Da "Umanità Nova" n. 33 del 13 ottobre 2002
Verso lo sciopero generale
Piegare il padronato ed il governo: il 18 è solo la prima, importante, tappa
Il leader degli industriali, Antonio D'Amato, ricevuto in serata da Berlusconi
dopo il giudizio negativo dato sulla finanziaria, chiede "da un lato di
riqualificare la spesa corrente e dall'altro di intervenire su pensioni e
sanità che sono i nodi fondamentali". Il no dei sindacati a toccare le
pensioni è perentorio. Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani imputa
a Berlusconi di dire "ogni giorno una verità diversa" visto che per la
riforma delle pensioni "ieri doveva pensarci l'Europa, oggi è
ineludibile, domani chissà cos'altro". Il numero uno della Cisl Savino
Pezzotta chiude la porta a qualsiasi modifica del sistema previdenziale: "La
riforma delle pensioni è stata già fatta, non ci sono spazi per
ulteriori interventi". Sono possibili soltanto "razionalizzazioni" ovvero
"incentivi a restare a lavorare pur avendo raggiunto l'età
pensionabile", ma non è accettata da Pezzotta alcuna discussione tesa a
"cambiare il modello". "Non c'è nulla da discutere nel senso che non
c'è nulla da cambiare" avverte il segretario della Uil Luigi Angeletti.
E se il governo insiste nel puntare a una riforma? "Se insiste noi non siamo
d'accordo e gli consigliamo di non insistere" afferma Angeletti.
La Stampa, 4 ottobre 2002
"È una manovra economica regressiva e populista, che conferma l'assoluta
necessità di una protesta durissima con lo sciopero generale proclamato
per il 18 ottobre, che assume ora il significato di uno sciopero per l'Italia".
Così Guglielmo Epifani, leader della Cgil, alza il tiro contro la
finanziaria varata dal governo.
La Stampa, 4 ottobre 2002
Mentre si avvicina lo sciopero generale del 18 ottobre il capo del governo, con
il suo classico stile, diciamo così, ondivago, rilancia sulla questione
della riforma pensionistica. È, infatti, sin troppo noto che un taglio
secco delle pensioni è l'obiettivo che più interessa il padronato
e per evidenti motivi.
Per un verso, infatti, si tratta di spostare un'ulteriore e massiccia quota di
risorse dai salari ai profitti mediante l'intermediazione dello stato, per
l'altro di dare l'avvio all'affare del terzo millennio e cioè al lancio
alla grande dei fondi pensione privati.
Cosa vogliano dire i fondi pensione lo sanno sin troppo bene i quattro quinti
dei lavoratori statunitensi che vedono massacrata la loro pensione grazie al
fatto che i loro soldi, gestiti dai fondi pensione, sono seccamente
taglieggiati dall'andamento della borsa e rischiamo di saperlo presto anche
noi.
Che il padronato dimostri oggi una sorta di indifferenza per lo sciopero
generale al punto di chiedere di mettere in moto una "riforma" profondamente
impopolare come quella della quale andiamo ragionando deve farci riflettere.
Non stupisce nemmeno che il governo preferisca evitare di assumersi questo
compito, nel 1994 il primo governo di centro destra è caduto proprio su
questo terreno e il padronato, che anche allora premeva in questo senso, lo ha
lasciato serenamente cadere per, poi, ottenere dal governo di sinistra
l'essenziale di quanto chiedeva.
Il cavaliere azzurro sembra sperare che le autorità europee lo levino
dai pasticci "imponendogli" la riforma previdenziale che la sua maggioranza
parlamentare dimostra di apprezzare poco. Una questione di stile, si potrebbe
rilevare.
Un'altra considerazione merita di essere fatta, può darsi che il
padronato faccia della pretattica per depotenziare lo sciopero del 18 ottobre,
per farlo percepire come un vuoto rituale. Può darsi che non ne abbia
effettivamente paura.
In ogni caso, è evidente che non gli abbiamo fatto abbastanza male.
Abbiamo già rilevato su queste pagine che una giornata di sciopero
generale è importante ma che il problema è la sua effettiva
natura sociale.
Se è un momento catartico, un'occasione di sfogo per la parte più
combattiva dei lavoratori dipendenti rischia, infatti, di servire a poco. Dopo
aver riempito le piazze si torna in fabbrica, negli uffici, nelle scuole e la
macchina sociale si riavvia. Per certi versi, serve persino a far correre di
più il sangue, a rilassarsi, a sopportare meglio una situazione sempre
più intollerabile.
Se, invece, lo sciopero generale è un momento di ricomposizione di un
fronte di classe più radicato sui posti di lavoro e più ampio,
allora svolge un ruolo straordinario.
In altri termini, lo sciopero deve servire a tessere una fitta trama sui luoghi
di lavoro, a coordinare l'azione dei lavoratori del pubblico impiego e delle
grandi imprese con quelli delle piccole imprese e dell'economia sommersa, con
coloro che hanno un contratto di lavoro atipico, con gli immigrati, con i
precari.
Si tratta di un passaggio politico e sindacale strategico.
Ancora una volta, con la testardaggine che ci contraddistingue ci domandiamo e
domandiamo se può essere la CGIL la forza sindacale capace e determinata
a compiere questo passaggio. E ci rispondono, con la secchezza ce li
contraddistingue, i fatti, quei fatti che non si curano delle fantasie dei
supporter di Sergio Cofferati di destra o di sinistra che siano.
Il contratto della COIN, l'ultimo, a quanto ne sappiamo, firmato dalla CGIL
assieme, questo va da sé, a CISL e a UIL riduce i diritti, prolunga
l'apprendistato, precarizza la forza lavoro. Lo afferma a chiare lettere la
stessa sinistra CGIL che si guarda bene dal trarre da questi fatti le
necessarie conseguenze.
Se, dunque, la CGIL resta quello che è e se la sua "combattività"
la porta ad uno "sciopero per l'Italia" si pone con ancora più forza la
necessità dello sviluppo di un sindacalismo di base ed indipendente dai
padroni, dai partiti e dallo stato.
Il fatto che lo sciopero del 18 veda l'unità del sindacalismo
alternativo, la scelta di piazze diverse da quelle della CGIL, la
centralità dell'opposizione alla guerra militare ed alla guerra interna
contro i lavoratori, la rivendicazione di una chiara piattaforma
anticoncertativa sono elementi che ci fanno ben sperare.
Si tratta, infatti, di una scelta non facile. Oggi la capacità di
attrazione della CGIL è straordinaria, autonomi e postautonomi, centri
sociali e no global corrono come topolini amorosi al richiamo del grande
pifferaio cigiellino. Nello stesso sindacalismo alternativo i dubbi, la
tentazione del "torna a casa Lassie", le pressioni di partito sono forti.
Una battaglia politica l'abbiamo vinta ma non è che la prima e non
è la più difficile.
La riuscita delle manifestazioni del 18 ottobre ed, al loro interno, la
presenza di una visibile, corposa, vivace componente libertaria è un
secondo, importante, passaggio.
A mio avviso, però, la vera questione è quella alla quale facevo
riferimento e cioè la capacità di sviluppare un livello di
iniziativa che sappia piegare il padronato ed il governo.
Si tratta di immaginare una campagna sul salario, sulle condizioni di lavoro,
sull'unità fra lavoratori e di tenerla per il tempo necessario. Si
tratta di pensare a pratiche di lotta che sappiano spezzare le gabbie
categoriali, che sappiano fermare il ciclo della produzione sociale nei suoi
punti deboli. E se queste pratiche devono svilupparsi, è necessaria
un'informazione precisa, una rete di contatti e di luoghi di confronto adeguata
al livello dello scontro del quale ragioniamo.
La stessa forma sindacato va ripensata non per buttare a mare il patrimonio di
esperienze sin qui accumulato ma per verificare percorsi innovativi dei quali
sentiamo l'urgenza.
Su di un altro fronte, la battaglia, in senso alto, culturale è sempre
più necessaria. Basta pensare alla guerra, alle produzioni di morte, al
degrado della vita quotidiana per coglierne la necessità.
Si tratta, infine, di tenere uniti i vari livelli con uno sforzo di passione e
di intelligenza che sempre è necessario ma che oggi è
ineludibile.
Hic Rhodus, hic salta
Cosimo Scarinzi
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