Da "Umanità Nova" n. 32 del 6 ottobre 2002
Noam Chomsky: "gli americani e l'11 settembre"
Se scompare la palude non ci sono più zanzare
L'11 settembre ha portato con forza molti americani alla consapevolezza che
avrebbero dovuto essere più attenti a quello che il governo degli Stati
Uniti faceva nel resto del mondo e a come veniva percepito.
Sono stati aperti molti gruppi di discussione su argomenti che prima non erano
all'ordine del giorno: questo è tutto ciò che di buono gli
americani hanno imparato.
È anche semplice buon senso, se noi speriamo di ridurre la
probabilità delle future atrocità.
È molto confortevole per gli americani credere che i loro nemici "odiano
la nostra libertà", come dichiara il presidente Bush, ma è
veramente duro ignorare il mondo reale che dà lezioni differenti. Il
presidente non è il primo che si chiede: "Perché ci odiano"?
In una discussione di staff, 44 anni fa, il presidente Eisenhower, descrive "la
campagna di odio contro di noi (nel mondo arabo) non dei governi ma della
gente". Il suo Consiglio Nazionale per la Sicurezza sottolineò
l'argomento di fondo: gli Stati Uniti sostenevano governi corrotti ed
oppressivi e "si opponevano al progresso economico o politico" a causa dei loro
interessi sul controllo delle riserve petrolifere della regione.
Le analisi del dopo 11 settembre condotte nel mondo arabo rivelano oggi le
stesse ragioni di ieri, aggravate dal risentimento su politiche specifiche; la
stessa cosa è vera per i settori di quella regione privilegiati ed
occidentalizzati.
Per citare solo un recente esempio, nel numero del 1 agosto della Far Eastern
Economic Review, l'internazionalmente riconosciuto specialista della regione,
Ahmed Rashid, scrive che in Pakistan, "c'è una rabbia crescente nei
confronti degli USA che sostengono il regime militare di Musharraf, che rinvia
le promesse di democrazia".
Oggi gli americani non si fanno un buon servizio scegliendo di credere che "ci
odiano" e "odiano la nostra libertà". Al contrario, c'è gente che
ama gli americani ed ammira molto degli Stati Uniti, incluse le loro
libertà.
Quello che odiano è la politica ufficiale che nega a loro la
libertà a cui anch'essi aspirano.
Per queste ragioni, i discorsi di Osama Bin Laden successivi all'11 settembre,
per esempio sull'appoggio degli USA ai regimi corrotti e brutali o sulla
"invasione" americana dell'Arabia Saudita, hanno una certa risonanza anche tra
quelli che lo disprezzano e ne hanno paura.
Dal risentimento, dalla rabbia e dalla frustrazione le bande di terroristi
sperano di ricavare sostegno e reclute. Dobbiamo essere attenti al fatto che
gran parte del mondo ritiene Washington un regime terrorista.
Negli anni recenti gli USA hanno fatto o sostenuto azioni in Colombia,
Nicaragua, Panama, Sudan e Turchia, per dirne solo alcune, che rispondono alle
definizioni ufficiali di "terrorismo" - o almeno alle definizioni di terrorismo
che gli americani applicano ai loro nemici.
Nel sobrio giornale dell'élite, Foreign Affairs (Affari Esteri) Samuel
Huntington scrive nel 1999: "Mentre gli Stati Uniti denunciano regolarmente
molti paesi come `stati canaglia', agli occhi di molte nazioni sono loro stessi
che stanno diventando il super potere canaglia... la più grande
minaccia esterna alle loro società."
Queste percezioni non sono state cambiate dal fatto che l'11 settembre, per la
prima volta, un paese occidentale è stato oggetto sul suo territorio di
un orrendo attacco terrorista di un tipo troppo familiare alle vittime del
potere occidentale.
L'attacco è andato molto oltre a quello che qualche volta è stato
chiamato "retail terror" dell'IRA o delle Brigate Rosse.
L'attacco dell'11 settembre ha suscitato dure condanne attraverso il mondo e
una spontanea simpatia per le vittime innocentti ma non senza riserve.
Un sondaggio internazionale della Gallup alla fine di settembre ha visto un
basso appoggio a "un attacco militare" da parte degli Usa in Afganistan.
In America Latina, la regione con più esperienza rispetto all'intervento
americano, l'appoggio andava dal 2% del Messico fino al 16% a Panama.
L'attuale "campagna di odio" nel mondo arabo è certamente fomentata
dalla politica USA nei confronti della Palestina e dell'Iraq. Gli Stati Uniti
hanno fornito un appoggio sostanziale e cruciale alla dura occupazione militare
di Israele, che è arrivata oggi al trentacinquesimo anno.
Una strada per gli USA per diminuire la tensione tra Israele e la Palestina
potrebbe essere la fine del rifiuto di unirsi al consenso internazionale che
chiede il riconoscimento del diritto di tutti gli stati della regione di vivere
in pace e sicurezza, con l'inclusione di uno stato palestinese nei territori
oggi occupati (forse con più piccoli e concordati aggiustamenti di
confine).
In Iraq una decade di dure sanzioni sotto la pressione americana ha rinforzato
Saddam nel momento in cui portava alla morte centinaia di migliaia di iracheni,
forse più gente di quella portati alla morte dalle cosiddette armi di
distruzione di massa attraverso la storia, come scrivono gli analisti militari
John e Karl Mueller in Foreign Affairs nel 1999.
Le attuali giustificazioni di Washington per attaccare l'Iraq hanno molta meno
credibilità del benvenuto che il presidente Bush numero 1 aveva dato a
Saddam come alleato e partner commerciale dopo che il leader iracheno aveva
commesso le sue atrocità peggiori, come in Halabja, dove l'Iraq
attaccò i curdi con i gas velenosi nel 1988. A quel tempo, l'assassino
Saddam era più pericoloso di oggi.
Per l'attacco americano contro l'Iraq nessuno, incluso il segretario alla
difesa, Donal Rumsfeld può realisticamente predire i costi e le
conseguenze possibili.
L'ala estremista degli islamici radicali sicuramente spera in un attacco
all'Iraq in cui moltissimi siano uccisi e gran parte del paese venga distrutto,
in modo da ottenere molte reclute per le loro azioni terroristiche.
E gli stessi presumibilmente danno un sostegno entusiasta alla "dottrina Bush"
che proclama il diritto di attacco contro potenziali nemici, che è
virtualmente senza limiti. Il presidente ha dichiarato che "non si può
dire quante guerre sarà necessario fare per assicurare la libertà
nel nostro paese". Questo è vero: i nemici sono ovunque, anche a casa.
La prescrizione per una guerra senza fine crea per gli americani rischi
peggiori di quelli dei nemici attuali, per ragioni che le organizzazioni
terroriste capiscono molto bene.
Vent'anni fa, il capo del servizio segreto militare israeliano Yeahoshapat
Harkabi, che era anche un apprezzato arabista, fece una dichiarazione tutt'oggi
vera: "Offrire un'onorevole soluzione ai palestinesi, rispettando il loro
diritto all'autodeterminazione è la soluzione del problema del
terrorismo". E ancora "Quando la palude scompare non ci sono più
zanzare".
A quel tempo Israele godeva di una virtuale immunità dalla vendetta nei
territori occupati che è durata fino a poco tempo fa. Ma l'avvertimento
di Harkabi era corretto e la lezione si può applicare anche più
in generale.
Ben prima dell'11 settembre si era compreso che, con la tecnologia moderna, i
ricchi ed i potenti potevano perdere il loro quasi monopolio della violenza ed
avrebbero potuto aspettarsi delle atrocità sul suolo di casa.
Se l'America insiste nel creare ancora paludi ci saranno ancora più
zanzare con ancora più capacità di distruzione.
Se l'America utilizza le sue risorse per asciugare le paludi, tagliando alle
radici "la campagna dell'odio", non solo si potranno ridurre i nemici da
affrontare ma anche vivere gli ideali che dichiarano e che non sarebbero
irraggiungibili se gli americani li prendessero sul serio.
Noam Chomsky, trad. di DDT
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