unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 30 del 22 settembre 2002

Dibattito
L'autunno caldo dell'immigrazione

Quest'articolo, una sorta di bilancio dell'ultimo anno di lotta contro la Bossi-Fini, può costituire un primo momento di confronto per l'apertura di un dibattito sul movimento antirazzista nel nostro paese. È un terreno sul quale oggi più che mai è indispensabile allargare il confronto e le occasioni di intervento. Un intervento la cui urgenza è testimoniata dalle continue stragi sui mari, di cui quella consumatasi al largo di Porto Empedocle non è che l'ultima di una lunga, tragica serie.


Se proprio si volesse trovare qualche risvolto positivo nel decreto Bossi-Fini sull'immigrazione, recentemente approvato dalla Camera, bisognerebbe ricercarlo nella dimensione unitaria che ha determinato nel fronte di lotta per i diritti dei lavoratori a partire dal dicembre 2001. La prima grande manifestazione contro il decreto di legge in questione, tenuta a Roma il 19 Gennaio scorso, ha visto infatti la partecipazione unitaria di lavoratori italiani e immigrati in una prospettiva realmente solidarista e internazionalista, forse per la prima volta dopo anni. Sotto la parola d'ordine dell'universalità dei diritti, è emersa una percezione comune che esiste un collegamento preciso tra l'attacco ai diritti degli immigrati dettato dalla Lega e dalle frange più razziste del governo da un lato, e l'aggressione alla classe operaia nostrana con la proposta di modifica dell'articolo 18 dello Statuto del Lavoratori, dall'altro. Emerge sempre più chiara inoltre la consapevolezza che il razzismo interno è l'altra faccia della medaglia rappresentata dalle politiche guerrafondaie contro i paesi poveri del Terzo Mondo messe in campo per difendere gli interessi predatori delle potenze occidentali.

Si fa strada, in pratica, la coscienza che un approccio meramente solidaristico al problema dei lavoratori migranti non è più sufficiente, di fronte all'evidente paradigmaticità che la condizione di migrante va assumendo in un mondo sempre più attraversato dalla contraddizione tra globalizzazione delle merci e restrizioni alla libera circolazione delle persone. Nello stesso tempo, il modello liberale basato sull'universalità dei diritti umani e civili e sull'estensione progressiva di alcuni minime garanzie sociali ai gruppi meno abbienti (Welfare), manifesta ormai chiaramente la sua crisi, con il ritorno a una concezione selettiva e discriminatoria dei diritti e a forme di irregimentazione poliziesca e autoritaria della società (si pensi alla tanto controversa questione dei rilievi dattiloscopici, che dagli immigrati saranno estesi gradualmente anche agli Italiani).

Il giro di vite rappresentato dalla Bossi-Fini nei riguardi dei diritti degli immigrati è in questo senso propedeutico alla compressione del potere contrattuale degli stessi lavoratori nostrani: la semplificazione delle procedure di espulsione, il rafforzamento dei centri di detenzione per clandestini, la subordinazione del permesso di soggiorno alla durata del contratto di lavoro, le misure restrittive dell'integrazione sociale e culturale, l'aumento delle difficoltà per i ricongiungimenti familiari etc., sono tutti segnali preoccupanti di un'involuzione o imbarbarimento ulteriore dello stato dei diritti civili, umani e sociali nel nostro paese. Il lavoratore, abbia la pelle bianca o nera, il passaporto italiano o tunisino, è visto sempre più come mera forza-lavoro, merce da scambiare sul mercato (sempre più flessibile) del lavoro, senza diritti da rivendicare o contrattare collettivamente e senza una propria dimensione umana, sociale e culturale da valorizzare. La docilità o ricattabilità del migrante è data dalla sua posizione assolutamente precaria, perché legata alla durata del contratto di lavoro e subordinata alla sua "buona condotta": per tutti i comportamenti non consoni alle esigenze dell'azienda scatta il licenziamento, vale a dire la fine del diritto a restare nel paese ospite.

La consapevolezza che la Bossi-Fini non è altro che la continuazione di una politica di controllo dei flussi inaugurata dal centro-sinistra con il sostegno anche di Rifondazione comunista ha spinto parecchie realtà di movimento a mobilitarsi dal basso e a cercare di coordinare in qualche modo le proprie realtà di lavoro o lotta sul territorio.

Di fronte allo scempio dei diritti più basilari del lavoro, evidentemente il decreto Bossi-Fini ha svolto nell'ultimo anno un ruolo di catalizzatore di lotte e proteste sociali articolate secondo modalità e tempi differenziati su tutto il territorio nazionale, ma con una sempre più efficace e consapevole volontà di coordinamento. Le prime avvisaglie risalgono già al 24 novembre dello scorso anno, quando dal palco di una manifestazione contro l'articolo 18 a Brescia risuonava l'appello di lavoratori dalla pelle nera di creare un fronte comune di lotta. Uno striscione esibito il 22 dicembre a Roma da donne sudamericane e moldave già lanciava la parola d'ordine: "solidarietà e diritti contro la legge razzista Bossi-Fini e contro la guerra ai popoli del Sud del mondo ed ai migranti".[1] A partire dalla manifestazione del 19 gennaio a Roma praticamente le iniziative non si sono contate più. Il coordinamento è stato assicurato nella maggioranza dei casi dal "tavolo migranti" del social forum nazionale, realtà costituitasi immediatamente all'indomani della manifestazione di Roma. Al suo meglio, il coordinamento ha espresso la volontà e capacità di mettere in rete le iniziative di lotta, senza prevaricare o sovrapporsi alla voce autonoma degli immigrati. In parecchi casi, è tuttavia emersa una forte crisi di rappresentanza, specie al Sud, dove l'organizzazione e la mobilitazione dal basso dei lavoratori migranti è comunque sempre stata più problematica. Le iniziative si sono spesso intrecciate con le vertenze a livello locale condotte dai vari gruppi immigrati più o meno politicizzati e più o meno sostenuti da organizzazioni militanti della sinistra di movimento. Occupazioni di stabili dismessi, boicottaggio ai CPT, cortei antirazzisti sono stati frequentissimi dalla Sicilia alla Lombardia. La parola d'ordine è stata per lo più incentrata intorno al diritto incondizionato al permesso di soggiorno in Italia per tutti, senza limitazioni di sorta, e come garanzia propedeutica di altri diritti fondamentali come il lavoro, la casa, l'assistenza sanitaria, i diritti civili e politici, il diritto a mantenere e valorizzare la propria identità, lingua e cultura. Sul diritto di voto, il Coordinamento anti-razzista della FAI ha espresso giustamente delle riserve politiche, anche se personalmente ritengo che su questo punto andrebbe ascoltata e rispettata la volontà autonoma delle singole comunità.

Il coordinamento nazionale, pur con i soliti eccessi di protagonismo di sigle e "portavoci", ha prodotto diverse iniziative di lotta significative, come lo sciopero dei lavoratori immigrati di Vicenza, lo scorso 15 maggio.[2] Organizzato da Cub, Social forum e dalla CGIL per la parte migranti, lo sciopero ha avuto una buona partecipazione di base, con un corteo che ha contato circa 10.000 adesioni.[3] Anche gli episodi di lotta di Treviso, con l'occupazione di diversi stabili inutilizzati da parte degli immigrati sostenuti dai no-global locali, hanno fatto parlare a lungo di sé le colonne dei rotocalchi e i media nazionali e locali.[4]
Il coordinamento anti-razzista della FAI si è impegnato attivamente nel boicottaggio del CPT di Bologna lo scorso 3 marzo e diversi compagni sono stati coinvolti nella retata di extra-comunitari sempre a marzo a Parma.

In generale, si può forse dire che il movimento ha espresso il meglio di sé nelle realtà socio-economiche a più elevato tasso di immigrazione regolarizzata e sindacalizzata, come la Lombardia e il Veneto, mentre le regioni del sommerso faticano a produrre una mobilitazione adeguata per la maggiore ricattabilità dei clandestini e la loro coscienza di classe senz'altro inferiore. Del resto, il problema che è emerso con sempre maggiore evidenza negli ultimi tempi della discussione della legge alla Camera è stata la prospettiva di una spaccatura all'interno del movimento immigrati tra i "regolarizzabili" con la sanatoria prevista dall'imminente decreto e i clandestini senza possibilità di regolarizzazione. Questa occasione non può essere rifiutata con faciloneria, perché gli immigrati stessi la percepiscono come il miraggio della propria vita. D'altronde, è senz'altro plausibile l'ipotesi che la sanatoria sia stata concepita proprio come uno strumento per spezzare l'unità del movimento, oltre che per ammorbidire una parte della maggioranza di governo e l'opposizione. Di fronte all'eventualità di tale spaccatura, bisogna reagire rilanciando l'unità del fronte di opposizione, facendo riflettere gli immigrati rientranti nella sanatoria (per le colf o per il lavoro dipendente, fa lo stesso) che se non continueranno a lottare, le loro condizioni di vita in Italia andranno sempre più peggiorando. La gran parte degli immigrati non regolarizzabili o perché già raggiunti da decreto di espulsione, perché già condannati per qualche reato o semplicemente perché sprovvisti di un lavoro dipendente, diventeranno dal momento dell'entrata in vigore della nuova legge ancora più ferocemente preda del lavoro nero, della malavita organizzata o, più semplicemente, sballottati tra i vari CPT di turno, in attesa dell'espulsione. In assenza di una legge quadro sul diritto d'asilo, interi gruppi di immigrazione come i Rom fuggiti dalle recenti guerre dell'ex-Jugoslavia verranno presi tra il miraggio di una regolarizzazione impossibile e la minaccia reale di sgomberi forzati, espulsioni indiscriminate e operate con criteri sommari.

Per fare il punto sulla situazione del movimento, si è deciso nell'ambito della tre giorni dello scorso luglio a Genova (19-20-21) di riservare momenti specifici alle prospettive di lotta degli immigrati. Il 19 luglio, il previsto forum tematico è stato trasformato in una grande assemblea per i diritti dei migranti in Italia e in Europa, mentre il 20 ha visto la partecipazione massiccia a una piazza tematica sull'argomento dei migranti e al successivo corteo unitario. Di particolare significato è stato il rilievo attribuito alla questione dei migranti, in un contesto segnato dalla commemorazione della brutale repressione messa in campo dallo Stato appena l'anno prima. È quasi come se ormai la condizione del migrante, pedina quanto mai vulnerabile e precaria della società, esposta in prima persona alla violenza cieca del sistema, avesse assunto una sua dimensione di emblematicità drammatica dei guasti prodotti dalle politiche neoliberiste su tutta la società italiana ed europea.

Se in questa fase, i coordinamenti no-global e le altre realtà attive sul territorio in difesa dei diritti degli immigrati (come la rete "Lilliput", l'associazione "3 Febbraio" o la FAI), sembrano segnare una battuta d'arresto, a causa della pausa estiva e soprattutto per l'imminenza della sanatoria, bisogna comunque tenere presente che i processi reali di mobilitazione sul territorio di quest'ultimo anno sono serviti a innalzare il livello di coscienza e di impegno contro le politiche di ristrutturazione autoritaria in atto nel nostro paese come in tutta Europa. A questo proposito, sarebbe utilissimo rilanciare la lotta istituendo un adeguato coordinamento a livello europeo e internazionale. Episodi come l'occupazione da parte di immigrati e studenti dell'Università di Siviglia[5] dello scorso giugno ci ricordano come i decreti di flusso e le politiche restrittive della libera circolazione delle persone non sono un problema soltanto nostrano. È solo rilanciando le forme di resistenza e dissenso già sperimentate nell'ultimo anno nella prospettiva più unitaria possibile e non accontentandosi del fumo negli occhi rappresentato dalla singola sanatoria di turno, che si potrà creare un solido fronte comune in difesa dei diritti basilari dell'esistenza, del lavoro, della dignità personale.

Marco Nieli


Note

[1] http://www.tightrope.it/user/chefare/archivcf/cf57/bossifini.htm

[2] M. Cartosio, "E l'operaio-immigrato non è più invisibile", in Il manifesto, 16 maggio 2001.

[3] "Sbaglierebbe chi pensasse a uno sciopero 'etnico' e, ancora peggio, a una volontaria o oggettiva divisione dei lavoratori. La condizione dei lavoratori migranti è infatti vincolata a una doppia subordinazione. Non solo perché, come avrebbe detto A. Sayad, su di loro grava una penalità supplementare, dovuta al loro essere formalmente e sostanzialmente illegittimi in una società che a malapena ne riconosce l'esistenza. Soprattutto perché il loro statuto di lavoratori é sottoposto al ricatto oggettivo dell'espulsione e quindi a un'estrema limitazione dei loro diritti e in particolare del loro diritto a una condizione umana in fabbrica e fuori. Se per il lavoratore autoctono, la lotta per il salario e per il tempo è anche una lotta per la dignità, la lotta del lavoratore straniero è una lotta per la dignità e la sopravvivenza immediata di esseri umani. Ecco qualcosa che non sempre le organizzazioni sindacali hanno compreso. Qualcosa, d'altra parte, che é implicato nel progetto Bossi-Fini ancor più che nella legge Turco-Napolitano, che pure ha gettato le premesse per la subordinazione sociale e giuridica degli stranieri." (A. Del Lago, "Il colore del lavoro", in Il manifesto, 15 maggio, 2002).

[4] L'occupazione degli stabili dell'ex- Croce rossa è partita in questa città, dalla giunta forse più razzista d'Italia, in occasione dello sciopero generale del 16 Aprile (); è proseguita poi con l'occupazione del Duomo da parte di alcune famiglie di migranti senza tetto e proseguirà il 15 Settembre con una grande giornata di mobilitazione anti-razzista.

[5] http://www.mir.it/g8/news/20020614/3d09d3dd1366a.html



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org