unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 34 del 20 ottobre 2002

Il corporativismo democratico della CGIL
La passione concertativa: metti un posto a tavola

La scelta del sindacalismo di base di dare vita a cortei indipendenti in occasione dello sciopero del 18 ottobre ha sollevato dubbi e suscitato discussioni nell'area dell'opposizione sociale.

Può, di conseguenza, valere la pena di affrontare la questione bon tanto dal punto di vista "tattico" quanto da quello delle prospettive di medio periodo.

È, fra l'altro, noto che, sia per la pressione crescente dei partiti di riferimento che per le contraddizioni interne alla pratica attuale della CGIL, il dialogo fra CISL e CGIL sta riprendendo e che, fatto salvo che il futuro riposa sulle ginocchia degli dei, è probabile che a breve l'"unità sindacale" sarà restaurata.

Da quando è andata al governo la destra consistenti settori dell'opposizione sociale o, se si preferisce, del movimento, simili a topolini amorosi, hanno cominciato ad individuare nella grande CGIL il loro principale riferimento politico ed organizzativo.

Si tratta di una deriva abbastanza facile da spiegare: di fronte al governo della destra è sentita come necessaria la massima unità possibile e questa unità si fa intorno alla principale organizzazione, per storia e per consistenza, del movimento dei lavoratori senza nemmeno curarsi più che tanto della pratica, delle proposte, del progetto di questa stessa organizzazione.

Un po' di pressione da parte dei media della sinistra istituzionale, per un verso, e gli stessi volgari e scomposti attacchi della destra alla CGIL rafforzano questa tendenza e sembrano renderla naturale e indiscutibile.

Questo innamoramento è favorito, fra l'altro, sia dalla presenza di una componente di sinistra sindacale per la gran parte coincidente con il PRC che da un moto della grande FIOM che sarebbe, secondo gli apologeti della CGIL, un sindacato caratterizzato da una natura sociale sostanzialmente diversa rispetto alla confederazione alla quale appartiene.

Riteniamo, però, valga la pena di ricordare sommessamente alcuni fatti che, come capita per i fatti, hanno la testa dura e non si lasciano evacuare dall'attuale clima di festante affratellamento sotto le ali della chioccia cofferatiana/epifaniana.

In sintesi:

- con gli accordi del luglio 1992 e 1993 la CGIL (assieme a CISL e UIL) ha accettato il più secco taglio delle retribuzioni e dei diritti dei lavoratori della storia repubblicana senza battere ciglio in cambio del riconoscimento del suo ruolo istituzionale;

- il mercato del lavoro, quando la concertazione "funzionava", è stato segmentato in trentasette figure contrattuali con l'effetto che milioni di lavoratori sono stati esclusi dalle minime garanzie che ancora hanno i lavoratori con un contratto tradizionale;

- alcuni di questi segmenti sono gestiti direttamente da enti organicamente legati a CGIL-CISL-UIL come le centrali cooperative i cui dipendenti sono esclusi dalle tutele previste dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Insomma, quando la CGIL è il padrone non vi è bisogno di garanzie per i dipendenti;

- le libertà sindacali sono state seccamente ridimensionate con una ferrea legislazione antisciopero nel settore pubblico e con l'imposizione della riserva del 33% dei posti nelle Rappresentanze Sindacali Unitarie nel settore privato;

- una serie impressionante di contratti categoriali ed aziendali ha provveduto a ritoccare al ribasso le "riforme" che il sistema concertativo ci ha imposto;

- vi è stata, con il pieno accordo sindacale, il maggior numero di privatizzazioni ed esternalizzazioni di enti e servizi pubblici a memoria d'uomo e sovente queste privatizzazioni ed esternalizzazioni sono state gestite in modo da favorite ditte, cooperative o meno, dell'area di riferimento dei sindacati istituzionali;

- la CGIL ha accettato come una "dolorosa necessità" le imprese guerresche del governo italiano contro la popolazione serba.

Si potrebbe obiettare a questi brevi appunti che si tratta di vicende passate, che con il governo della destra la concertazione è finita, che la CGIL ha risollevato dal fango in cui erano cadute le vecchie e gloriose bandiere.

Purtroppo per i cofferatiani di complemento, i fatti ci dicono qualcosa di diverso.

- Con l'accordo del febbraio del 2002 per la scuola ed il pubblico impiego, CGIL-CISL-UIL hanno accettato un ulteriore taglio della retribuzione dei lavoratori e centinaia di migliaia di lavoratori hanno scioperato con i sindacati di base il 15 febbraio.

- Diversi contratti aziendali e categoriali sono impostati secondo il modello tradizionale e CGIL-CISL-UIL sono più uniti che mai.

- La pretesa di CGIL-CISL-UIL di avere il monopolio dei diritti sindacali non è stata per nulla abbandonata e continua l'emarginazione del sindacalismo indipendente e di base.

Sembrerebbe, insomma, di essere di fronte ad una CGIL schizofrenica, putiferiante in piazza e sulle pagine dei giornali e concertativa e moderata nella reale pratica sindacale.

In realtà, il gruppo dirigente della CGIL è tutto tranne che privo di razionalità.

La sua scelta di puntare su una certa dose di animazione sociale ha un solo e preciso obiettivo: battere il tentativo del governo di emarginare la stessa CGIL dal patto consociativo che negli ultimi decenni ha regolato le relazioni sociali e di fare della CISL il proprio sindacato di riferimento.

Naturalmente, i lavoratori che si mobilitano sono mossi da esigenze profondamente diverse rispetto a quelle dell'apparato sindacale e queste esigenze vanno guardate con il massimo rispetto. La stessa scelta di scioperare il 18 ottobre coglie questa esigenza e va intesa non solo e non tanto come il riconoscimento di una necessità quanto come la capacità di cogliere un'occasione importante per rafforzare una necessaria mobilitazione contro la politica padronale e governativa.

Si tratta però, a questo punto, di stabilire se riteniamo la concertazione un bene o un male per i lavoratori. Proviamo a chiarirci le idee nel merito.

La definizione scientificamente esatta della concertazione è corporativismo democratico. Si tratta di un modello di relazioni sociali, inaugurato formalmente nella Svezia degli anni '30, diverso dal corporativismo fascista perché prevede sia il pluralismo politico sia un limitato, pluralismo sindacale ma che mantiene del corporativismo fascista l'impianto che prevede l'esistenza di sedi di concertazione fra governo, padronato e sindacati istituzionali.

Dal punto di vista strutturale, il riconoscimento del ruolo istituzionale del sindacato si traduce in massicci finanziamenti da parte dello stato, finanziamenti che permettono l'esistenza di un numeroso apparato.

Questo apparato può garantire agli iscritti una tutela, di qualità variabile, a fronte della crescente complessità degli obblighi sociali (calcolo delle pensioni, pagamento delle tasse, consulenze varie ecc.) imposti ai cittadini in genere ed ai lavoratori in particolare.

Nei fatti, quindi, la burocrazia sindacale tende ad apparire e, sovente, ad essere una branca ausiliaria della burocrazia statale. Di conseguenza i lavoratori finiscono, abbastanza ragionevolmente, per pensare al sindacato come a qualcosa di esterno alla loro vita e come ad un ente al quale ci si rivolge quando si ha qualche particolare esigenza individuale da soddisfare.

Naturalmente questo processo di burocratizzazione è maggiore o minore a seconda del sindacato e delle categorie di lavoratori che organizza, è più accentuato fra i pubblici dipendenti e meno fra i lavoratori del settore privato, caratterizza più i sindacati "moderati" come la CISL e meno la CGIL ma si tratta di differenze di grado di integrazione e non di natura sociale.

Questo tipo di insediamento sociale pone i sindacati istituzionali in una situazione delicata, se gran parte delle loro risorse deriva direttamente da finanziamenti della controparte pubblica e privata avviene che, anche se tralasciamo le "zone grigie" del sindacalismo dove avvengono casi di vera e propria corruzione, i sindacati istituzionali non possano praticare uno scontro radicale con le controparti giacché vale, sino a prova contraria, l'assioma "chi paga l'orchestra decide la musica".

Ne consegue che i sindacati istituzionali, quando conducono una vertenza, generale o particolare che sia, trattano sempre su due piani: gli interessi dei lavoratori e quelli dell'organizzazione. È facile immaginare quale sia l'interesse curato con più attenzione e, soprattutto, come si dia uno scambio fra le esigenze del sindacato e quelle dei lavoratori.

Non è, di conseguenza, affatto strano che la CGIL giochi oggi un ruolo "radicale". La domanda che dovremmo, però, porci è se questo ruolo è credibile ed in quale misura o se si tratta di un passaggio tattico. Come credo sia evidente, la risposta è ovvia.

Se, quindi, il sindacalismo di base ha ritenuto, in occasione dello sciopero del 18 ottobre, di essere unitario per quanto riguarda la data ma autonomo nelle proposte e nelle iniziative di piazza vi è un motivo che non ha nulla a che vedere con l'indifferenza all'esigenza di unità dei lavoratori.

Per, provvisoriamente, concludere, ci attende un periodo difficile ma interessante. Si tratta di mantenere la mobilitazione contro il padronato ed il governo e, nello stesso tempo, di sviluppare proposte chiare e di non lavorare per dare alla CGIL un maggior potere di contrattazione nei confronti della CISL.

Non è, ovviamente, un percorso facile, sarà necessario un significativo lavoro di informazione critica, di orientamento, di approfondimento e questo mentre siamo impegnati nella costruzione delle diverse iniziative di lotta.

D'altro canto, si tratta di un percorso ineludibile, sta a noi il farlo con la massima capacità di iniziativa possibile.

Cosimo Scarinzi

 



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org