarinzi



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