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Da "Umanità Nova" n. 30 del 22 settembre 2002

Biodisel a Johannesburg?
La distruttiva logica del profitto ad ogni costo

Mentre scrivo si sta svolgendo il vertice di Johannesburg (e intanto l'Europa si sta trasformando in un lago), questi eventi mi hanno fatto riflettere sulla questione ecologica e vorrei prendere a pretesto una recente disposizione della Commissione europea per buttare giù alcune veloci osservazioni; tale disposizione impedisce, di fatto, la vendita del biodisel[1], ciò è avvenuto nel più assoluto silenzio della stampa e non solo.

Il provvedimento ammette l'imposizione di una tassa minima solo se al carburante tradizionale è aggiunto il biodisel in quantità minime (al 5% come additivo o al 25% come combustibile per autotrazione di mezzi pubblici), in caso contrario (cioè percentuali sino al 100%, utili quindi all'impatto ambientale) la tassa sui carburanti deve essere pagata integralmente e renderebbe il biodisel in pratica non commerciabile per il costo estremamente alto che verrebbe ad assumere.

Qualche semplice ricerca ci permette di venire a conoscenza che già durante la seconda guerra mondiale si produceva carburante all'olio di colza. L'avanzamento nelle ricerche ha permesso di migliorare notevolmente il processo di trasformazione chimica e ottenere così un prodotto decisamente preferibile sul piano ecologico. Stando agli esperti ne derivano sottoprodotti come la glicerina e alcuni fertilizzanti che, adeguatamente depurati, sarebbero altrettanto commerciabili. Le stime, anch'esse facilmente reperibili in Rete, dicono, che "nel 1999 erano in esercizio in tutto il mondo circa 90 impianti biodiesel, che hanno prodotto circa 1,3 miliardi di litri".

Elenco alcuni dei vantaggi rintracciati sulle pubblicazioni che trattano di questo carburante:

- ha un bassissimo contenuto di zolfo (< 0,001%) dunque non contribuisce al fenomeno delle piogge acide.

- riduce le emissioni di polveri fino al 50%.

- non contiene benzolo o altri componenti cancerogeni.

- è altamente biodegradabile (99,6% dopo 21 giorni) e in caso di dispersione accidentale non inquina né suoli né acque.

- ha un ciclo chiuso di C02. La sua combustione nel motore produce un'emissione di C02 in quantità uguale a quella che le piante assorbono dall'aria nel loro processo di crescita.

Non possiamo soffermarci sui motivi per i quali un carburante quasi rivoluzionario non è praticamente sfruttato (oltre ad essere sconosciuto ai più) perché il discorso porterebbe troppo lontano.

La terra non è proprietà privata del Capitale

Ora, faccio alcune considerazioni. Molti compagni si chiedono a cosa serva mobilitare energie per faccende che interessano logiche di stile riformistico. Il ragionamento è: questa economia non ci riguarda deve essere distrutta a favore di un mondo tutto nuovo, a cosa serve battersi nel contesto di questo sistema e di questa economia?

Mi trovo d'accordo sul fatto che questo sistema non deve "funzionare meglio" ma deve essere sovvertito e occorre lottare perché ciò avvenga. C'è un punto, però, che ritengo non debba essere liquidato senza riflessione e dibattito. Il punto è - mentre aspettiamo questo sovvertimento non sarebbe meglio nel frattempo preservare il mondo in cui, volenti o nolenti, dobbiamo vivere dal totale disfacimento dell'ambiente che rende le nostre e le altrui vite sempre peggiori?

E questo non in base ad una logica utilitaristica, spero di vivere abbastanza a lungo per vedere la rivoluzione, ma almeno per il semplice motivo che la terra non è proprietà privata del Capitale e dopo di noi dovranno vivere i nostri figli e i figli dei nostri figli. Di motivi ne esistono tanti altri per esempio legati all'informazione o forse meglio dire alla controinformazione, ma non è di questo che intendo parlare.

I limiti della tecnica

Come dicevo la questione del biodisel è un pretesto, un fatto preso ad esempio, non isolato, per parlare di un problema più ampio, quello di impedire che la logica di accumulazione capitalistica porti alla morte totale. Vi sono alcuni convinti in buona fede che sia possibile, con qualche sforzo e un po' di buona volontà, sfamare gli oltre sei miliardi di abitanti del pianeta.

L'idea che le tecnologie, le scienze agrarie, le zootecniche ecc. giunte al punto in cui si trovano, possano risolvere il problema della fame intensificando sempre più la produzione agricola e sfruttando in modo esponenziale la terra possano produrre a sufficienza per sfamare l'intera umanità è un inganno.

Sono passati decenni dall'inizio della "rivoluzione verde" e addirittura oltre un secolo dagli studi di Von Liebig grazie al quale, si fa per dire, essa è stata possibile eppure la situazione in senso assoluto è addirittura peggiorata. Per portare un esempio:

"Il consumo di una famiglia africana media è più basso del 20% rispetto a 25 anni fa". Allo stesso modo, nell'Africa subsahariana, "il numero di persone sotto alimentate è più che raddoppiato, passando da 103 milioni a 215 milioni nel 1990"[2].

Analizzarne i vari aspetti anche soltanto in modo sommario richiederebbe troppo spazio. I motivi sono molteplici e si intrecciano sul piano politico, economico, ambientale ecc..

Ne cito qualcuno a puro titolo informativo.

Un gioco folle

Secondo la rivista Business Week, "nonostante i silos in India trabocchino, attualmente cinquemila bambini muoiono ogni giorno a causa della denutrizione in questo paese. Dato che i poveri non possono comperare quello che è prodotto, resta solo al governo immagazzinare milioni di tonnellate di alimenti"[3]

Le spese, che ogni anno la CEE deve sostenere per stoccare le eccedenze agricole sono notevoli, tanto che si cerca di ridurre la produzione con varie misure: set-aside, premio a chi ritira i seminativi dalla produzione; premio per l'imboschimento delle superfici agricole (...) obbligo di distillazione di ingenti quantitativi di vino (...) premio per l'abbattimento delle mucche da latte (...)[4]

A queste ragioni politico-economiche si dovrebbero aggiungere: diminuzione delle varietà genetiche, maggiore vulnerabilità nei confronti dei parassiti, erosione e sfruttamento del suolo sino a renderlo sterile, sfruttamento molte volte superfluo e inefficace delle risorse idriche; cui vanno aggiunti enormi problemi di ordine sociale nei paesi del terzo mondo, come l'asservimento del lavoro dei contadini alla produzione per l'esportazione ai paesi ricchi, esportazioni che peraltro riguardano pochi e particolari prodotti poco utili al consumo interno quindi diminuzione delle risorse necessarie per il fabbisogno proprio con la conseguente diminuzione di prodotti agricoli nutrienti destinati alle popolazioni locali; concentrazione dei terreni nelle mani di pochi latifondisti (l'uomo Delmonte) che sfruttano manodopera a basso costo e spopolano le campagne, creando masse di disperati in metropoli con milioni di persone ammucchiate senza speranza ai margini di questa inverosimile civiltà.

Si consideri inoltre, per citare ancora un esempio, l'effetto perverso dell'allevamento "intensivo" di animali da macello, che quotidianamente arricchisce inutilmente le nostre tavole (l'obesità è in aumento in tutti i paesi ricchi), esso esige una produzione di vegetali a monocoltura che contribuisce allo sfacelo appena accennato sul piano ambientale in assoluto, e sia alimentare che economico per i paesi sottosviluppati (ribadisco: monocoltura significa ulteriore depauperamento delle popolazioni povere).

Business is business

A conclusione vorrei tornare al lato più pratico dell'argomento, credo che la questione sia assimilabile a ciò che è avvenuto con il "terzo settore" o "cooperazione sociale" come la si voglia chiamare, fenomeno che è andato degenerando in un vero e proprio business. Il problema consiste esattamente in questo: l'idea che nel contesto del sistema capitalistico possa darsi un settore di attività "senza mercato" (per usare la locuzione di C. Offe).

Basta riflettere sul fatto che il primo settembre le multinazionali hanno organizzato il Business Day al Summit di Johannesburg per pubblicizzare le loro nuove iniziative sostenibili.

Alcune fonti ritengono che il business legato al biologico in Italia si aggiri sui 2000 miliardi di vecchie lire. Stanno già sorgendo organismi di controllo, certificazioni e quant'altro serva per far crescere il mercato che si deve basare su un'immagine di fiducia, professionalità e tutto ciò che sappiamo utile per stimolare la domanda. Le aziende che lavorano nel "biologico" sono ormai circa 50.000 oltre dieci volte tanto quelle che erano dieci anni fa, anche questo è ormai uno degli affaroni del secolo. Ma questo basta per neutralizzare la volontà di perseguire l'idea di un mondo più vivibile perché meno inquinato?

Non so se delle 50.000 attività attuali ve ne siano alcune svolte in un'ottica autogestionaria e alternativa, ma io personalmente spero di si.

Un'ultima cosa! "Sulle scatole del tonno sta scritto in bell'evidenza "Prodotto selezionato! Solo tonni dalle pinne gialle". Giusto: i tonni dalle pinne azzurre non si trovano più nemmeno a pagarli; quasi estinti, si sono rifugiati dove catturarli costa troppo" (Quel che resta del mondo AA.VV. Baldini&Castoldi).

Marco Paquola


Note

[1] Il Biodiesel è un carburante liquido derivante da prodotti agricoli a base di materie prime rigenerabili, è prodotto prevalentemente con olio di colza e di girasole, ma è possibile impiegare anche grassi animali, ritenuto biodegradabile e sicuro. Lo spazio a disposizione non mi permette di approfondire l'argomento, in Rete si possono trovare parecchie informazioni a riguardo e credo che il sito sia tra i più dettagliati.

[2] Il Sud verso la regressione di Dominique Vidal - Le Monde diplomatique ottobre 1998.

[3] Tratto da Biblioteca das Alternativas del Fórum Social Mundial 2001 www.forumsocialmundial.org.br. Testo pubblicato per la Envolverde, Brasile, Giugno 2000: www.envolverde.com.br, tratto dal sito http://www.macondo.it/Discorsi/RivVerde.htm

[4] Alcune problematiche. Miti dell'agricoltura industriale: tratto dal sito http://www.agricolturabiologica.com/problematiche1.html



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