unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 34 del 20 ottobre 2002

Antiamericani, antiamericanisti, antimperialisti o anticapitalisti?

Spennando,
arraffando,
intascando,

avanza il capitale,
l'oscenità in persona,
imporporato
di Broadway.
(V. Majakovskij)

Gli antimperialisti, in risposta alle indecenze scritte e vendute da Oriana Fallaci, hanno diffuso in rete il seguente elogio dell'antiamericanismo: "Noi oggi riteniamo che si debba essere antimericanisti, cioè contro l'americanismo, come tra le due guerre si era antifascisti. L'americanismo non è infatti soltanto l'ideologia politica di coloro i quali ritengono giustificato, legittimo e necessario il predominio mondiale dell'imperialismo yankee. L'americanismo è l'ultimo baluardo ideologico del pensiero liberale, l'allegoria del capitalismo. Il destino del secondo pare appeso a quello del primo".

In effetti, l'americanismo, sul vocabolario della lingua italiana, è definito come "Simpatia e ammirazione incondizionata per l'insieme dei modelli culturali e sociali provenienti dagli Stati Uniti", di conseguenza definirsi antiamericanisti assume un significato diverso da quello generalizzante e interclassista di antiamericani (che tra l'altro coinvolge anche, loro malgrado, i latino-americani), eppure la formula dell'antiamericanismo implica in sé non poche ambiguità ed equivoci ideologici.

Sull'utilizzo dell'antiamericanismo da parte delle destre, da Jean Thiriart a Franco Freda, da Alain De Benoist a Marcello Veneziani, ci sarebbe da scrivere più di un libro. Esso si ricollega storicamente al rancore nazifascista contro i vincitori della Seconda guerra mondiale, alla propaganda contro i complotti "giudaico-plutocratici" per il controllo del mondo, all'avversione razzista verso gli aspetti multietnici della società americana.

È l'antiamericanismo che ieri induceva i giovani neofascisti a scrivere sui muri "Né Lenin né Coca Cola" e che oggi vede i leghisti manifestare contro Mc Donalds.

Ma su questa strumentale utilizzazione dell'antiamericanismo che permette alle destre di indossare le sue maschere antagoniste senza mettere in discussione il capitalismo o di riferirsi alla lotta di classe, non è il caso di soffermarsi; mentre è forse il caso affrontare gli equivoci alimentati da certa sinistra europea.

In realtà, più che di fronte ad un'egemonia globale Usa o ad un superpoliziotto mondiale al servizio dell'Impero, siamo dentro un conflitto tra imperialismi in cui l'aggressività militare statunitense è sintomo più di una crisi devastante che di potere incontrastato, d'altra parte lo stesso pensiero liberale ha ben poco a che vedere con la politica del governo Usa, un governo - quello di Bush jr.- che elettoralmente rappresenta a malapena un quarto del popolo americano.

L'americanismo è davvero ormai soltanto una "allegoria del capitalismo" e lo stesso imperialismo, come suggeriscono i compagni del Comidad, appare persino un'espressione edulcorata che attribuisce un inesistente senso d'ordine all'ingerenza criminale degli Stati Uniti.

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