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Da "Umanità Nova" n. 34 del 20 ottobre 2002

Indietro Savoia!
"Popolo italiano, fa giustizia del re!"

Fra le cose più interessanti del mio modesto archivio anarchico, conservo un bellissimo volantino del 1948, intitolato: "Popolo italiano, fa giustizia del re!". Scritto e diffuso in piena campagna referendaria, quando l'Italia fu chiamata a scegliere fra monarchia e repubblica, quel volantino riflette fedelmente la posizione che assunsero gli anarchici di lingua italiana in quel contrastato momento della nostra vita politica e sociale. Infatti, anche senza dare una indicazione di voto (e non poteva essere altrimenti), esso si inseriva perfettamente nel dibattito politico dell'epoca, richiamando sia le pesantissime responsabilità di casa Savoia nelle drammatiche vicende da cui il paese stava appena uscendo, sia il nostro modo, storicamente dato, di intendere i rapporti con la dinastia. Riaffermando, quindi, la nostra nettissima contrarietà alla permanenza della monarchia in Italia

Come si sa, anche se di misura e con la netta frattura fra un nord repubblicano e un sud monarchico, il referendum portò all'abolizione dell'istituto regale, e il re Umberto, il Re di maggio come fu chiamato per il brevissimo periodo in cui regnò, lasciò l'Italia con la famiglia per l'esilio svizzero e portoghese. Essendosi rifiutato di rinunciare alle proprie prerogative dinastiche, fu infatti impedito a lui e ai suoi discendenti maschi diretti di risiedere e rimettere piede nel paese.

Agitata da pochi fedelissimi, da allora la questione monarchica è diventata solo materia da rotocalco, con protagonisti i componenti di una famiglia che, fatta salva l'eccezione di Maria Josè, si dimostrarono altrettanto vigliacchi, meschini e mediocri quanto i loro avi. Con l'unica differenza che la tragedia, nell'assenza dell'esercizio del potere, si mutava quotidianamente in grottesca barzelletta. E così, fra gli alti e i bassi di un interesse risvegliato solo in occasione di alcune loro imprese più violente o ridicole delle altre, siamo andati avanti per quasi cinquant'anni. Credo che nessuna persona di buon senso abbia avuto da lamentarsene.

Ma oggi, nel clima cambiato di un paese dimentico della propria storia, e nel quale anche alte "personalità" dello stato arrivano a mettere sullo stesso piano etico chi dette la vita per liberare il paese dalla dittatura nazifascista e chi, invece, per mantenere questa dittatura compì infamie e spaventosi massacri, diventa normale che larga parte dell'opinione pubblica accetti come un fatto normale che si cancellino le colpe di una dinastia, anche se questa dinastia le proprie colpe non le ha mai volute ammettere in modo credibile. Facendo passare questa sceneggiata come un doveroso e umanitario atto riparatore, si traccia, così, un vergognoso tratto di penna sull'intera storia d'Italia. Vale a dire sulla feroce repressione del "brigantaggio" dopo l'Unità, sulle leggi crispine, sulle cannonate del 1898 contro il popolo milanese, sulle continue stragi proletarie d'inizio secolo, sulla legittimazione della marcia su Roma, sulla creazione dell'Impero, sui gas contro i ribelli etiopi, sulle leggi razziali, sull'entrata in guerra a fianco di Hitler, sulla vigliacca fuga a Brindisi della intera corte terrorizzata dall'ex alleato tedesco.

È chiaro che la statura morale e civile dei due stupidi buffoni che presto rientreranno in Italia non è tale da far temere, da parte loro, nulla più che noia, fastidio e volgari provocazioni. Anzi, è facile prevedere che saranno proprio loro, con l'arroganza e la querula piagnucolosità che li distingue, a spingere un sacco di nostri connazionali, al momento indifferenti, a chiedersi per quale fottutissimo motivo si siano mossi mari e monti per riaverli fra noi. Incapaci di capire cose troppo grandi per la loro zucca, i Savoia padre e figlio di tutta questa faccenda hanno colto solo che finalmente avranno nuovi campi d'azione per i loro maleodoranti affari e che, soprattutto all'inizio, potranno contare su qualche ben retribuita comparsata televisiva. Però resta innegabile che un risultato l'hanno pure ottenuto, ossia quello di riportare la questione monarchica fra i temi politici del paese.

E su questo, forse, dovremo cominciare a riflettere con più attenzione.

Sono di questi giorni le dichiarazioni, fino a poco fa semplicemente impensabili, rilasciate dall'unico esponente presentabile della famiglia Savoia, Amedeo d'Aosta, cugino cadetto dell'aspirante re. Costui, infatti, da poco riconosciuto dalla maggioranza dei monarchici come l'unico possibile successore di Umberto II, si è detto pronto a "scendere in campo". E al di là della facile ironia sulla scimmiottatura dell'unto del signore, credo sia un errore prendere troppo sotto gamba quanto sta accadendo.

Amedeo è senz'altro persona più seria di quelle macchiette dei suoi cugini (se non altro perché lavora), e già da tempo raccoglie e alimenta simpatie non solo nel tradizionale campo monarchico, ma anche in larghi settori di una destra nostalgicamente legata al passato. Attento ai fatti e alle parole, si guarda bene, per il momento, dal resuscitare la questione monarchica, pur se parla esplicitamente della possibilità di una revisione costituzionale e relativo referendum sulla forma dello stato, ma rivendica anche, senza mezzi termini, un ruolo politico ai discendenti di casa Savoia. Un primo passo, insomma, per dare un senso concreto, un'importanza effettiva e non solo d'immagine, al decreto legge che ha consentito il rientro in Italia dei suoi sciagurati parenti, un avvenimento politico destinato, altrimenti, a restare nel teatrino del folklore.

Niente di "preoccupante" per ora, ma si sa, da cosa nasce cosa... e del resto chi avrebbe immaginato, solo dieci anni fa, che alla parata del 2 giugno sfilassero i fascistissimi reduci di El Alamein, che l'ex capo del Fronte della gioventù diventasse vicepremier, che piazza Gramsci si tramutasse in piazza Gentile? Mentre vorrebbero metterci sull'attenti e farci cantare Fratelli d'Italia per decreto legge, si stravolgono la legge 180, il diritto all'aborto consapevole, la più elementare separazione fra stato e chiesa. Ci manca poco (è solo questione di tempo?) che si abolisca il divorzio, si metta fuorilegge la pillola e si ripristinino le classi per i maschietti e quelle per le femminucce. Fra tante nostalgie, c'è posto, evidentemente, anche per quella per il re.

Se, per troppo ottimismo, pensavamo di aver chiuso definitivamente i conti con i "cagoja" il 25 aprile 1945, forse ci siamo sbagliati. Non ci rimarrebbe, allora, che rimediare.

Massimo Ortalli

 



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