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Da "Umanità Nova" n. 35 del 27 ottobre 2002
Fiat: una situazione sempre più dura
Il buio oltre i cancelli
La settimana dal 13 al 19 ottobre è stata piena di colpi di scena: la
sua ricostruzione sembra quasi una successione di eventi da fanta-economia.
Alla fine però resta una sensazione terribile: quella che i lavoratori
Fiat siano destinati ad essere abbandonati alla loro triste sorte, senza che
nessuno abbia provato concretamente a muovere un dito per cambiare un destino
cinico e baro. Cercheremo in questa sede di dare una griglia di lettura di
quanto è successo, per quanto sia difficile conoscere, dalla
consultazione dei media italiani, il reale contenuto delle conversazioni
d'affari che si sono sviluppate sul caso Fiat.
La settimana si apriva con La Repubblica del 14/10, dove si dava conto
dell'incontro di Arcore del giorno prima, dove il presidente operaio aveva
conferito, alla presenza del fido Tremonti e in assenza del dissidente Marzano,
con i vertici del gruppo, rappresentati nell'occasione dal presidente
multinazionale Paolo Fresco e dall'amministratore delegato (in quota Umberto
Agnelli) Galateri di Genola. Gli articoli davano per imminente la fuoriuscita
della famiglia Agnelli da Fiat Auto. La costituzione di una nuova
società a capitale pubblico, bancario e GM, (denominata Italauto), una
sostanziale nazionalizzazione "a tempo" del gruppo automobilistico, una
riscrittura del piano industriale entro la fine del mese di ottobre. La
settimana si chiudeva con l'intervista dello stesso Galateri di Genola al
Corriere della Sera in data 19/10, nella quale si spiegava che, in fondo, nulla
era accaduto nel frattempo, che il piano della Fiat restava quello originario e
che bisognava adeguarsi ai sacrifici necessari per riportare a galla la Fiat:
la conferma sostanziale che una settimana di fittissimi colloqui a 360 gradi
avevano partorito il più totale e assoluto niente di niente.
In una situazione così confusa diventa abbastanza difficile orientarsi:
proviamoci a partire dagli interessi più definiti e individuabili
presenti in questa complessa trattativa. Gli attori principali sono tre:
l'azienda (sarebbe meglio dire la famiglia), la GM, le banche. Le comparse
destinate a giocare sullo sfondo sono anch'esse tre: il governo, il sindacato,
le istituzioni comunitarie. Le vittime predestinate: i lavoratori. Il movente:
il recupero dei profitti. Le armi usate: i licenziamenti.
Cominciamo dalla famiglia Agnelli, il principale responsabile e mandante:
l'obiettivo della famiglia è uscire dall'auto nel tempo più breve
possibile, spuntando il prezzo massimo che la situazione consenta. Nella
riunione di Arcore, stando alle cronache, ci hanno provato: le gazzette hanno
infatti parlato delle tre ipotesi attraverso cui il settore auto poteva
cambiare padrone. L'idea era quella di copiare l'esperienza Italenergia, quella
che nel giugno 2001 ha portato la Fiat a scalare la Montedison per conto della
francese Edf a costo zero: la costituzione di una nuova società
(Italauto) a cui Fiat conferiva Fiat Auto, le banche, lo stato e la GM i
quattrini. Sarebbe stato necessario un aumento di capitale da 4-5 miliardi di
euro, di cui lo stato avrebbe potuto anticipare il 30% attraverso Sviluppo
Italia, Fintecna o Finmeccanica, e il resto sarebbe stato riservato alle banche
e alla GM. Fiat avrebbe conferito:
il 100% di Fiat Auto, valutata simbolicamente 1 euro, in cambio del 30% della
nuova società, oppure
il 100% di Fiat Auto più un asset di valore (Ferrari, Toro, ecc.),
oppure
il 100% di Fiat Auto, in cambio del permesso di costruire 10 nuove centrali per
Italenergia.
Era apparso evidente che le preferenze della famiglia andavano verso la terza
ipotesi, cioè scaricare su terzi l'onere di ristrutturare un settore in
stato fallimentare, tenersi i gioielli di famiglia e ottenere pure qualcosa di
concreto per fare decollare ulteriormente il business elettrico (il vero futuro
della Fiat). A questo punto però l'arroganza della Fiat deve avere
disturbato persino il presidente operaio, che in quanto ad utilizzo del denaro
altrui, soprattutto se pubblico, non vuole essere secondo a nessuno. L'ipotesi
è naufragata nel giro di qualche giorno, per l'intervento secco e
tranciante degli altri due protagonisti veri: GM e banche.
Martedì 15 ottobre da Detroit arriva un messaggio forte e chiaro: GM
svaluta del 90% la sua partecipazione del 20% in Fiat Auto, comprata a 2,4 mld.
di dollari nel marzo 2000 e svalutata a 220 milioni di dollari adesso.
Significa che Fiat Auto, valutata 12 miliardi di dollari nel 2000, viene ora
valutata 1,1 miliardi di dollari: dunque, oggi come oggi, GM sarebbe disposta a
pagare il restante 80% di Fiat Auto non più di 880 milioni di dollari.
Una valutazione davvero scadente, che risponde al duplice obiettivo di far
risparmiare a GM un sacco di soldi sulle tasse di quest'anno (circa 1,3 mld. di
dollari) e rafforzare il potere negoziale con gli italiani quando verrà
il momento di trattare la cessione definitiva. Inoltre viene sollevato il
problema dell'opzione put, la possibilità che ha in mano la famiglia
Agnelli di vendere a GM il restante 80% di Fiat Auto tra il 2004 ed il 2009: GM
ribadisce che l'opzione non ha più validità se nel frattempo la
proprietà passa di mano. È un'entrata a gamba tesa, diretta a
castrare sul nascere qualunque ipotesi di intervento dello stato nel capitale
Fiat, intervento che non potrebbe che condizionare negativamente la
libertà totale nel tagliare impianti e posti di lavoro, in una logica di
snellimento. Il messaggio a Fiat e governo italiano è chiaro: se vi
muovete contro i nostri interessi, non onoreremo i nostri impegni. Altro che
disponibilità ad entrare in una nuova società, per rilevare alla
fine il settore auto: massima pressione invece per spingere al ribasso il
prezzo del titolo e poter comprare a prezzo di saldo, se possibile a prezzo di
stock fallimentare. In ogni caso, nessuna fretta e lasciamo che il tempo lavori
per noi.
Mercoledì 16/10 e giovedì 17/10 i vertici del gruppo al completo
(Fresco, Galateri, Boschetti) incontrano le banche e ricevono il più
totale rifiuto di mettere altri capitali nel rifinanziamento della Fiat. Le
banche fanno appello all'accordo siglato il 27 maggio scorso e ricordano alla
Fiat che deve rispettare gli impegni presi, di dimezzare da 6 a 3 miliardi di
euro il debito netto entro la chiusura dell'esercizio 2002, pena la
trasformazione del prestito convertibile di 3 miliardi di euro a tre anni in
azioni Fiat, anche in via anticipata, con conseguente estromissione della
famiglia dalla gestione della azienda. Si tratta, come sappiamo, di un
contratto capestro "a tempo". In base a quell'accordo, Fiat deve fare cassa
vendendo tutto ciò che riesce nel 2002: Magneti Marelli, Fidis, Comau,
Teksid, Ferrari. Se non ci riesce, nel 2003 deve vendere anche la cose
migliori: Toro, Rcs, Fiat Avio, Rinascente. Le banche sono seriamente
preoccupate ed esposte: Intesa e Sanpaolo hanno ciascuno 2 miliardi di euro
puntati sul Lingotto, Unicredit 1,5 miliardi, Capitalia 1,1 milioni di euro,
Bnl 800 milioni di euro, e così via. L'indebitamento complessivo del
Lingotto resta attorno ai 32 miliardi di euro, senza contare i 9 trovati in
Edison. Mettere altri soldi in Fiat Auto non se ne discute nemmeno.
Svanita la disponibilità GM e banche, anche il governo deve fare marcia
indietro. Venerdì 18/10 il ministro Marzano ricorda in audizione
parlamentare che il suo ministero ha erogato alla Fiat 2,3 miliardi di euro
negli ultimi due anni, senza contare i 5,5 miliardi di euro dati alla Fiat
dallo stato nel suo complesso negli ultimi 10 anni. Ogni ulteriore intervento
pubblico va subordinato ad un dettagliato piano industriale, mentre sinora la
Fiat ha solo avanzato la richiesta di stato di crisi, comunicato la decisione
di chiudere Arese e Termini Imprese, mettere 7.600 lavoratori in cig
straordinaria e 500 lavoratori in mobilità. Nell'incontro tra governo e
sindacati, si scopre un notevole feeling, in funzione anti-Fiat. Sui giornali
intanto imperversa l'analisi di massa sulle cause della crisi Fiat.
È evidente che la situazione si è fatta esplosiva nell'ultimo
anno, ma la crisi ha cause remote e strutturali. Dall'inizio del 1990 la
situazione del mercato mondiale dell'auto ha cominciato a richiedere una
continua compressione dei costi ed un innalzamento dei volumi produttivi
necessari per giustificare l'alto livello degli investimenti richiesto. Fiat,
ad esempio, pesava come Volkswagen sul mercato europeo, ma ha fatto scelto
opposte. Vw si è concentrata sul core business, ha comprato Seat e
Skoda, è arrivata a produrre 5 milioni di auto l'anno, raggiungendo
soglie di sicurezza. Fiat ha cercato invece di gestire una diversificazione un
po' a casaccio, in tutt'altri settori: editoria, finanza, turismo, alimentare,
grande distribuzione. L'unico tentativo di acquisire un concorrente (Volvo)
è fallito, l'unica conquista in un settore contiguo (Case-New Holland)
è avvenuto a prezzi altissimi, con un insensato ricorso al debito.
L'internazionalizzazione del gruppo è avvenuta a caro prezzo in paesi a
rischio, esplosi quasi subito (Argentina, Russia, Brasile, Turchia), di fatto
la Fiat ha cercato di sfruttare il suo potere sul mercato italiano, dove si
è infilata dappertutto, con l'appoggio di Mediobanca, ricorrendo quasi
sempre ad ulteriori debiti.
Oggi si tratta di fare i conti con una situazione di mercato completamente
cambiata: i prezzi delle auto sono in calo dal 1996, con una forte
accelerazione nel 2002, pur in presenza di mercati inseriti dentro trend di
crescita. Il mercato europeo, ad esempio, resta uno dei più redditizi,
perché le auto vendute annualmente sono passate da 12 a 15 milioni nel
periodo 1994-2002, grazie anche a varie iniziative di incentivazione alla
rottamazione che hanno drogato i singoli mercati nazionali (Francia, Spagna,
Italia). Tuttavia la quota Fiat è scesa nel periodo dal 12% al 7,3%
attuale, con una singolare serie di infortuni legati a modelli sbagliati e
strategie di marketing dissennate.
Il prezzo finale di questa successione infinita di errori rischia di ricadere
interamente sulle spalle dei lavoratori. Le migliaia di posti di lavoro a
rischio, nel ciclo diretto e nell'indotto, possono aprire la strada ad una
violenta deindustrializzazione di intere aree.
La lotta dei lavoratori deve fare i conti con questa realtà: anche
occupare uno stabilimento diventa ininfluente quando la proprietà vuole
chiuderlo. Galateri di Genola ribadisce che l'unica strada è applicare
il piano Fiat: il suo interesse è minimizzare i costi per la famiglia
che rappresenta e massimizzarne i guadagni, se e quando il risanamento
sarà avvenuto. Per i lavoratori si tratta di imporre a chi dice di
rappresentarli (vuoi il sindacato, vuoi le forze politiche locali, vuoi i
partiti dell'opposizione) le proprie necessità vitali, a partire dalla
sopravvivenza produttiva. Rispetto ad una settimana fa, le cose si sono fatte
ancora più difficili.
Renato Strumia
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