Da "Umanità Nova" n. 31 del 29 settembre 2002
Comincia l'autunno
Sciopero generale il 18 ottobre
Lo sciopero generale del 18 ottobre è un classico esempio di evento
atteso ma non per questo banale.
Era, infatti, perfettamente chiaro che la CGIL, dopo le mobilitazioni di
primavera e il Patto per l'Italia fra governo e CISL-UIL, non avrebbe potuto,
se anche lo avesse voluto, non far nulla.
Era altrettanto chiaro che il sindacalismo alternativo, nel suo assieme, non
poteva che mantenere la mobilitazione e, in una situazione del genere,
scegliere la stessa data per lo sciopero.
Quello che è decisamente più importante e meno valutabile al
momento è come si regoleranno i lavoratori. Siamo di fronte, infatti, ad
una situazione nuova per molti versi.
Per parte mia, ritengo sia prematuro parlare di una rottura di medio periodo
(sul lungo periodo siamo tutti morti e non mette conto fare previsioni sulle
politiche dei diversi sindacati) fra CGIL da una parte e CISL-UIL dall'altra.
Alcune forzature del governo e le tensioni interne al padronato oltre che la
conduzione di vertenze di categoria potrebbero offrire spazi di ricomposizione
dell'unità del sindacalismo di stato.
Ma, sul breve periodo che pure qualcosa conta, siamo di fronte ad una rottura
fattuale e simbolica senza precedenti nei passati quattro decenni.
Una situazione del genere non può non avere delle ricadute fra i
lavoratori e si tratta di ricadute importanti. Nei fatti vi è una
spaccatura sindacale e politica che oppone "moderati" (nulla è
più ridicolo di un termine del genere quando indica la subordinazione
alla controparte") ad "estremisti" (ed anche in questo caso si tratta di una
sorta decisamente particolare di estremismo).
Una variabile importante, forse la più importante, è costituita
dalla politica governativa e padronale. Se qualcuno aveva sperato che il
governo avrebbe potuto e voluto comprare quote di consenso fra i lavoratori, le
prime anticipazioni sulla legge finanziaria dimostrano che una scelta del
genere non è stata fatta.
Quando si destinano 205 milioni di euro per i contratti della polizia e delle
forze armate e 560 per tutti gli altri pubblici dipendenti si lancia un
segnale in equivoco almeno per chi sappia fare i conti.
Se, sul piano economico, non vi è margine di mediazione, su quello
dell'occupazione il governo sembra aver deciso di sparare alcuni dei "fuochi di
artificio" che il cavalier Berlusconi ha promesso alcuni giorni addietro.
Solo nella scuola si prevedono 170.000 posti di lavoro in meno grazie ad un
assieme di misure assolutamente spaventose. È ragionevole supporre che
il governo sia già determinato a "concedere" qualche generosa riduzione
dei tagli previsti ma la misura dell'operazione la dice lunga sul clima
sociale.
Per parte sua, il padronato non è da meno ed è stato chiarissimo
nel ricordarci che non vi sono margini per aumenti contrattuali e che la
rottura del fronte sindacale non è, dal suo punto di vista, un
problema.
La FIOM, d'altro canto, ha recentemente scoperto che nelle piattaforme
sindacali si devono chiedere aumenti salariali reali.
Insomma, la materia per uno scontro sociale reale c'è tutta.
Tutto ciò mentre rullano i tamburi di guerra, mentre il capo del governo
ci ricorda, con il suo strano stile da intrattenitore, che non sarebbe
simpatico indisporre l'amico americano e che, se sarà necessario
compiacerlo, il contributo italiano all'ennesima guerra del golfo non
mancherà.
Insomma, e per ricapitolare, un governo debole ed arrogante, un padronato in
rotta di collisione con lo stesso governo che pure aveva sostenuto con fiducia,
un sindacato istituzionale spaccato come una mela, una situazione di crisi
internazionale manovrata dall'alto, l'aggravarsi delle tensioni sociali.
In questo quadro, la scelta dei sindacati di base di scioperare unitariamente
il 18 ottobre mi pare, oltre che necessitata, anche l'unica sensata. Scegliere
una data diversa per la mobilitazione sarebbe stato, infatti, un suicidio in
diretta oltre che il sintomo di un'incomprensione radicale delle ragioni e
della natura dell'attuale movimento di opposizione sociale.
La scelta di scioperare con la CGIL dal punto di vista della data pone, sarebbe
sciocco negarlo, problemi di chiarezza politica e sindacale.
Nei giorni passati non sono mancate iniziative da parte di settori del
sindacalismo alternativo che si sono rivolti alla CGIL simulando di credere
possibile un fronte unito "a sinistra". Si è trattato di operazioni
formalmente legittime ma sintomatiche dal punto di vista della chiarezza delle
posizioni e delle prospettive. La necessità di un diniego o, meglio, di
un silenzio da parte della CGIL per "legittimare" la scelta di costruire
scadenze di piazza indipendenti la dice lunga sulla situazione da questo punto
di vista.
D'altro canto, sarebbe ingeneroso negare che i dubbi se non sulla natura
perlomeno sulle potenzialità delle attuali scelte della CGIL
attraversano il corpo dei militanti del sindacalismo di base e che la questione
non si può liquidare con anatemi contro i "neofrontisti".
Il fatto, comunque, che il cartello del sindacalismo di base si mobiliti, per
l'essenziale, unitariamente è un bene in sé.
La scelta di puntare su manifestazioni regionali è, a mio avviso,
opportuna. Sarebbe stato, infatti, sbagliato lasciare le piazze alla CGIL.
Si tratta ora di lavorare, in primo luogo, per la riuscita dello sciopero,
perché si caratterizzi su di una piattaforma chiara, perché
funzioni da volano per la ripresa della conflittualità aziendale,
territoriale, categoriali.
Non sarà, ma ci siamo abituati, un lavoro di poco conto ma va colta come
occasione per un rilancio ed una ricollocazione sui problemi dell'oggi
dell'intervento libertario.
Segnali positivi di unità del movimento libertario su questo terreno vi
sono, si tratta di fare di questa unità una forza capace di incidere sul
terreno di classe.
Cosimo Scarinzi
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