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Da "Umanità Nova" n. 35 del 27 ottobre 2002
A 60 anni da El Alamein: il revisionismo avanza
Retorica di cartone
"I tedeschi avevano piastrine metalliche coi nomi incisi sopra, mentre gli
italiani le avevano di cartone con i nomi scritti a penna. Col tempo non si
leggeva più nulla". È tutta in questa testimonianza la
banalità del male che il fascismo scaricò sopra il suo
disgraziato popolo. Di cartone le piastrine dei soldati caduti ad El Alamein,
di cartone le corazze dei carri armati che avrebbero dovuto fermare i tank
angloamericani, di cartone gli scarponi ai piedi della disgraziata armata di
Russia. E di cartone, soprattutto, la vergognosa retorica con la quale un
regime di grotteschi pulcinella sbandierava i suoi famosi otto milioni di
baionette.
Tra le poche cose positive della prima repubblica che rimpiangiamo senza
vergognarcene, c'era la coriacea diffidenza verso la retorica guerresca e
patriottarda tipica del precedente regime fascista, diffidenza che nasceva sia
dalla consapevolezza che le basi del nuovo sistema poggiavano su una diffusa
vulgata antifascista, sia dal fatto che da tale retorica ci si era vaccinati in
massa nel dramma delle distruzioni e dei lutti provocati dalla guerra. Ma, con
l'avvento della cosiddetta seconda repubblica, tale immunizzazione,
evidentemente, è arrivata alla sua data di scadenza, e così oggi
ci ritroviamo, sempre più spesso, sommersi da sventolar di tricolori,
canti patrii e lacrime di circostanza.
Se coi fascisti al governo non c'era da aspettarsi altro (la retorica e la
demagogia sono alla base del loro codice genetico, e con esse sostanziano, a
man bassa, il vuoto dei loro contenuti), avremmo forse potuto pretendere
qualcosa di diverso, però, dai vari esponenti di quella cultura "laica,
democratica e repubblicana" che, in altri tempi, sfoggiavano orgogliosamente il
loro antifascismo. Ma evidentemente non è tempo di eroi, e così
ecco tutta la classe politica dedicarsi, con rare eccezioni, a pratiche
"celebrazioniste" tanto strumentali quanto opportuniste. Pratiche ispirate a
quel "revisionismo storico", così vituperato a parole ma praticato nei
fatti, che vorrebbe appiattire su identici valori, o piuttosto sulla loro
totale assenza, scelte di vita, scelte etiche, scelte politiche e sociali
assolutamente, e irriducibilmente, contrapposte.
Da sempre fascisti, reduci e nostalgici si recano, ogni anno, nel deserto
egiziano, per rievocare la battaglia di El Alamein, uno degli episodi
più drammatici vissuti dal nostro esercito nella guerra mondiale. E da
sempre tale avvenimento, invece di essere un necessario momento di riflessione
sulla follia e la criminalità con le quali il fascismo mandò la
sua gioventù a "cercar la bella morte", diventa occasione per rinverdire
la velenosa pianta del patriottismo in orbace. Nella celebrazione della
"battaglia impari", del "bagliore della gloria", del "fulgido eroismo", quegli
incorreggibili esaltati nascondono, prima di tutto a se stessi, le disastrose
condizioni nelle quali una pletora di gerarchi ladri e papponi mandò in
guerra milioni di giovani italiani: in teoria a conquistare il mondo a fianco
dei nazisti, in pratica a farsi ammazzare come mosche nei deserti libici, nelle
steppe russe, nelle montagne balcaniche.
Anche quest'anno si è ricordata la battaglia di El Alamein. Pochi giorni
orsono, nel suo sessantesimo anniversario. Ma questa volta, in omaggio ai nuovi
equilibri politici, a fianco dei soliti nostalgici intenti a gridare
istericamente i loro "a noi", "presente", "eja eja alalà", e dei soliti
generali orfani di nuove guerre e nuove stragi, c'era anche la massima
autorità dello stato, il presidente della repubblica Carlo Azeglio
Ciampi. Se la sua presenza fosse servita a mitigare la retorica della
cerimonia, magari ricordando che se nessuno dei contendenti era dalla parte
della ragione, certamente l'Italia fascista era da quella del torto, avremmo
anche potuto glissare su questa scivolata, addebitandola alla evidente
emotività del suddetto. Ma poiché così non è stato,
e infatti il suo discorso si è limitato a un discutibilissimo richiamo
pacifista a senso unico, non ci resta che pensare che anche l'ex partigiano e
azionista Ciampi deve sacrificare, sull'altare della realpolitik, quel tanto
che resta della sua dignità. E, visto il ruolo che rappresenta, anche di
quella dell'intero paese.
Fortunatamente noi anarchici, la nostra dignità, non l'abbiamo mai
delegata a nessuno!
Massimo Ortalli
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