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Da "Umanità Nova" n. 30 del 22 settembre 2002

Treviso
Manganellate "padane"

Le manganellate di carabinieri e poliziotti contro i manifestanti antirazzisti viste domenica 15 settembre alla stazione di Treviso per difendere i leghisti reduci dal VII Padania Day a Venezia evidenziano molto meglio di ogni altra analisi la parabola discendente della Lega Nord e la sua sempre meno affollata rituale adunata veneziana.

I Paesi Baschi dove la polizia antisommossa chiude con la forza le sedi del partito indipendentista Batasuna sono gli antipodi del Nord Est italiano dove le forze dell'ordine del vituperato Stato nazionale proteggono i "secessionisti" in camicia verde: un paradosso che sta costando caro a Bossi.

Il sorgere del leghismo nei primi anni Ottanta era il risultato di fattori diversi, non ultimi la contrapposizione col potere centralista di Roma (ladrona), il rifiuto dell'unità nazionale e della sua bandiera, la sfiducia nel sistema dei partiti e l'indignazione per le ruberie venute a galla con Tangentopoli.

Tale coagulo di umori populisti e contraddizioni sociali a metà anni Novanta ottenne il suo massimo di consensi anche in termini elettorali, ma a istanza di pochi anni il leghismo ha finito per perdere gran parte del seguito e della credibilità in conseguenza delle sue scelte governative.

Infatti dopo aver accantonato i propositi secessionisti - salvo poi agitarli quando serve per motivi interni od esterni - per abbracciare la causa della cosiddetta "devoluzione" spacciata come rivoluzione federalista, la Lega Nord non solo è diventata un partito parlamentare qualsiasi ma è entrata a far parte del governo italiano, i cui ministri giurano fedeltà a Roma davanti al tricolore, un governo presieduto da Berlusconi ossia l'incarnazione proprio di quel complotto a più teste (mondialismo, americanismo, massoneria, mafia, etc.) contro cui la Lega Nord sosteneva di volersi battere strenuamente.

Il tempo, ancora una volta, è stato galantuomo e ha dimostrato ai dubbiosi, anche a sinistra, la reale natura di destra della Lega Nord e l'orientamento visceralmente antiegualitario della sua base militante, tenuto assieme soprattutto attorno a campagne di odio e discriminazione razzista contro gli immigrati, i nomadi ed Ogni "diversità".

Da qui la centralità politica della Legge Bossi-Fini, fatta di espulsioni - campi di detenzione - tolleranza zero, quale paradigma autoritario e la valenza simbolica assunta da città come Treviso, amministrata da una giunta capeggiata da un personaggio quale Gentilini, dove nonostante gli elevati tenori di vita e un benessere economico diffuso si è fatto di tutto per seminare e nutrire una spietata intolleranza nei confronti degli "extracomunitari", anche se in regola con le leggi vigenti e assunti nelle ditte della zona, in nome della sicurezza ma anche di una presunta purezza della "razza Piave" da preservare ad ogni costo da "annacquamenti e inquinamenti" etnici.

Dalla decisione demenziale di rimuovere le panchine presso cui sostavano gli immigrati alla recente inumana odissea a cui sono state costrette le famiglie dei lavoratori magrebini sgomberati dalle case demolite di corso Venezia, la politica del sindaco-sceriffo si presenta come un continuo show, funzionale per offrire un "nemico" all'elettorato padano e venetista, collezionando vane denunce per istigazione all'odio razziale.

L'importante è che nessuno si interroghi sulle ragioni per le quali il lavoro e soldi hanno preso il posto del piacere di vivere e la bella città di Treviso, che nemmeno i manganelli delle squadracce fasciste riuscirono a piegare, appare sempre più desolatamente triste, asservita e senza memoria.

Anti



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