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Da "Umanità Nova" n. 28 dell'8 settembre 2002

Cantiere navale di Livorno
"Sinistre" speculazioni

Circa un centinaio di lavoratori rientrano al Cantiere Navale di Livorno per completare la costruzione di un bacino galleggiante commissionato dall'Autorità Portuale di Livorno. Intanto il clima che si respira al presidio davanti ai cancelli è di smobilitazione; il bilancio di nove mesi di nuova amministrazione (Angelo Rosi, indicato dalla Lega delle Cooperative e con una professionalità riconosciuta nel liquidare aziende) non è certo soddisfacente:

- nessuna nuova commessa acquisita;

- cassa integrazione per i dipendenti di quelle ditte che possono accedervi;

- decine di licenziamenti fra i dipendenti del Cantiere a tempo determinato, gli apprendisti e quelli con contratti di formazione-lavoro.

Parlare di prospettive in una situazione del genere è estremamente difficile: promesse, messaggi in codice, appelli inconcludenti si rincorrono, mentre i diretti interessati hanno una visione parziale di quello che accade, e condizionata dal loro ruolo, soprattutto di vittime, di un'operazione che sfugge al loro controllo.

Il sindacato, sia la rappresentanza sindacale, sia le strutture di categoria che quelle territoriali, sbandierano come grandi conquiste che le banche sono disponibili ad anticipare ai lavoratori le mensilità della cassa integrazione, mentre niente viene detto, e ancor meno fatto, sui dipendenti del Cantiere (diretti e indiretti) che non possono accedere agli ammortizzatori sociali. Intanto viene fatto girare un appello da parte di un comitato cittadino (ospitato anche sul sito web della FIOM di Livorno), rivolto a Ciampi affinché intervenga sulla vendita di una nave già costruita alla Telecom. Questo appello denuncia la "scellerata concorrenza dei cantieri esteri" e la "cattiva conduzione degli ultimi anni" e chiede a Ciampi di intervenire affinché la Telecom ritiri la nave anche se oltre i termini stabiliti e "che venga effettuato un intervento straordinario a difesa del Cantiere". Nell'appello non si parla dei licenziamenti avvenuti, né si parla dei carichi di lavoro futuri.

Come è possibile interpretare queste affermazioni?

Innanzi tutto che la Fiom almeno, con l'appoggio della Cgil territoriale e certo non in contrasto con Cisl e Uil, è impegnata nella difesa dei soci del Cantiere: nessuna vertenza è stata aperta con la direzione della fabbrica che ha licenziato decine di lavoratori, dipendenti atipici, né per coloro che sono esclusi dalla cassa integrazione, limitandosi a prendere atto della situazione. Inoltre viene chiesto un intervento straordinario, che può consistere solo in un finanziamento a fondo perduto, perché, come dicevo prima, non si parla nel comunicato né di carichi di lavoro né di finanziamenti agevolati per nuovi investimenti, quindi dietro le parole "intervento straordinario" si nasconde solo la richiesta di un finanziamento a fondo perduto.

Lo scopo di questo finanziamento è impedire che l'amministrazione controllata si trasformi in un fallimento vero e proprio.

Le conseguenze sarebbero gravissime per la dirigenza del Cantiere e per l'apparato affaristico-clientelare che domina la città; le aree attualmente occupate da Cantiere Navale e destinate ad una speculazione edilizia legata al porto turistico, sarebbero messe a disposizione del giudice fallimentare che le metterebbe all'asta. Il cambio di destinazione delle aree era già previsto dal piano regolatore approvato prima della costituzione della cooperativa... I soci del Cantiere sarebbero i primi danneggiati perché solo col successo dell'operazione immobiliare possono pensare di vedersi rimborsata la quota di capitale sociale sottoscritta.

Ma il fallimento è solo una delle ipotesi, ben più grave è il rischio di bancarotta fraudolenta, giustificata dal fatto che il Consorzio Cantiere Navale F.lli Orlando ha sempre regolarmente pagato le fatture presentate dalle Cooperative che lo costituiscono, anche quando i crediti degli altri fornitori erano già in sofferenza; un po' come l'imprenditore che intesta i beni alla moglie quando la sua impresa comincia a fare acqua.

E qui sarebbe il caso di fare chiarezza sui soci delle cooperative e sulla natura del loro reddito.

Attorno al concetto di lavoratore del Cantiere si è fatta molta retorica. In realtà la costituzione delle cinque cooperative e la loro costituzione in consorzio ha permesso la trasformazione dei tanti piccoli redditi di lavoro dipendente degli ex lavoratori della Fincantieri (liquidazione e mobilità) in capitale, raggiungendo la massa critica per acquisire e far funzionare lo stabilimento di Livorno. Con questa operazione i dirigenti del consorzio si sono trovati ad essere i capitalisti, mentre i soci delle cooperative, oltre che dipendenti del cantiere, diventavano anche prestatori di capitale, con un ruolo analogo a quello degli azionisti nelle società per azioni.

E a questi ruoli si sono attenuti spietatamente: il fatto che ciò abbia generato anche comportamenti illegali è puramente accidentale.

Il fatto che il capitale assume la forma di capitale sociale (cooperativa), non incide minimamente sul carattere capitalistico dell'impresa: già Marx sottolineava come l'ampliamento della scala della produzione rende necessaria l'associazione di molti capitali, come nelle società per azioni; in esse il capitale assume la forma di capitale sociale (capitale di individui direttamente associati) in contrapposizione al capitale privato.

I dirigenti hanno assolto egregiamente al loro compito di funzionari del capitale, aumentando il saggio di plusvalore assoluto attraverso il prolungamento del tempo di lavoro e attraverso la sostituzione di forza-lavoro specializzata con forza-lavoro più a buon mercato, e il saggio di plusvalore relativo con l'aumento dei ritmi, un'organizzazione del lavoro coreana, investimenti faraonici.

Tutto ciò ha provocato l'aumento della composizione organica del capitale, cioè l'aumento del capitale costante, il capitale investito in mezzi di lavoro, materie prime, fabbricati, impianti ecc, rispetto al capitale variabile, quello investito in forza-lavoro

Il consorzio, attraverso l'affitto, pagava alle cooperative associate l'utilizzo dei mezzi di produzione e in più una remunerazione del capitale investito; a loro volta le cooperative trasferivano ai soci il compenso per il capitale investito (quello che nelle società per azioni è il dividendo), sotto forma di reddito da lavoro dipendente, quindi passaggi di categoria, di modo che alla fine nessuno dei soci apparteneva a categorie operaie.

Questa forma di divisione del profitto ha creato dei problemi nel momento in cui il consorzio si è trovato in crisi di liquidità: gli affitti e le retribuzioni dei soci dovevano essere pagati, nonostante la caduta del saggio di profitto causata dall'aumento della composizione organica del capitale.

La soluzione trovata dalla vecchia dirigenza è stata quella di ritardare i pagamenti ai creditori, e questo ha provocato l'esplosione della crisi del cantiere.

Ora forse siamo arrivati all'ultimo capitolo e, dopo gli operai, i piccoli azionisti sono le vittime della società per azioni.

In questi ultimi giorni si è costituito un comitato, che si proclama autonomo dai partiti e dai sindacati, e che si impegna a tutelare nelle sedi opportune i diritti dei soci lavoratori. Assomiglia tanto ai comitati dei piccoli azionisti truffati dai grandi gruppi, che spesso sono manovrati dalle destre populiste.

E il vero dramma del Cantiere sta proprio qui: la crisi e la divisione fra i lavoratori lascia campo aperto per un radicamento di massa della destra. La sinistra e il sindacato di Stato, come nel '20, paiono più preoccupati della difesa delle loro speculazioni e del rischio di un'organizzazione autonoma di classe; ancora una volta lasceranno campo libero ai fascisti.

Tiziano Antonelli



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