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Da "Umanità Nova" n. 32 del 6 ottobre 2002

La situazione dei lavoratori in Polonia
Crisi e lotte sociali

Crisi e lotte sociali

Nel corso degli ultimi anni la situazione dei lavoratori polacchi è andata peggiorando di molto, a causa della recessione economica. Le paghe sono state tagliate e i lavoratori sono obbligati a condizioni peggiori, col ricatto: o accettano quanto imposto dai padroni o perdono il lavoro. I datori di lavoro giustificano ciò col fatto che anch'essi si devono adattare alle condizioni del libero mercato per cui l'efficienza, del resto già abbastanza elevata, è stata aumentata. Dicono anche che vi sono molti lavoratori disposti a sostituire gli scontenti.

Alcune ditte che fino a tempi recenti erano decisamente prospere sono state condotte alla bancarotta. Queste sono alcune delle cause:

- I proprietari pensano soltanto a profitti rapidi, il che spesso non funziona.

- Le compagnie sono rilevate da grosse corporazioni multinazionali che subentrano nel mercato dei consumi e nei marchi dei prodotti. In seguito queste compagnie sono costrette al fallimento per eliminare la competizione e la produzione viene trasferita all'estero. Un esempio ne è la Laziska Acciai (sola produttrice di leghe ferrose in Polonia e al secondo posto per grandezza nel mondo). L'acciaieria faceva parte di una holding assieme ad un impianto di produzione dell'energia. Dopo la privatizzazione della holding, la parte che controllava la produzione di energia venne comperata dal maggior concorrente nel settore acciaio: una compagnia svedese. Da allora il prezzo dell'elettricità è drammaticamente aumentato. (La Laziska di Huta consuma l'1% dell'intero consumo energetico polacco.) Le acciaierie hanno cominciato ad andare in perdita, e soltanto grazie alle proteste dei lavoratori è stato possibile costringere i produttori di energia ad abbassare le tariffe.

- È un continuo adattarsi dell'economia polacca agli standard dell'Unione Europea. Ne è risultato che molte industrie in precedenza prospere si trovano sull'orlo del fallimento.

All'inizio del 2002, un'ondata di proteste ha scosso la Polonia: la maggiore negli ultimi 10 anni. C'erano picchetti, manifestazioni e scioperi. Una delle lotte più note è l'occupazione di una fabbrica di cavi a Ozarow. I lavoratori stanno protestando contro la liquidazione di questa fabbrica, anch'essa prospera, che è stata comprata da un concorrente. Un tema ricorrente è quello dei minatori che si oppongono ai piani governativi di ristrutturazione dell'industria estrattiva, i quali condurrebbero alla chiusura di diverse miniere con la perdita di migliaia di posti di lavoro. Un altro progetto governativo contro cui stanno dimostrando i minatori è l'introduzione della settimana lavorativa di sei giorni e maggiori standard di efficienza. Anche i lavoratori della Daewood Motor Polonia sono stati messi in strada dalla crisi e successiva liquidazione della ditta. Nel prossimo futuro sono attese proteste dei pescatori che temono la perdita del posto di lavoro, e ciò avverrà quando la Polonia avrà accesso all'Unione Europea.

Questi sono soltanto alcuni dei settori "caldi" nel paese. Quasi ogni giorno i media informano di scioperi e manifestazioni, che però ben di rado si concludono con una vittoria operaia. Spesso i lavoratori di piccole fabbriche scendono in lotta ma nessuno bada a loro: non sono abbastanza forti per lottare. Nelle fabbriche più grandi i lavoratori talvolta riescono ad organizzarsi per la difesa, ma il problema è che sono isolati, non possono contare sulla solidarietà. Quando una lotta è finita, non succede più nulla: non vi sono scioperi di solidarietà e neppure i lavoratori di una stessa industria talvolta solidarizzano. L'industria tessile lotta separatamente anche se molti dei suoi problemi sono simili a quelli dei minatori, o dei cantieri o delle acciaierie. Quando i Cantieri di Gdynia scioperavano, quelli di Stettino non hanno fatto nulla, e addirittura qualcuno era contento delle difficoltà della ditta rivale. Poi lo sciopero di Gdynia è stato giudicato illegale, e i capi degli scioperanti licenziati. Pensiamo che, fra l'altro, siano da biasimare i sindacati riformisti (Solidarnosc, OPZZ e altri); nel corso degli anni i lavoratori si sono abituati a delegarli. Ora sono divenute strutture ausiliarie dei partiti politici e quanti lottano per i diritti dei lavoratori sono attaccati sia dai padroni che dalle centrali sindacali.

Per anni la società ha riposto molte speranze in Solidarnosc ma sono state sepolte con la caduta del comunismo. Tutti gli ideali che rappresentava sono stati traditi ed ora sono davvero in pochi in Polonia a credere in qualsiasi movimento sociale. Ai nostri giorni la gente spera che il capitalismo possa essere riformato, che una cosa come il capitalismo dal volto umano possa esistere e che il loro standard di vita possa essere migliorato. Ciò va di pari con la frammentazione e l'assenza di spirito di solidarietà. Il capitalismo ha indotto i lavoratori polacchi a competere e combattersi l'un l'altro. Anche negli stessi Cantieri di Stettino prima della crisi i lavoratori dei diversi turni avevano finito col competere su chi avrebbe realizzato una maggior porzione di progetto, il che ha condotto ad un aumento normato del lavoro giornaliero ed una riduzione delle paghe.

Secondo i dirigenti politici ed economici, il nostro paese è ancora in mezzo ad un percorso di transizione nel quale deve adattarsi all'economia dei paesi capitalisti. Ciò significa che i sussidi sociali sono stati tagliati, la disoccupazione è salita al 19%, la sanità versa in condizioni tragiche, la burocrazia è aumentata, ecc. Tutti questi fattori conducono alla crescita dell'insoddisfazione sociale mentre la classe lavoratrice ha perso la speranza che questo sistema possa essere riformato ma non vi è altra prospettiva.

Come anarcosindacalisti, noi cerchiamo di esser presenti ovunque vi è una lotta politica o sociale per far conoscere il nostro progetto di società senza stato e senza classi. Organizziamo manifestazioni, pubblichiamo e distribuiamo materiali e prendiamo parte alle proteste sindacali, presentando l'azione diretta come la più efficace forma di lotta. In tutto il paese vi sono gruppi di persone collegate con l'anarcosindacalismo che diffondono le idee dell'autogestione ovunque possibile.

La situazione nei Cantieri di Stettino

Negli ultimi mesi si è sentito molto parlare della cantieristica ed effettivamente il crollo dei Cantieri di Stettino ha mandato in crisi l'intera regione.

Fino a poco tempo fa era uno dei principali poli mondiali, produceva oltre 20 navi all'anno ed era presentato come un esempio della privatizzazione in Polonia. Nel 1999 le navi uscite erano 22, più o meno come negli anni precedenti, i lavoratori godevano di una situazione decente per gli standard del paese: i salari e le condizioni di lavoro erano mediamente buone. Nessuno avrebbe mai pensato che i Cantieri potessero far bancarotta.

Un gruppo di imprenditori ha però fatto in modo di trasferire il capitale dei Cantieri ad altre ditte mediante speculazioni finanziarie, lasciandoli in rovina. I nuovi proprietari avevano formato un Gruppo Industriale, in relazione con l'élite al potere, e l'ex presidente della Città di Stettino era con loro. Si cominciò dicendo che i Cantieri dovevano essere condotti fuori dalla crisi causata dai cambiamenti introdotti nell'economia polacca con il crollo del sistema comunista nel 1989. All'inizio i Cantieri hanno funzionato normalmente ma, come si sarebbe saputo poi, i nuovi padroni intendevano servirsene per le proprie speculazioni finanziarie. Cominciarono col dividere quella che era un'unica ditta in una dozzina di ditte minori, che ne ereditarono il capitale. In questo modo i Cantieri non avrebbero avuto risorse economiche ma si sarebbero limitati ad impiegare quelle prodotte dalle varie ditte. Ciò comportò che si cominciò a pagare per servizi che prima erano interni, i costi salirono con tutti questi movimenti - bel risultato della privatizzazione! - e ne soffrì l'insieme della produzione. Inoltre alcuni contratti sbagliati e dei tempi di consegna troppo a breve scadenza per la struttura comportarono gigantesche penali di diverse migliaia di dollari, causate dai ritardi. Una serie di errori comunque sempre tenuti nascosti fino al novembre 2001, quando non vi furono fondi per pagare i salari agli operai, né per consentire che le produzioni in corso potessero essere ultimate. I padroni dissero che si trattava di un momento difficile ma temporaneo, che presto sarebbe stato risolto. Dentro di sé la gente capiva che qualcosa non andava, ma i media restavano zitti, i sindacati sostenevano di aver la situazione sotto controllo, e i lavoratori ne sono rimasti convinti, mentre le istituzioni dello Stato se ne tenevano fuori.

Nel gennaio 2002 i lavoratori dissero "basta!": non avevano ricevuto la paga da tre mesi. Un'assemblea spontanea si formò ma i sindacati si rifiutarono di sostenerla: erano dalla stessa parte dei padroni, ed alcuni burocrati erano anche nell'organismo di sorveglianza dell'impresa. In quest'occasione i lavoratori richiesero l'immediato pagamento dei salari arretrati e la presentazione di un programma di salvataggio del cantiere. Vennero anche richieste ai padroni le giustificazioni per una tale situazione ed andò a finire che vari oggetti furono lanciati al tavolo ed il presidente del sindacato quasi linciato. Ne risultò un prestito in banca da riscuotere in una settimana, e tutto sembrò rientrare nella normalità. Poco dopo però i lavoratori vennero avvertiti che avrebbero dovuto prendersi quindici giorni di "vacanza" motivando col fatto che non vi erano abbastanza soldi per mantenere la produzione e le banche non erano disposte a concedere altri prestiti. Si venne anche a sapere che un prestito, ottenuto per avviare a produzione altre navi, era stato utilizzato per distribuire i dividendi agli azionisti. Tornando al lavoro, dopo due settimane, venne detto che si stava ancora negoziando con le banche ed una parte dei lavoratori venne rinviata in "ferie". Durante questo periodo si passò dai 12.000 occupati a un migliaio, ed un mese dopo le cose andavano ancora peggio. Anche i mille rimasero senza lavoro ma chiesero di venir pagati per i tre mesi arretrati, minacciando un'occupazione. Dopo vari negoziati questi mille vennero accontentati e si ritirarono dalla lotta, ma la produzione non riprese.

A questo punto i lavoratori cominciarono a preoccuparsi per il posto di lavoro e si misero ad organizzare assemblee e manifestazioni. La protesta sociale stava montando e i dirigenti cittadini erano preoccupati che si potesse espandere ad altre fabbriche. In maggio le assemblee si tennero più volte la settimana, organizzate dai lavoratori senza alcun appoggio sindacale ed erano particolarmente temute, perché nessuno le controllava. In una venne nominato un Comitato di Protesta, che servì un po' da valvola di sfogo. Mentre all'inizio tutto sembrava spontaneo, man mano che il tempo passava però anche quest'organismo si chiuse alle voci dei semplici lavoratori, cominciò a negoziare con i padroni e col governo invece di dedicarsi a coordinare l'azione diretta. Ai lavoratori veniva detto di attendere il risultato delle trattative, ma non ve ne furono, mentre le iniziative dei giovani venivano soffocate. Ad un certo punto anche l'assemblea cominciò ad essere disertata, visto che non sortiva altro che promesse, e cominciarono le proteste in strada e i blocchi. Ma non durò a lungo: il Comitato di Protesta cominciò a collaborare con la polizia in modo che le manifestazioni venissero annunciate in anticipo e misure per il traffico potessero esser prese. Soltanto una volta i lavoratori riuscirono a scavalcare il Comitato e arrivare con la loro protesta proprio in centro città, ove vi furono degli scontri. La polizia venne respinta ma ne seguirono delle polemiche nelle quali il Comitato accusava i lavoratori di essersi lasciati strumentalizzare dai "provocatori". Da allora l'opera del Comitato è stata soltanto quella di chiedere e riuscire a mantenere calmi i lavoratori, mentre i cittadini che volevano solidarizzare - fra i quali anche gli anarchici - venivano o respinti come potenziali provocatori o allontanati dalla polizia. I lavoratori sono finiti in una specie di paranoia che ne ha causato il totale isolamento.

Ora una piccola parte ha ripreso il lavoro nei nuovi cantieri, con peggiori condizioni di lavoro, mentre tutti quelli che sono riusciti hanno trovato altre occupazioni. Quella che sarebbe potuta diventare una lotta emblematica per la Polonia al contrario è risultata vincente per le forze padronali, della disgregazione, della repressione e del controllo sociale.

Iniziativa dei Lavoratori della Federazione Anarchica

(tratto dal sito www.workers-initiative.poland.prv.pl  - trad. A. Enne)



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