Da "Umanità Nova" n. 33 del 13 ottobre 2002
Cimiteri industriali
Torino: il caso Flexider
L'industria metalmeccanica torinese prosegue il cammino di degrado che ha
intrapreso a fasi alterne ormai da molti anni agonizzando sulla pelle dei
lavoratori a colpi di fallimenti e dismissioni, vicende emblematiche che spesso
avvengono nel silenzio generale e che meritano di essere raccontate
perché credo ben rappresentino le sciagure del capitalismo produttivo
attuale.
Rambaudi, Flexider, NewBox, Ficomirrors, Nebiolo sono solo alcune delle aziende
che nel corso dell'anno sono entrate a far parte del cimitero industriale
torinese che evidentemente non è solo targato Fiat. Ripercorrerne le
vicende è doveroso per non contribuire ad alimentare la coltre di oblio
che avvolge tutti coloro che sono finiti ai margini della società-lavoro
che quotidianamente subiamo.
Raccontiamo quindi la triste vicenda dei lavoratori della Flexider, azienda
presente da circa 40 anni sul mercato mondiale con un sito produttivo a Torino
che impiegava sino al giugno di quest'anno circa 300 dipendenti addetti in
parte alla produzione in serie di particolari per l'industria automobilistica
ed in parte alla produzione su commessa di componenti per impianti
petrolchimici.
La società fu fondata dalla famiglia De Benedetti (si, proprio quella il
cui pargoletto Carlo ha fatto non pochi disastri) e nel corso degli anni
ottanta è diventata parte del gruppo Gilardini-Fiat, per poi essere
acquisita definitivamente negli anni novanta dalla multinazionale statunitense
Anamet, che tra l'altro a quanto pare diede appoggio economico a gruppi
paramilitari golpisti nel Cile di Pinochet. Sostanzialmente però la
Flexider dal punto di vista produttivo risultava un'azienda forte e competitiva
sul mercato ed i lavoratori non avevano mai vissuto particolari situazioni di
crisi. Gli operai se la passavano tutto sommato bene in officina e vivevano i
cambi di proprietà nel corso degli anni con relativo distacco, visto che
il giocattolo funzionava bene ed i padroni si passavano di mano evidentemente
una miniera d'oro.
Il giocattolo si è però improvvisamente rotto nell'agosto dello
scorso anno con l'improvvisa comparsa di un deficit di bilancio pari a circa 80
miliardi di lire! La miniera d'oro si è trasformata in un pozzo di
disperazione ed ansie per i lavoratori: al ritorno dalle ferie l'azienda
risulta sull'orlo del fallimento ed il tribunale di Torino ne affida la
gestione in amministrazione controllata ad un suo consulente appositamente
giunto da Roma, che in tempi sorprendentemente record decreta la
sanabilità della situazione dopo una cura rigorosa.
La cura comportava solo qualche trascurabile effetto collaterale ovviamente e
cioè il taglio praticamente di un terzo della forza lavoro al termine
della crisi, necessario come di consueto di questi tempi alla razionalizzazione
dei costi con lo snellimento degli organici. Con questa cura la Flexider
è messa in vendita e ovviamente risulta per i possibili nuovi padroni
molto più appetibile, con lo spettro del fallimento i lavoratori si
trovano sotto ricatto ed intanto si sorbiscono un bel ciclo di cassa
integrazione applicata con passione da capi e capetti che dimenticate le buone
maniere dei tempi d'oro e richiamati all'ordine dalla direzione si ricordano di
essere prima di tutto dei cagnetti da guardia, potendo pure togliersi qualche
sassolino dalle scarpe verso operai storicamente fastidiosi.
La conclusione della vicenda è giunta a luglio di quest'anno con la
vendita della società al gruppo statunitense Vesper: ben 80 lavoratori
sono stati sostanzialmente licenziati con lo zuccherino della cassa
integrazione per 12 mesi e la nuova proprietà ha avuto pieni poteri
nella scelta del numero e del nominativo dei lavoratori da salvare, infatti in
condizioni di fallimento la legislazione relativa all'amministrazione
straordinaria indica quale prioritario il proseguimento dell'attività
produttiva attribuendo mano libera ai nuovi acquirenti, che non hanno obblighi
di tutela sociale verso i lavoratori (carichi famigliari, anzianità di
servizio, etc.)
In sostanza tra gli 80 lavoratori in esubero la Nuova Flexider ha potuto fare
piazza pulita di invalidi, operai scomodi, anziani con paghe alte e la
direzione aziendale non ha subito alcuna conseguenza: lo staff dirigenziale
è rimasto al proprio posto o addirittura ha migliorato la propria
posizione professionale.
Quasi un premio per il lavoro svolto si direbbe! Forse non facciamo fantasiose
allusioni: il declino industriale della Flexider è stato programmato con
saggezza ed eseguito con meticolosa precisione. Abbandono di commesse,
esternalizzazione di parti del processo produttivo, organizzazione aziendale
carente ed inspiegabile abbandono della promozione commerciale sono alcuni
aspetti di un lento percorso di autodistruzione che sarebbe ingenuo ritenere
frutto dell'incompetenza dirigenziale, sappiamo che quando vogliono i
capitalisti fanno bene il proprio mestiere.
Probabilmente nel caso della Flexider fare bene il proprio mestiere per la
dirigenza significava creare un quadro oggettivo di crisi aziendale per poi
provvidenzialmente ricorrere agli strumenti legislativi che permettevano la
massima libertà di azione.
I lavoratori non sono riusciti collettivamente ad opporre forme di resistenza
contro la direzione aziendale né tanto meno di pressione su un consiglio
di fabbrica a maggioranza Fiom che non ha voluto sganciarsi dalla prassi
consueta alla Cgil di disponibilità al taglio degli organici quale male
minore.
Dinanzi all'inconsistenza degli apparati sindacali ha avuto buon gioco la
classica strategia padronale di divisione della forza lavoro ed anche i pochi
lavoratori disponibili alla mobilitazione sono rimasti divisi e disorientati.
La diligente funzionaria Fiom ha dimostrato però di non essere proprio
al passo con i tempi mantenendo un atteggiamento addirittura troppo morbido
rispetto alle ultime posizioni della sua organizzazione, sappiamo infatti
quanto la Fiom abbia riscoperto la lotta negli ultimi tempi anche se deve
ancora restituire la "coscienza di sé" dei lavoratori che ha contribuito
ad erodere.
Ahimè passati i tempi delle teorie tanto sostenute sulla fine del lavoro
e la collaborazione tra tute blu e padroni occorre ricordare, come nel caso
della Flexider, l'amara realtà della condizione dei lavoratori,
sganciandosi dagli attuali bizzarri cambi d'immagine della Cgil.
victor
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