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Da "Umanità Nova" n. 29 del 15 settembre 2002

Destra di governo e buchi di bilancio
Riformismo all'incontrario

Come era facile prevedere nella prima settimana di settembre è scoppiata la rissa politica sullo stato dei conti pubblici. La notizia che ha fatto infervorare gli animi riguarda l'ammontare del fabbisogno di cassa, arrivato a 34 miliardi di euro nel periodo gennaio-agosto, con una crescita del 66% rispetto allo stesso periodo del 2001 (21 miliardi di euro). L'esplodere del fabbisogno dipende da vari motivi, ma soprattutto dal crollo delle entrate, in particolare dell'Irpeg, cioè le tasse sui profitti d'impresa: l'economia si è deteriorata e le imprese pagano meno, o forse preferiscono aspettare a pagare, visto che la coalizione al governo sembra avere un occhio di riguardo per chi evade sistematicamente. La successione di sanatorie e condoni del passato lascia ben sperare anche per il futuro, ma questo è un argomento che affronteremo più tardi.

Il problema più urgente è adesso la predisposizione della finanziaria 2003, che il centro-destra promette essere di "rigore e di sviluppo" (una formula che abbiamo sentito invariabilmente sotto Amato, Ciampi, Prodi, D'Alema, e prima ancora Andreotti, De Mita, Craxi,...). Naturalmente il problema è fare quadrare le panzane raccontate in campagna elettorale con la dura legge dell'economia e i vigili controlli dei pasdaran dell'integrazione europea, deputati a sorvegliare la virtuosità dei comportamenti dei governi nazionali. L'Italia ha un passato spendaccione da far dimenticare e soprattutto un rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo ancorato al 109%, mentre deve rientrare sotto il 60% a tappe forzate (attualmente solo Belgio e Grecia, tra gli altri partner Uem, sono sopra questo livello). Il programma precedente prevedeva la discesa al 104,5% entro la fine del 2003, ma ormai sono fantasie destinate a futura memoria.

Il deteriorarsi della situazione italiana ha evidenti motivi strutturali, che ogni governo cerca di dribblare con provvedimenti una tantum, in attesa di tempi migliori. A ben vedere la stagione dei governi tecnici della stagione `92-'95 e quella dei governi dell'Ulivo del '96-2001 aveva goduto di una serie eccezionale di circostanze favorevoli: il lungo ciclo di crescita dell'economia mondiale, il boom delle esportazioni italiane dopo la svalutazione della lira, la caduta dei tassi d'interesse sui titoli di stato, l'ampiezza del patrimonio pubblico da privatizzare, il decollo delle borse e il conseguente gonfiarsi dell'imposta sui capital-gain, il consenso sindacale alla concertazione che consentiva la crescita della pressione fiscale senza conflitto, la straordinarietà dell'evento legato all'entrata nell'Uem.

Il governo di centro-destra si trova a gestire una fase completamente diversa: l'euro non ha garantito uno sviluppo autonomo dell'area europea, la dipendenza dagli Usa è più evidente di prima, l'economia si è inceppata, occorre gestire una fase di disillusione, da cui emerge il carattere non transitorio dei sacrifici che Maastricht aveva richiesto e imposto. In più la Casa delle Libertà ha promesso un paese di bengodi, dopo i salassi fiscali di Visco & C., mentre la situazione del debito pubblico non consente voli pindarici. La competenza tecnica di Tremonti è alquanto aleatoria, l'atteggiamento "condonista" del nuovo governo accertato, la "spinta morale" alla correttezza civile e fiscale decisamente in ribasso. Risultato: conti pubblici in rapidissimo deterioramento.

Il governo si trova di fronte a scelte difficili. Le privatizzazioni sono state già fatte dalla sinistra, resta poca roba da vendere e la situazione delle borse non consente di incassare molto. Il patrimonio immobiliare può essere monetizzato con le cartolarizzazioni, ma la Commissione Ue ha eccepito sulla regolarità formale di mettere in bilancio queste entrate straordinarie. Il rientro dei capitali è stato superiore alle previsioni, ma l'introito conseguente (una posta anch'essa straordinaria) non è bastato a migliorare la situazione. È vero che sono stati "ripuliti" sessanta miliardi di euro, con l'incasso di 1.500 milioni di euro, ma almeno il 40% dei capitali è rimasto all'estero, ed oggi il governo parla di una riproposizione del provvedimento per "aprire le porte" ad altri 30 miliardi di euro. La sanatoria sull'emersione dal sommerso ha invece toppato completamente e si va verso una quarta proroga destinata ad un esito assai deludente.

A questo punto il governo deve agire sulla spesa o inventarsi qualcosa sul lato delle entrate. O entrambe le cose. Infatti la manovra che si profila per il 2003 parla di 20 miliardi di euro, da recuperarsi per metà con una forte razionalizzazione della spesa (aste on-line, risparmi sulle spese dei ministeri, outsourcing, taglio degli organici e degli stipendi dei lavoratori del pubblico impiego), dall'altra attraverso il ricorso alla più classica delle misure fiscali: il condono tombale. Questa volta il condono dovrebbe riguardare tutte le evasioni del periodo 1995-2001 e fruttare 10 miliardi di euro.

In questo modo il governo tenta di aggirare i nodi strutturali della sanità e delle pensioni, e anche di salvare quel minimo di impegno a tagliare le tasse sui redditi bassi che rappresenta la base del Patto per l'Italia siglato con Cisl e Uil nel luglio scorso. L'intervento radicale su pensioni e sanità verrebbe così rimandato al prossimo anno, in modo da diluire le occasioni di conflitto perlomeno con i sindacati vassalli del governo. Si tratta di una scelta tattica.

I problemi che riguardano la finanza pubblica italiana non sono peraltro isolati. Il deficit della Germania viaggiava a metà anno sopra il 3,5%, mentre anche la Francia ha reso noto di avvicinarsi velocemente al 3%, per non parlare del 4,5% del Portogallo. Il ciclo elettorale europeo prevede, invariabilmente, un aumento delle spese pubbliche da parte del governo in carica nell'anno precedente le elezioni, ed una riduzione delle tasse da parte del governo che lo sostituisce nell'anno successivo. L'effetto combinato risulta assai pesante per la conservazione dell'equilibrio fiscale, tanto più se pensiamo che nell'Uem mediamente ci sono oggi 3/4 consultazioni all'anno, con prospettive di aumento quando entreranno i 10 nuovi paesi membri. Una prospettiva insostenibile.

È evidente comunque che sinistra e destra si portano dietro entrambe un mare di contraddizioni, che cercano metodicamente di scaricare sulle fasce sociali più deboli. Mentre le rispettive classi dirigenti si riempiono la bocca di dichiarazioni roboanti su razionalizzazione, rigore, efficienza, equità, crescita, le lobby organizzate si appropriano di quote crescenti di risorse pubbliche attraverso le grandi opere, l'outsourcing, la privatizzazione dei servizi. La mano visibile dello stato sposta risorse imponenti dalle tasche dei salariati a gruppi sociali d'élite, integrati con i poteri pubblici, e mentre si discute animatamente di riforma del welfare, si provvede rapidamente alla sua disgregazione. I tagli alla sanità, la proposta di reintrodurre le mutue private, la riforma dei cicli scolastici, la spinta verso i fondi pensione e l'impianto complessivo che va assumendo l'intervento pubblico sulla sfera sociale aumentano in prospettiva (e in modo esponenziale) la quantità di risorse che le classi subalterne dovranno destinare alla "cura di sé stessi", per sopperire all'inabissamento del welfare. Ritorna, per vie traverse, lo scontro sulla spartizione delle risorse e sulla distribuzione del reddito, sul carattere dello stato sociale moderno e su chi debba pagare le spese di riproduzione della forza lavoro.

Si tratta di lavorare per sottrarre ai governi, di qualunque colore, la competenza e la legittimazione a governare le risorse pubbliche con le tecniche della gestione aziendale ed aggiornare la nostra analisi sulla non neutralità del ruolo dello stato nella società contemporanea, verificando fino in fondo gli effetti classisti del "riformismo all'incontrario".

Renato Strumia



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