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Da "Umanità Nova" n. 35 del 27 ottobre 2002
Una marea che cresce
Riuscito lo sciopero generale!
Come è noto, l'epifania consiste
nell'apparizione della divinità. Sin troppo facile, dunque, vedere nelle
manifestazioni che la CGIL ha tenuto il 18 ottobre il momento rituale di
conferma del ruolo centrale, nell'ambito del sindacalismo istituzionale, della
CGIL stessa e di consacrazione del nuovo segretario.
Ma, nel linguaggio popolare, l'epifania è la Befana, una figura che,
almeno alla mia generazione, pare, nello stesso tempo, rassicurante ed
inquietante.
La Befana porta doni ma sembra anche una strega, premia e punisce, suscita
attese e timori. Una figura che ci riconduce all'infanzia.
E che vi sia stata una dimensione rituale della mobilitazione del 18 ottobre
è innegabile. Come in tutti i riti vi è qualcosa di necessario e
di scontato. Dopo lo sciopero, i soggetti istituzionali coinvolti hanno
provveduto a dire quello che avrebbero in ogni caso detto mentre i segnali di
cambiamento traspaiono ancora poco chiari.
Il governo ha mostrato pubblicamente un'attitudine calma e pacata, il ministro
Maroni ha garantito che lo sciopero è fallito e che la maggio parte dei
lavoratori e dei sindacati ha compreso la giustezza delle posizioni del
governo, il ministro Fini ha mostrato le sue virtù liberali ricordando
che lo sciopero è lecito ma anche che era uno sciopero politico di
minoranza, il ministro Alemanno, che si è ritagliato il ruolo di leader
della destra sociale, ha ricordato che la concertazione è necessaria.
I dirigenti della CISL e della UIL, perfettamente consapevoli del fatto che
molti loro iscritti hanno scioperato, hanno ribadito che lo sciopero era
inutile e, affermandolo, hanno mandato un chiaro segnale al governo del tipo,
se provi a cedere qualcosa alla CGIL, sappi che te la faremo pagare.
La Confindustria, altrettanto comprensibilmente, si mostra decisa a non cedere
su nulla.
In realtà, è perfettamente noto a tutti, che a maggioranza
è divisa al suo interno su tutte le questioni più rilevanti di
politica economica e che il governo ed il padronato, per non parlare di CISL e
UIL, hanno dovuto segnare la giornata del 18 ottobre con un sassolino nero.
Se, infatti, il loro obiettivo era quello di "isolare" la CGIL, almeno per il
momento hanno fallito ed, anzi, hanno consegnato alla CGIL stessa uno spazio
politico che questa organizzazione non avrebbe certo mai conquistato per meriti
e capacità proprie. D'altro canto, in politica come nella vita, il saper
cogliere le occasioni è un'innegabile virtù, e la CGIL ha saputo
cogliere l'occasione che le contingenze le hanno offerto.
I punti di debolezza della CGIL stessa sono altrettanto noti.
In primo luogo, innegabilmente, le sue interfacce politiche o, se si
preferisce, i vertici delle sue interfacce politiche, sembrano guadare alle
poderose divisioni cofferatiano/epifaniane più come all'esercito di un
concorrente per la leadership dello schieramento che ad una risorsa per
rinsanguare un esercito debole ed incapace di iniziativa.
Ci troviamo, insomma, di fronte ad un paradosso politico interessante: un
soggetto sociale moderato ed istituzionale come la CGIL non ha una
rappresentanza istituzionale adeguata e corre il rischio di dover giocare tutta
la sua iniziativa sul terreno del conflitto industriale. Dal nostro punto di
vista si tratterebbe di una situazione tutt'altro che negativa, anzi, ma per
l'apparato della CGIL che, certo, non ha una cultura dell'autonomia dei
soggetti sociali rispetto al sistema dei partiti, si tratta di un problema di
non poco conto.
È anche interessante notare che un ciclo politico sembra chiuso a
sinistra, il PRC, perfettamente consapevole del fatto che una scelta di
indipendenza rispetto al centro sinistra lo condannerebbe a rapida e dolorosa
dissoluzione, si candida al ruolo di più deciso supporter della CGIL in
dialettica con la sinistra DS.
Se fossimo maliziosi, potemmo affermare che il PRC fa di necessità
virtù e che esce o, almeno, cerca di uscire dalla marginalità
politica al quale lo aveva condannato la discesa in campo della CGIL attraverso
l'accettazione di un ruolo subalterno ma rilevante per una CGIL che, a questo
punto, del PRC ha innegabilmente bisogno anche perché il PRC le porta in
dote quel "movimento dei movimenti" la cui breve stagione primaverile sembra
già sfiorita.
Se il livello del politico istituzionale è di comprensione relativamente
facile, lo è meno quello del simbolico che, pure, in politica, qualcosa
conta.
La discesa in campo della CGIL ha, infatti, attivato un doppio e complesso
processo:
- Canalizza, ma da anche spazio a, tensioni sociali reali che attraversano la
società. Le donne e gli uomini che hanno scioperato e manifestato il 18
ottobre non sono soldatini di piombo che si potrà rimettere nella
scatola se e quando la macchina della concertazione sarà stata rimessa a
punto
- Attrae settori di un'opposizione sociale che spesso, sin troppo spesso,
sembra indifferente ai contenuti reali delle mobilitazioni ed al quadro sociale
e politico nel quale agisce. Sulle singolari derive epifaniane di aree
politiche "antagoniste" abbiamo già ragionato su queste pagine e non vi
è spazio per ritornare ora. Si tratta, però, di un problema
interessante e che andrà ripreso in esame.
Da questo punto di vista, non possiamo che confermare la giustezza della scelta
di sostenere le mobilitazioni indipendenti del sindacalismo di base non solo
perché in molte città hanno avuto un successo notevolissimo che
conferma l'esistenza di consistenti forze, energie, sensibilità non
concertative ma, soprattutto, perché pone le condizioni per operare nel
prossimo periodo in una dimensione non subalterna alla sinistra del sistema dei
partiti.
Sarebbe sciocco nascondere che la scelta di dare vita a manifestazioni
indipendenti ha determinato problemi di comprensione anche a sinistra, non sono
mancati settori "ultrasinistri" che proponevano e, presumibilmente, proporranno
la logica della "contaminazione" delle piazze della CGIL mediante una qualche
forma di partecipazione "critica" e, in qualche caso, putiferiante. Su questo
argomento non vi è spazio per ambiguità, chi crede che sia
possibile ed opportuno recarsi nelle piazze della CGIL a "rivelare" ai
lavoratori che Epifani è un riformista e che vuole la concertazione fa
benissimo a farlo. Detto ciò, è singolare che qualcuno continui a
credere che i "rapporti con i lavoratori" si intreccino qualche giorno l'anno
in piazza e non quotidianamente sui posti di lavoro, che la politica della CGIL
si denunci nei volantini e non nello sviluppo di lotte, iniziative, proposte
autonome, che si è "rivoluzionari" grazie a qualche esibizione muscolare
e non sulla base di una precisa progettualità.
Per parte nostra, crediamo che lo sviluppo di un movimento dei lavoratori
indipendente sul piano dell'iniziativa e delle prospettive sia una condizione
favorevole al dispiegarsi della stessa proposta libertaria. E questo sviluppo
si da, in primo luogo, nella lotta quotidiana e, quando è necessario,
nella capacità di dar vita a momenti di aggregazione indipendente sulla
stessa piazza.
Su questi temi sarà necessario discutere con franchezza e, soprattutto,
operare concretamente.
Cosimo Scarinzi
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